Nuova task force USA per intervenire in America latina

Negli stessi giorni in cui è stata ufficializzata l’assegnazione del premio Nobel per la pace al presidente Barack Obama, il Dipartimento della difesa degli Stati Uniti ha annunciato la costituzione di una nuova e potentissima task force aeronavale destinata a presidiare i mari del contiente latinoamericano. Si tratta del Carrier Strike Group CSG 1 e il suo comando operativo sarà attivato a San Diego (California). Come dichiarato dal Comando della III Flotta dell’US Navy che ne coordinerà gli interventi, “il CSG 1 sosterrà la strategia marittima nazionale, aiuterà nella promozione delle partnership regionali, farà da detterente alle crisi, proietterà la potenza militare USA, promuoverà la sicurezza navale e fornirà assistenza in caso di disastri naturali all’interno di una vastissima area di operazioni dell’Oceano Pacifico”. La prima missione della forza aeronavale prenderà il via nella primavera del 2010 e si realizzerà “nelle acque del Sud America”.

Imponente la potenza di fuoco del nuovo strumento di intervento militare statunitense. Al Carrier Strike Group saranno assegnati una portaerei a propulsione nucleare, cinque fregate e due incrociatori lanciamissili, un centinaio tra cacciaintercettori, aerei a decollo verticale ed elicotteri, più alcune navi appoggio e di trasporto gasolio e munizioni.

La nave ammiraglia sarà la USS Carl Vinson (CVN 70), portaerei della classe “Nimitz”, 103.000 tonnellate di stazza e una lunghezza di 332 metri, dotata di due reattori atomici della potenza di 194 Mw. Armata con sistemi missilistici Mk 57 “Sea Sparrow”, nel 2005 la Carl Vinson ha operato per sei mesi nel Golfo Persico appoggiando le operazioni di guerra in Iraq.

Successivamente la portaerei è stata sottoposta a complessi lavori di manutenzione presso i cantieri navali di Newport (Virginia), di proprietà della Northrop Grumman, il gigante del complesso militare industriale USA che ha prodotto i velivoli senza pilota Global Hawk che stanno per giungere nella base siciliana di Sigonella. I lavori alla Carl Vinson, completati qualche mese, hanno permesso la “modernizzazione dei sistemi di combattimento e delle capacità operative dei velivoli trasportati” e il “rifornimento degli impianti di propulsione nucleare necessario a prolungarne il funzionamento per altri 25 anni”. I

l gruppo aereo che sarà trasferito a bordo della porterei sarà il Carrier Air Wing Seventeen (CVW-17), con base a Oceana (Virginia), sino al giugno 2008 operativo dalla portaerei USS George Washington. Il CVW è composto da cinque squadroni dotati di caccia F/A-18E “Super Hornet” ed elicotteri per la guerra aeronavale ed elettronica, l’intercettazione e la distruzione di unità di superficie, sottomarini, aerei e sistemi missilistici nemici.

Le capacità belliche del gruppo di volo sono state ripetutamente utilizzate dal Pentagono in occasione della prima e della seconda Guerra del Golfo e, più recentemente, nel novembre 2007, durante la sciagurata controffensiva alleata a Fallujah (Iraq), quando furono eseguite sino a quaranta missioni di bombardamento al giorno.
 
