Partner indigesti in Albania per la società del Ponte sullo Stretto
La società Stretto di Messina “ente inutile”. Appare unanime il giudizio nel centrosinistra sulla concessionaria pubblica per la realizzazione del Ponte, opera “cristallizzata” dall’esecutivo, il cui schizzo progettuale è costato all’erario qualcosa come mille miliardi di vecchie lire. Se il Ponte non è più un’opera prioritaria, perché allora mantenere in vita l’organismo che ne tutela il marchio “doc”? Così si è scatenata una vera e propria gara tra i leader di governo per individuare il modo migliore per staccare la spina ad una macchina dagli insostenibili sprechi. Meglio tardi che mai, si dirà. Peccato che lo stesso centrosinistra, solo un anno fa, aveva offerto una salutare boccata di ossigeno ad una Stretto Spa ormai agonizzante.
Dopo aver decretato il “congelamento” di tutti i contratti per l’avvio del progetto esecutivo e dei lavori del Ponte, nell’ambito di un contorto provvedimento di tagli ed aggiustamenti in materia tributaria e finanziaria, il 3 ottobre 2006 il Governo autorizzava la società concessionaria “a svolgere all’estero (quale impresa di diritto comune e anche attraverso società partecipate) attività di progettazione, realizzazione e gestione di infrastrutture per il trasporto e di opere connesse”. Si trattava nello specifico del famigerato articolo 14 del decreto legge n. 262/2006, che oltre a sancire il cambio delle ragioni sociali modificava l’assetto societario della Stretto di Messina, decretando l’uscita definitiva di Fintecna (ex IRI). E peggio ancora, il dispositivo dell’articolo 14 definiva “opera di prevalente interesse nazionale” la realizzazione di un collegamento stabile viario e ferroviario fra la Sicilia ed il continente.
I signori del Ponte, ovviamente, non si sono fatti perdere la ghiotta occasione di rilanciare l’immagine ormai sbiadita del loro pesante carrozzone. L`ANAS, presieduta da quel Pietro Ciucci che ha mantenuto sino ad oggi l’incarico di amministratore delegato della Stretto di Messina Spa, a fine giugno 2007 ha approvato la scissione parziale del ramo infrastrutture di Fintecna, ereditandone la partecipazione di maggioranza nella società del Ponte. L’assetto azionario ne è uscito rivoluzionato: la partecipazione complessiva di ANAS è passata dal 13% all`81,848%, mentre il resto del capitale sociale è stato diviso tra le ex Ferrovie di Stato e le regioni Calabria e Sicilia.
Dallo Stretto ai Balcani via Algeria
Ciucci e consiglio di amministrazione della Stretto di Messina hanno pure adempiuto al mandato delle Camere avviando la penetrazione della società sul mercato internazionale delle grandi infrastrutture. Sappiamo oggi dal “Sole 24 Ore” del 13 settembre 2007 che la Spa del Ponte è “impegnata in gare in Serbia e Algeria”, e che è entrata in associazione temporanea con due aziende private ottenendo un contratto in Albania per dirigere i lavori di realizzazione dell’asse viario Levan-Tepelene e “alcuni elementi di formazione per il personale del ministero albanese dei Lavori pubblici, dei Trasporti e delle Telecomunicazioni”. La Stretto di Messina partecipa nell’ATI con una quota di appena il 20%, sufficiente tuttavia a creare non pochi grattacapi giuridici e finanziari nel momento in cui, si spera, le Camere approveranno l’annunciato emendamento di scioglimento della concessionaria del Ponte.
Certo, non è solo questo che lascia perplessi dell’operazione di Ciucci & Company sulla sponda orientale dell’Adriatico. In qualsiasi Paese democratico, sarebbe doveroso che i legislatori fissassero norme, regole di gioco e limiti sulla eventuale relazione economica tra enti pubblici e privati. In Italia invece soggetti controllori e controllati possono associarsi liberamente per fare profitti in casa e all’estero. Sarebbe poi utile interrogarsi sulla fattibilità, la sostenibilità socioambientale e l’utilità del programmato intervento da 2,5 milioni di euro in Albania. Sempre “Il Sole 24 Ore” sostiene che “il progetto, finanziato dall’Unione europea, riguarda il potenziamento dell’asse Nord-Sud del Paese delle aquile, che consente di rendere più efficiente il collegamento dei porti di Valona e Durazzo con i mercati macedoni e greci”. La mobilità, ovviamente, è quella delle merci (presunte), non certo quella delle persone in carne e ossa che continueranno ad essere respinte massicciamente dall’Europa fortezza. Lo stesso concetto di Albania “corridoio” è assai discutibile. Il Paese continua a non produrre quasi nulla e l’unica cosa che importa a Bruxelles è che possa essere comodamente bypassato. Per lo “sviluppo” endogeno si dovrà attendere ancora.
