Il ponte della discordia o della concordia?
Un’opera faraonica o uno speco di denaro pubblico per la realizzazione di una infrastruttura inutile? Senza dubbio entrambe le cose sono le caratteristiche del ponte sullo stretto, opera di cui si parla spesso nel bene e nel male. Ne parla anche Antonio Mazzeo nel suo “I padrini del ponte”, testo nel quale ricostruisce minuziosamente attraverso l’analisi degli atti giudiziari gli affari delle organizzazioni mafiose nell’affare del ponte sullo stretto.
Ecopacifista, antimilitarista, Mazzeo si è occupato più volte di inchieste legate al ponte fornendo un quadro chiaro degli interessi che stanno dietro tale opera. Ma parliamone direttamente con lui.
D: Quali sono gli interessi che girano intorno alla costruzione del ponte?
R: Gli interessi sono relativi alla grossa fetta di denaro, circa 10 miliardi di euro, una grossa spesa che mai si è utilizzata in un’area come lo stretto di Messina, soprattutto pensando che si tratta di un’opera che incide solo in un’area ristrettissima di 4-5 km. Si tratta quindi di una quantità di denaro spaventosa che oggettivamente cattura tutti gli interessi possibili.
D: Ne “I padrini del ponte” inizi parlando del “sogno” di Giuseppe Zappia desideroso di concludere la sua vita nella terra d’origine e per questo si impegna a concorrere alla gara per la costruzione del ponte. Chi è veramente Joe Zappia e che ruolo ha in questa vicenda?
R: C’è una grossa novità: dopo la pubblicazione del libro il Tribunale di Roma ha condannato in primo grado Zappia di fatto confermando tutte le ipotesi che prendevamo nel libro, legate all’istruttoria svolta dalla Procura della Repubblica di Roma. Zappia di fatto è stato il prestanome di un’operazione grossissima che vedeva scendere in campo la c.d. sixth family, la sesta famiglia della principale organizzazione criminale nord-americana che fa riferimento a don Vito Rizzuto. Questa, insediata in Canada, era disponibile a fornire fino a 6 miliardi di dollari per il finanziamento del progetto. Zappia ha costituito una società ad hoc per partecipare direttamente alla gara di prequalifica del ponte non con l’intenzione di vincerla, ma perché era un’opportunità per entrare in contatto principalmente con tre soggetti: il Governo italiano, la società stretto di Messina e alcune delle grandi società di costruzione che hanno partecipato alla gara fra cui quelle che hanno vinto e che parteciperanno alla progettazione del ponte. Entrare in contatto voleva dire far da garante, dire “ci sono io. Io ho il denaro necessario per far partire l’opera, per cui sono importante per questo tipo di operazione”, legittimandosi in tal modo come un operatore credibile visti i contatti con i tre soggetti di cui dicevo prima.
D: Perché secondo te il Governo italiano ha tanta fretta di realizzare il ponte?
R: Più che realizzare io direi di propagandare l’inizio dei lavori perché fino a questo momento non esiste nessun tipo di progetto esecutivo e soprattutto sono tantissime le critiche di ingegneri ed esperti in materia che dicono che il ponte anche dal punto di vista ingegneristico non è assolutamente realizzabile. Il Governo sta giocando tutto nel senso che vuole legittimarsi, ha una fetta di denaro non poco rilevante, circa 1300 milioni di euro che erano i fondi Fas, destinati allo sviluppo delle aree deboli del Mezzogiorno dove fra l’altro si potevano prevedere interventi per opere realmente sostenibili, che avrebbero prodotto posti di lavoro e di cui la popolazione aveva bisogno. Loro hanno fatto un lavoro che definirei vergognoso, in quanto hanno saccheggiato questi fondi per destinarli all’inizio dei lavori. La fretta c’è perché dopo anni di annunci e di propaganda bisogna dare l’impressione che veramente sia la volta buona e che stavolta il ponte si può fare.
D: Dalla lettura del tuo libro vien fuori una visione diversa della mafia rispetto a quella classica. Ce ne vuoi parlare?