Della nuova task force aeronavale faranno pure parte il Destroyer Squadron - DESRON 1, costituito da cinque fregate della classe “Oliver Hazard Perry” (tutte dotate di cannoni Oto Melara 76mm/62 e Phalanx CIWS, lanciatori per missili “SM-1MR” ed “Harpoon” ed elicotteri “SH-60 Seahawk Lamps III”) e dagli incrociatori USS Bunker Hill e Lake Champlian della classe “Ticonderoga”, equipaggiati con sistemi missilistici a lancio verticale “Mk. 41 VLS”, missili RGM-84 “Harpoon” e “BGM-109 Tomahawk”, quest’ultimi a doppia capacità, convenzionale e nucleare. Il Bunker Hill ha partecipato nel gennaio 2007 alle operazioni di bombardamento USA in Somalia in contemporanea all’invasione del paese da parte delle forze armate etiopi.
La proiezione della forza aeronavale nell’intero continente esalterà ulteriormente il ruolo assunto dall’US Southern Command - SOUTHCOM (il Comando Sud delle forze armate USA con sede in Florida), nella pianificazione della strategia politica e militare degli Stati Uniti verso l’America latina. Il Comando, in particolare, ha pubblicato nel 2007 un documento dal significativo titolo “US Southern Command - Strategy 2016 Partnership for the America”, in cui si delineano le ragioni e gli obiettivi della presenza militare statunitense nell’area per il prossimo decennio.

Come evidenziato da Gabriel Tokatlian, docente di Relazioni Internazionali dell’Università San Andrés di Buenos Aires, si tratta del “piano strategico più ambizioso per la regione che sia mai stato concepito da diversi anni a questa parte da un’agenzia ufficiale statunitense”. Nelle pagine del report, SOUTHCOM si erge ad organizzazione leader, tra quelle esistenti negli Stati Uniti d’America, per assicurare “la sicurezza, la stabilità e la prosperità di tutta l’America”.

Ampio il ventaglio degli obiettivi strategici da conseguire entro il 2016: tra essi, una “migliore definizione del ruolo del Dipartimento della Difesa nei processi di sviluppo politico e socioeconomico del continente”; la “negoziazione di accordi di sicurezza in tutto l’emisfero”; l’“attribuzione a nuovi paesi della regione dello status di alleato extra-NATO” (oggi lo è la sola Argentina); la “creazione e l’appoggio di coalizioni per eseguire operazioni di pace a livello regionale e mondiale”; l’identificazione di “nazioni alternative disponibili ad accettare immigrati” e “stabilire relazioni per affrontare il problema delle migrazioni di massa”.

L’US Southern Command punta inoltre a sviluppare programmi continentali di “addestramento nel campo della sicurezza interna”; sostenere l’iniziativa di un “battaglione congiunto delle forze armate centroamericane per realizzare operazioni di stabilizzazione”; incrementare il numero delle cosiddette “località di sicurezza cooperativa” (si tratta di basi di rapido dispiegamento come quelle recentemente concesse alle forze armate USA dal governo colombiano di Alvaro Uribe).
 
In vista della riaffermazione egemonica delle forze armate USA in quello che da sempre viene considerato il “cortile di casa”, l’1 luglio 2008 è tornata ad essere operativa la IV Flotta dell’US Navy, disattivata dal Pentagono nel 1950. Il quartier generale della IV Flotta è stato emblematicamente stabilito presso la stazione navale di Mayport, Florida, sede dell’US Southern Command, e il comando diretto della flotta è stato attribuito al comandante in capo dell’US Naval Forces Southern Command (NAVSO), la componente navale di SOUTHCOM. “La IV Flotta opera di concerto con le componenti navali, sottomarine ed aree, le forze di coalizione e le Joint Task Forces di SOUTHCOM in una vastissima aerea geografica comprendente i Caraibi, il Centroamerica e il Sud America”, spiega Washington.

“Con lo scopo di rafforzare l’amicizia e la partnership con i paesi della regione, la IV Flotta supporta direttamente la Strategia Marittima USA, conducendo principalmente le missioni di appoggio alle operazioni di peacekeeping, l’assistenza medica ed umanitaria, il pronto intervento in caso di disastri, la realizzazione di esercitazioni marittime d’interdizione e di addestramento militare bilaterale e multinazionale, l’azione anti-droga, la lotta al terrorismo internazionale e al traffico di persone”. A conferma dell’obiettivo di “militarizzare” ogni aspetto civile, sociale e di “cooperazione”, si puntualizza che per la pianificazione e l’esecuzione delle proprie missioni, la IV Flotta opererà “accanto alle organizzazioni non governative, alle agenzie che rappresentano le nazioni partner e alle organizzazioni internazionali”.
La riproposizione della politica delle cannoniere in Sud America e nei Caraibi risponde alla necessità di rafforzare il presidio delle rotte commerciali regionali, fondamentali per l’economia statunitense, e di protezione dell’accesso e del controllo delle grandi corporation sulle incomparabili risorse energetiche, minerarie ed idriche del continente. Il Pentagono non nasconde inoltre che le task force navali siano state costituite come forma di pressione politico-militare contro i governi più o meno progressisti che guidano ormai buona parte dei paesi del continente americano.