Delicatissimo poi il momento per avviare lavori pubblici in Albania. In quello che viene considerato tra i paesi a più basso livello di trasparenza nella gestione delle risorse pubbliche, è appena scoppiato lo scandalo su un presunto giro di tangenti milionarie per l’aggiudicazione dei lavori dell’autostrada Durazzo-Kukës–Morinë, un affaire che coinvolgerebbe funzionari e politici di governo e che si ritiene che avrà effetti similari a quelli che si registrarono in Italia nel biennio 1992-93 con Mani Pulite.
C’è poi l’impatto sul territorio e l’ambiente di certe opere infrastrutturali, tema che sappiamo trovare poca attenzione nella Stretto di Messina Spa e tra i suoi partner progettuali. Ebbene, il progetto è finalizzato al potenziamento dei porti di Durazzo e Valona; in quest’ultimo, in particolare, Banca Mondiale, Banca Europea per gli Investimenti e Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo si sono offerte di finanziare la realizzazione di un parco industriale composto da sette impianti fra i quali un terminale per lo stoccaggio e la trasmissione di idrocarburi, una raffineria e una centrale termoelettrica per la conversione e riconversione del gas. Un progetto da 120 milioni di euro che cancellerà sotto il cemento e l’acciaio la splendida baia di Valona, con devastanti conseguenze sull’equilibrio naturale e sulla vita di flora e fauna della vicina laguna di Narta, area protetta dalla Convenzione di Ramsar sulle paludi.
Grandi Opere che non muoiono mai
Argomento assai spinoso quello di certi conflitti d’interesse, più o meno latenti, che potrebbero generarsi con l’indigesta alleanza della Stretto di Messina con le due grandi aziende private, la Technital Spa e la Tecnic Spa , in posizione nettamente dominante (la somma delle rispettive quote nell’ATI ascende all’80%). Probabilmente né il Cda della società del Ponte né i suoi azionisti devono brillare per memoria o senso di opportunità: proprio Technital, in associazione con Systra S.A., ha concorso appena un anno e mezzo fa alla gara indetta dalla Stretto di Messina per il “Project Management Consultant” (le attività di controllo e verifica della progettazione della megaopera), ed assegnata alla statunitense Parsons Transportation Group.
Fondata nel 1964 a Verona, Technital è attualmente una delle maggiori società d’ingegneria nel settore delle infrastrutture trasportistiche, dei lavori marittimi e degli impianti idrici e “ambientali”. Il fiore all’occhiello, ampiamente pubblicizzato nella pagina web di Technital rigorosamente in lingua inglese, è il “Progetto di Salvaguardia di Venezia” dalle correnti e dalle maree, più noto come MOSE. Technital, nel lontano 1984, è stata individuata dalle autorità competenti come la unica società consulente “responsabile per le attività d’engineering” del sistema che è fortemente osteggiato da ambientalisti, studiosi ed ingegneri per il devastante impatto sulle coste e sulla laguna che sarà generato dalle barriere mobili in fase di realizzazione. I costi finali di quest’altra Grande Opera dichiarata “irrinunciabile” dal governo Berlusconi ed integralmente fatta propria da Prodi e centrosinistra, sono ancora ignoti, ma c’è chi giura che faranno impallidire i progettisti del Ponte tra Scilla e Cariddi.