R: Con Umberto Santino abbiamo cercato di dimostrare che chi si muove dietro l’operazione del ponte è la c.d. borghesia mafiosa formata da tutti quei soggetti che si siedono a tavolino e decidono loro toucour cosa serve al territorio, non secondo i bisogni della popolazione, secondo i canoni dell’economia, ma secondo i loro meri interessi. Sul ponte si è sempre pensato che, siccome si tratta di una grande opera che si realizzerà in un’area ad alta densità mafiosa, la mafia arriverà a gestire buona parte delle grandi opere col pizzo, intervenendo nella fornitura di cemento etc. C’è una visione reale ma anche riduzionista. Nel libro dimostriamo che in questo senso è l’idea stessa del ponte che vede le organizzazioni criminali non solo quelle locali, ma quelle transnazionali che gestiscono i grandi traffici di droga ed armi a livello internazionale che hanno deciso di entrare direttamente nella fase di progettazione e di esecuzione e di finanziamento proprio del ponte anche se ci dovessero perdere finanziariamente perché il ponte ha questo grande valore simbolico: infondo chi realizzerà il ponte passerà alla storia. In tal modo la mafia sa che realizzando il ponte potrà giocarsi una ricerca di legittimità e di immagine politica e pubblica persa soprattutto negli anni delle grandi stragi del 92-93.
D: Sia la costa siciliana che quella calabrese, sponde sulle quali il ponte dovrebbe poggiare, sono estremamente franose
R: Non sono solo i problemi geologici, la franosità del territorio che fra l’altro è visibilissima ad occhio nudo, ma non dimentichiamo che sullo stretto passa una delle principali faglie sotterranee che continuamente si spostano provocando costantemente terremoti e maremoti di enorme intensità che avrebbero dei riflessi enormi sulla tenuta delle strutture. Non dimentichiamo che dalla parte di Messina il pilone sarebbe collocato in un’area ricchissima di acque (prima era una zona di paludi, oggi ci sono due laghi naturali) per cui ci rendiamo conto che ci sono grossi problemi per pensare alla progettazione.
D: Che impatto avrebbe il ponte sull’ambiente e sul territorio?
R: Le associazioni ambientaliste hanno presentato centinaia di osservazioni per dimostrare che nella pre-progettazione non si è tenuto conto dei problemi di tipo geologico, dei terremoti, ma soprattutto della ricchezza archeologica e naturale di un territorio che verrebbe devastato irrimediabilmente. Al contrario, oggi c’è l’esigenza primaria di riqualificare il territorio e di mettere in sicurezza tutte queste aree a rischio di frana o che sono già franate. Non dimentichiamo che a qualche km dal punto dove dovrebbe sorgere il ponte sullo stretto lo scorso anno si è verificata una immensa tragedia con i 37 morti di Giampilieri e Scaletta.
D: In che misura i siciliani si approcciano alla costruzione del ponte?
R: L’attenzione e la tensione rispetto a questa battaglia è proporzionale alla distanza dal ponte: più sei vicino al luogo dove dovrebbe sorgere il “mostro” sullo stretto, maggiore è la gente disponibile a scendere in piazza per opporsi, perché paga giorno per giorno in prima persona quelli che sono gli impatti di tipo sociale, ambientale e criminale. Più stai lontano dal ponte meno ne avverti la drammaticità, anche se però dubito che ci siano siciliani che pensano di poterlo utilizzare perché ormai la mobilità della nostra regione rispetto alle grandi città del nord avviene via aereo, ed anche le merci viaggiano via intermodale, utilizzando il misto ferrovie-navi. Si tratta quindi di una struttura nata con un’idea archeologica rispetto a quella che deve essere la mobilità delle merci e delle persone.
D: Di cosa avrebbero bisogno invece i siciliani concretamente?
R: Innanzitutto avrebbero bisogno di una messa in sicurezza di borghi antichi, di villaggi che sono un patrimonio straordinario perché rappresentano più di mille anni di storia, c’è bisogno di posti di lavoro seri, produttivi, sostenibili dal punto di vista dell’ambiente, che siano a tempo indeterminato non come quelli che sono preventivati per 6-7 anni per i lavori sul ponte, lavori estremamente professionali dove sarebbe tagliata buona parte della manodopera siciliana la cui domanda è di libello medio-basso. C’è inoltre bisogno di infrastrutture celeri, recuperare le aree industriali dismesse o semidismesse sul mare per convertirle in porti e puntare sui trasporti intermodali per le merci, come accade in tutto il Mediterraneo e nel Nord-Europa. C’è una grossa domanda di ampliamento dell’aeroporto di Fontanarossa che oggi sostiene un traffico di 6 milioni di viaggiatori l’anno oltre i quali non si può andare nonostante la domanda dalla Sicilia e verso Intervista di Angela Allegra ad Antonio Mazzeo pubblicata in Il Clandestino con permesso di soggiorno, n. 8 novembre 2010
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