La IV Flotta è risorta nel momento in cui si sono consolidate istanze di coordinamento politico, sociale ed economico regionale come Unasur, il Mercosur e l’Alba, ed è stato costituito il Consiglio di Difesa sud-americano, un organo di cooperazione tra le Forze Armate del continente che, tra ambiguità di fondo e latenti divisioni interne, ha tuttavia escluso la presenza statunitense.

Come successo in Africa con la costituzione del nuovo comando delle forze armate USA che sovrintende a tutte le operazioni nel continente (AFRICOM), i processi di militarizzazione dell’America latina sono stati accelerati per rispondere alla penetrazione economica e finanziaria della Cina. L’intercambio bilaterale del gigante asiatico con il continente ha raggiunto nel 2007 la ragguardevole cifra di 100 miliardi di dollari.

Dall’aprile del 2009 la Cina è divenuta la principale partner commerciale del Brasile, il paese sudamericano con il tasso di crescita più rilevante, scavalcando nettamente gli USA. La Cina si sta affermando inoltre come il principale mercato di esportazione del Cile, il secondo di Argentina, Perù, Costa Rica e Cuba, il terzo di Venezuela e Uruguay. I settori d’intervento sono molteplici: innanzitutto quello petrolifero (Pechino ha assicurato un prestito per 10 miliardi di dollari all’impresa petrolifera brasiliana Petrobras ed ha investito diverse centinaia di milioni di dollari nei giacimenti di Caracoles e dell’Orinoco in Venezuela e di Talara in Perù); il minerario (zinco in Perù, ferro in Brasile, rame in Cile); l’industria agroalimentare (Argentina), meccanica ed elettronica (ancora Brasile, Perù, Uruguay e Cuba).

Durante il primo anno di vita della Zona Franca di Nueva Palmira, sul Rio Uruguay, dove sono convogliate alcune produzioni agricole e forestali di Argentina, Brasile meridionale e Paraguay, la Cina compare come maggiore paese di destinazione finale delle merci (oltre 560.000 tonnellate, il 31% del totale, in buona parte soia e cellulosa). Tra i prodotti di alta tecnologia esportati al continente latinoamericano, ci sono pure i sistemi di tele-sorveglianza dei centri urbani.

Il governo frenteamplista uruguaiano ha affidato alla ZTE Corporation di Pechino una commessa di 12 milioni di dollari per la fornitura di telecamere a circuito chiuso da installare in porti, aeroporti, piazze e strade del paese sudamericano. Tra coloro che manifestano maggiore preoccupazione per l’avanzata economico-finanziaria cinese in America latina ci sono i manager dell’industria bellica statunitense. Sulla nota rivista del settore Air & Space Power Journal, nel novembre del 2006 è apparso un lungo articolo dedicato alla presenza del colosso asiatico in America latina, la cui pericolosa conseguenza sarà “la trasformazione dei porti del Pacifico” e il “cambiamento nella struttura economica con la perdita di posti di lavoro nel settore manifatturiero”.

Ergo, gli estensori ribadivano il “diritto e il dovere” degli Stati Uniti di “vigilare sulle modalità con cui questo intervento si ripercuote nella salute pubblica, sociale ed economica dell’emisfero occidentale”. Roger Noriega, ex segretario di Stato per gli Affari dell’Emisfero Occidentale, ha dichiarato di fronte al Congresso che “gli Stati Uniti continueranno ad osservare da vicino la strategia cinese di avvicinamento all’America latina, in modo da assicurare che essa sia compatibile con il progresso registrato nella regione nell’affermazione della democrazia rappresentativa. Un progresso duramente guadagnato…”.
 