Il MOSE non è l’unico progetto del curriculum di Technital che si caratterizza per l’insostenibilità in campo ambientale. L’azienda ha infatti firmato il design di viadotti, sottopassaggi e tunnel di circa 40 chilometri della tratta ferroviaria ad alta velocità Milano-Bologna, tra le province di Piacenza e Modena. “Altro progetto significativo – si legge nel sito web di Technital – è stato lo studio preliminare dei lavori idraulici per il nuovo impianto idroelettrico di Pont Ventoux, in Val Susa, che prevede la parziale utilizzazione delle acque del fiume Dora Riparia. Il progetto è stato eseguito in associazione con Electricité de France e Coyne et Bellier”. Oggi gli abitanti della Val Susa rischiano di essere privati dell’accesso alle esigue fonti idriche con l’avvio dei lavori del tunnel per il collegamento ferroviario ad alta velocità Torino-Lione.
Technital ha pure curato lo studio progettuale e la valutazione dell’impatto ambientale della contestatissima autostrada della Valtrompia, una delle valli più belle della Lombardia lacerata dall’industrializzazione selvaggia dei piccoli e medi produttori di armi “made in Italy”. Nello specifico i lavori sono stati condotti in associazione temporanea con S.I.N.A. Società Iniziative Nazionali Autostradali Spa, Tecnic (la partner di Technital e Stretto di Messina per i futuri lavori stradali in Albania), Rocksoil (la società per azioni interamente controllata dalla famiglia dell’ex ministro delle infrastrutture, Pietro Lunardi) e da Spea Ingegneria Europea, società il cui nome ricorre periodicamente nella storia del collegamento stabile Calabria-Sicilia. Nel 1990 Spea ha infatti curato per conto della concessionaria statale uno studio di fattibilità sull’ipotesi di attraversamento in alveo dello Stretto di Messina, mentre a fine 2005 ha guidato l’associazione temporanea d’imprese che ha partecipato senza successo alla gara per il monitoraggio ambientale della fase di costruzione del Ponte.
“Technital – si legge sempre sul web – ha eseguito i servizi d’engineering per lo sviluppo della Costa Smeralda in Sardegna, un progetto da 20 milioni di dollari che includeva il design preliminare e finale, la supervisione e la costruzione di nuovi complessi residenziali, strade e servizi, nonché infrastrutture turistiche per un esclusivo resort nel Mediterraneo”. E negli anni in cui si consumava lo scempio di una delle coste più ambite della Sardegna, Technital veniva pure contrattata per eseguire il design e sovrintendere ai lavori di “ricostruzione e ristrutturazione degli edifici di quattro municipi della Regione Campania”, dopo il terremoto del novembre 1980. Allora, commissario straordinario del Governo per la ricostruzione era l’on. Giuseppe Zamberletti, navigato politico democristiano, oggi presidente della società Stretto di Messina.
L’autostrada che non finisce mai
Vero e proprio pozzo di San Patrizio di Technital è stata tuttavia l’autostrada Messina-Palermo, l’opera con l’esecuzione più lenta della storia d’Italia, quaranta anni di lavori a singhiozzi, sprechi di risorse finanziarie, decine d’inaugurazioni e fittizi tagli di nastri, infiltrazioni mafiose e mazzette multimilionarie per politici e amministratori, indicibili disagi e mortali incidenti per utenti e abitanti. Technital, per conto di ANAS e del Consorzio concessionario, ha eseguito a partire del 1967 tutti i disegni del tortuoso tragitto ed ha progettato i viadotti e i lunghi tunnel che tormentano guidatori e la vista dei turisti che visitano Peloritani, Nebrodi e Madonie o cercano il sollievo delle acque del Tirreno.
Non sono mancati naturalmente i tormentoni di tipo giudiziario. Anche di recente. Perlomeno l’ultimo vale la pena di raccontarlo. Silvio Berlusconi e il ministro Lunardi si erano impegnati con i siciliani che entro la fine del 2004 la Messina-Palermo sarebbe stata finalmente completata e aperta al pubblico. Progettisti, ANAS, concessionaria e imprese contrattate s’impegnarono con tutte le loro forze per non sbugiardare l’esecutivo. “Fecero troppo in fretta – scrive il Giornale di Sicilia del 27 ottobre 2006 - e non esitarono a nascondere che quei lavori erano tutt`altro che finiti”. Morale della favola? L’avvio di un’indagine da parte della Procura di Mistretta sul comportamento di otto tecnici (tra cui i rappresentanti di ANAS, consorzio per le autostrade siciliane e Technital) che diedero il via libera alla circolazione. Gravi le accuse: attentato alla sicurezza stradale e falso in atto pubblico.
Avvalendosi della consulenza di due ingegneri palermitani, Mario D`Amore e Antonino D`Orso, i magistrati hanno rilevato che nel tratto autostradale di 41 chilometri consegnati il 21 dicembre del 2004 c’erano “situazioni distribuite e concentrate di pericolo grave” e “non sussistevano i requisiti minimi di garanzia della sicurezza della circolazione”. In particolare, il “battesimo” dell`opera (presenti il gotha dell’esecutivo Berlusconi e del governo Cuffaro) sarebbe avvenuto malgrado il rischio “di incidenti di vaste proporzioni” nelle gallerie che caratterizzano il percorso, dove i tecnici nominati dalla Procura hanno ravvisato la “mancanza degli standard di sicurezza: assenza degli areatori, vie di fuga ostruite, colonnine per l’sos fuori uso, illuminazione non funzionante, semafori e telecontrollo inattivi”. Capitolo a parte lo svincolo di Furiano, caso unico di rampa d’accesso in autostrada direttamente sulla corsia di sorpasso, duramente stigmatizzato dai periti per la concreta possibilità di “conflittualità laterale".
Tanto per restare in Sicilia e al tema della mobilità, ricorderemo infine che nel febbraio 1999 Technital “collegata a Fincosit” (vedi “Gazzetta del Sud” del 2 ottobre 2002) presentò un progetto per la realizzazione di un approdo navale in località Tremestieri “per conto della Amedeus”, società del gruppo calabrese Matacena che con i Franza di Messina gestisce da tempi remoti e in condizioni di monopolio il traghettamento mezzi privati e passeggeri nello Stretto. Di quel progetto non se ne fece niente anche se qualche anno più tardi fu avviata una gara d’appalto per un approdo nella stessa località. Vi partecipò direttamente la Grandi Lavori Fincosit Spa, rappresentata dall’onnipresente ingegnere messinese Beppe Rodriquez. Fincosit ha poi partecipato alla gara per il general contractor del Ponte sullo Stretto in cordata con Astaldi. Il nome della società di costruzioni compare nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dalla procura di Roma ai danni dell’ingegnere italocanadese Giuseppe Zappia, nell’ambito dell’inchiesta sulla presunta infiltrazione mafiosa nella realizzazione del Ponte. I magistrati scrivono che alla vigilia dell’espletamento della gara, mister Zappia avrebbe preso contatti “diretti” o “indiretti” con il “gruppo Vinci (in associazione con Impregilo), la francese Bouygues (partner di Strabag), nonché la società Fincosit in A.T.I. con Astaldi”.
Il volto poco umano del capitalismo italiano
Africa, Europa orientale, Medio oriente, Asia e America latina sono le aree del pianeta dove il gruppo Technital ha fornito “assistenza tecnica e progettuale” spesso grazie alla contrattazione dei più noti e discussi organismi di credito internazionale (Banca Mondiale, Banco Interamericano per lo Sviluppo, BERD) o degli organismi con ambigue finalità di “cooperazione allo sviluppo” (Unione Europea, Ministero Affari Esteri italiani, UNDP). Nel portafoglio lavori di Technital non mancano i Paesi nella lista nera per la violazione dei diritti umani o al centro di sanguinosi conflitti. In Turchia sono stati progettati due viadotti dell’autostrada Istanbul-Ankara; in Colombia un tunnel sotterraneo lungo 14 chilometri per collegare la capitale Bogotà ai Cerros Orientales; nella regione dei Grandi Laghi, in Africa, perfino lo studio di un futuristico sistema d’integrazione dei trasporti stradali, ferroviari, fluviali e navali del cosiddetto “Kagera River Basin”, diviso tra Burundi, Rwanda, Tanzania ed Uganda.
Finanziato nel 1982 da UNDP, l’agenzia delle Nazioni Unite per lo sviluppo, grazie a fondi provenienti dai governi d’Italia e Austria, lo studio è rimasto del tutto lettera morta. E non poteva essere altrimenti: due anni più tardi la regione dei Grandi Laghi diveniva l’epicentro di uno dei più grandi genocidi della storia dell’umanità. Milizie ed eserciti massacrarono civili inermi e milioni di profughi affamati si dispersero in quei Paesi che per l’emisfero Nord erano solo le direttrici ove realizzare 1.500 chilometri di ferrovie e strade asfaltate ove far transitare merci e prodotti destinati all’Oceano Indiano.