Ulteriore elemento di preoccupazione per Washington, gli accordi di cooperazione nel settore militare sottoscritti dalla Cina con paesi della regione, in particolare quello che ha visto l’invio di personale militare venezuelano in Asia per la formazione nella gestione dei satelliti di telecomunicazione. Motivo di allarme tra gli strateghi statunitensi anche la crescente presenza di società della Cina nei porti di Balboa e Cristobal, nel Canale di Panama.

“Queste compagnie sono controllate da cinesi comunisti che hanno ottenuto un bastione nel Canale senza sparare un solo colpo, cosa che invece è costata lunghi sforzi al nostro paese”, ha dichiarato qualche tempo fa il portavoce del Comando SOUTHCOM. Attraverso il Canale di Panama transita attualmente il 5% del commercio globale e più dei due terzi delle imbarcazioni sono dirette a porti degli Stati Uniti.

Un’importanza economica destinata a crescere ulteriormente adesso che hanno preso il via i lavori di ampliamento del sistema di chiuse per consentire il transito a navi fino a 366 metri di lunghezza e 50 di larghezza, capaci di trasportare fino a dodicimila container, o alle petroliere in grado di stivare sino ad un milione di barili di greggio. I lavori nel Canale di Panama saranno completati entro il 2014 e costeranno più di 5,25 miliardi di dollari. Ad aggiudicarsi una porta sostanziale delle commesse un consorzio guidato dall’italiana Impregilo.
Proprio nel Canale di Panama, meno di un mese fa si è tenuta una mega-esercitazione aeronavale (PANAMAX 2009) promossa dall’US Southern Command. “Un’esercitazione insostituibile per continuare ad assicurare la difesa di questo corridoio strategico e prevenire un ampio spettro di possibili minacce, inclusi gli atti terroristici”, ha dichiarato il colonnello Michael Feil, comandante di US Army South e direttore delle operazioni aereonavali nel Canale.

“Le organizzazioni terroristiche transnazionali hanno come obiettivo quello di influenzare i paesi e convincerli ad opporsi alla partnership con gli Stati Uniti d’America. Attaccando il Canale di Panama essi colpiranno i beni che vi transitano e incoraggeranno i paesi ad ascoltarli”. “PANAMAX tiene insieme i paesi che sono d’accordo a sostenere lo sforzo per la sicurezza del Canale”, ha concluso il colonnello Feil. “I paesi partecipanti ne riconoscono il ruolo e l’importanza nel mantenere gli standard di vita e l’economia dei popoli della regione”.
 
All’importante esercitazione hanno partecipato 4.500 militari, 30 navi da guerra e decine di cacciabombardieri di Stati Uniti e venti nazioni straniere (Argentina, Belize, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Nicaragua, Olanda, Panama, Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana ed Uruguay).

PANAMAX è stata l’occasione perché la IV Flotta USA potenziasse sul campo capacità e funzioni, sperimentando tecniche d’intervento contro la pirateria navale e l’uso di velivoli senza pilota UAV. A conclusione di PANAMAX 2009, la IV Flotta ha ottenuto la pre-certificazione di Maritime Operations Center (MOC), il “congiunto di flessibilità e prontezza operativa”, necessari secondo la US Navy, per il “controllo delle missioni navali a livello bellico, d’intelligence, logistico e del settore delle telecomunicazioni”. “La IV Flotta – spiega SOUTHCOM - può condurre da oggi l’intero spettro delle operazioni di sicurezza marittima in appoggio agli obiettivi USA di cooperazione che promuovono la costruzione di alleanze e impediscono i tentativi di aggressione”.

Articolo pubblicato in Agoravox.it il 14 ottobre 2009

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