Sempre in Africa, nel minuscolo ma strategico ex protettorato francese di Djibouti, appena tre anni fa Technital ha progettato e monitorato per 27 milioni di euro la costruzione delle tre principali strade urbane. Djibouti è oggi un cantiere dove si moltiplicano infrastrutture viarie, portuali ed aeroportuali. La supervisione è del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti che l’ha prescelto come sede dell’istituendo Comando d’Africa delle forze armate Usa che sovrintenderà alle future operazioni in un’area che si estende dal Golfo di Guinea sino al Corno d’Africa e il Mar Rosso.
Tra gli sceicchi e gli emiri della penisola arabica, Technital - come buona parte delle grandi e medie imprese di costruzioni italiane - ha trovato inesauribili e ben retribuite fonti di lavoro. Nel piccolo Dubai la società d’ingegneria ha concorso alla realizzazione del nuovo porto internazionale. In Qatar, Technital ha invece progettato e supervisionato la realizzazione di strade ed autostrade in centri urbani ed industriali, nonché la costruzione del porto industriale di Ras Laffan, dove sorge il più grande complesso di degassificazione al mondo, costato circa un miliardo di dollari. Alcuni dei lavori in Qatar sono stati realizzati in consorzio con Società Italiana Condotte d’Acqua, azienda che compare nell’ATI a guida Impregilo a cui la Stretto di Messina Spa ha affidato la progettazione e la costruzione del Ponte.
Altri “prestigiosi contratti internazionali” Technital li ha ottenuti dal regime oscurantista dell’Arabia Saudita, come ad esempio quello per la costruzione delle nuove stazioni ferroviarie di Dammam, Hofuf e Riyadh, o quello per lo studio di fattibilità della rete ferroviaria ad alta velocità tra Riyadh e Dammam, lunga 450 chilometri. Forse pochi ricorderanno che dovevano uscire proprio dalle casse della famiglia regnante dell’Arabia Saudita parte dei finanziamenti privati necessari alla costruzione del Ponte. Ce lo ricorda il chiacchierato imprenditore italo-canadese Giuseppe Zappia. Pur negando ogni contatto con Cosa Nostra, Zappia ha rivelato ai magistrati il nome del suo presunto oscuro finanziatore: il principe Bin Nawaf bin Abdulaziz Al Saud, uno dei nipoti di re Fahd.
Ci sono poi i Balcani, dove Technital ha ottenuto importanti commesse tra cui la progettazione e realizzazione di ponti e posti di frontiera sparsi per la frammentata e conflittuale Bosnia ed Herzegovina. In Montenegro è stata fornita assistenza per l’implementazione del piano d’investimenti nel settore trasporti, mentre nella confinante Albania, Technital è stata contrattata in passato per il design di un intervento d’urgenza finalizzato alla riparazione di tre trami stradali per 103 chilometri, nonché per l’assistenza tecnica nella gestione della Luguna di Karavasta, una delle aree umide più importanti dal punto di vista naturale, paesaggistico ed ornitologico della costa settentrionale albanese (presenza di una colonia di pellicani “Crispus” in via di estinzione). Con fondi del programma PHARE dell’Unione europea (circa 340.000 euro), tra il 1995 e il 1996 l’azienda italiana ha presentato un “piano per lo sviluppo dell’ecoturismo internazionale e per la gestione e lo sfruttamento delle risorse della pesca nella laguna”. Senza entrare in merito alla difficilissima coesistenza tra difesa dell’ambiente – turismo di massa – sviluppo della pesca, preferiamo annotare che dopo questo piano finanziato con denaro pubblico non sono seguiti interventi concreti nell’area di Karavasta. Nel 1997 l’Albania fu investita da una grave crisi sociale e politica segnata dal crollo delle piramidi finanziarie e dalla violenta repressione popolare dell’allora governo di Sali Berisha. E ci fu ben altro da pensare…
Anche la seconda società partner della Stretto di Messina nella missione in terra d’Albania, la Tecnic Consulting Engineers di Roma, ha eseguito lavori di progettazione in Arabia Saudita per conto dei locali ministeri delle Comunicazioni e delle Municipalità. Inoltre anche Tecnic ha lavorato per conto della Banca Mondiale, del BID e del BERD, operando in paesi “difficili” come Colombia e Turchia.
Lobby di ingegneri e progettisti
Società per azioni con un capitale sociale di 322.400 euro, Tecnic, come Technital, è stata cliente degli enti italiani di gestione delle infrastrutture di trasporto (ANAS e Ferrovie dello Stato) che esercitano il pieno controllo della Stretto di Messina, nonché delle principali concessionarie autostradali su cui la stessa ANAS di Pietro Ciucci esercita o dovrebbe esercitare funzioni di controllo. In particolare nel giugno 2003, Rete Ferroviaria Spa ha affidato con licitazione privata all’ATI Technital, Tecnic, Systra S.A., Sistra-Sotecni lo studio progettuale per l’ampliamento della linea stradale Palermo-Agrigento. Qualche mese dopo la romana Tecnic ha invece vinto la gara indetta dal Comune di Reggio Calabria per la progettazione e la direzione dei lavori di riqualificazione del lungomare di Gallico, quartiere nord di fronte allo Stretto.
Tecnic e la stessa Technital sono pure membri dell’OICE, l’“Associazione delle Organizzazioni di Ingegneria e di Consulenza Tecnico-Economica”, costituita nel 1965 su iniziativa di alcune imprese con l’obiettivo di “favorire lo sviluppo delle società di ingegneria italiane nel mercato nazionale e all’estero e la promozione di “joint ventures” fra le organizzazioni aderenti”. Di questa lobby, l’ing. Clemente Fascetti presidente Tecnic, ricopre ininterrottamente dal 2001 il ruolo di consigliere. Tra le aziende socie OICE, diverse incrociano i loro nomi con le vicende recenti e passate dell’operazione Ponte sullo Stretto. Sino alla sua liquidazione compariva ad esempio Iritecna, al tempo socia di maggioranza della Stretto di Messina Spa. Oggi c’è invece la Technic della famiglia italo-argentina Rocca, artefice della scalata ad Impregilo con Benetton e Gavio proprio alla vigilia della gara per il general contractor del Ponte e successivamente defilatasi per dar posto a Salvatore Ligresti. Ci sono poi Snamprogetti (gruppo Eni) e Technip Italy Spa, consorziatesi in vista della gara per il “Project Management Consultant” del Ponte a cui ha pure partecipato Technital. Socie OICE sono due altre partecipanti alla gara per il PMC, Italferr e Tecnimont. Italferr è la società d’ingegneria delle Ferrovie dello Stato, di cui Tecnic e Technital sono state importanti clienti. La seconda società è stata acquisita nel luglio 2005 dalla Maire Holding, gruppo a cui fa capo Maire Engineering (già Fiat Engineering), consorziatasi con Astaldi per partecipare alla gara per il general contractor del Ponte sullo Stretto.
A intrigare la ragnatela la presenza nell’organismo di rappresentanza e pressione dei maggiori gruppi d’ingegneria delle società Bonifica e Sotecni. Queste due, in associazione con Systra S.A. (la stessa in ATI con Technital e Tecnic per la Palermo-Agrigento , poi in gara con Technital per il Project Management Consultant), hanno eseguito nel 2002 per conto della Stretto di Messina un contestatissimo aggiornamento dello studio di impatto ambientale del Ponte. Sempre Bonifica, una decina di anni prima, aveva eseguito lo studio di fattibilità per il collegamento ferroviario e una prima superficiale valutazione ambientale del Ponte.
L’elenco dei membri del consiglio dirigente di OICE riserva altre sorprese. Accanto all’ingegnere Fascetti di Tecnic, compare infatti il cavaliere del lavoro Federico Grazioli, presidente di Agriconsulting, la società di consulenza che in ATI con Fenice Spa ha ottenuto l’incarico per le attività di monitoraggio ambientale, territoriale e sociale nella fase di costruzione e di esercizio del Ponte sullo Stretto e dei suoi collegamenti stradali e ferroviari. In consiglio siede pure il rappresentante legale dello Studio d’Ingegneria Carlo Lotti & C., socio di minoranza della società mista Nettuno Spa sorta su volere delle amministrazioni comunale e provinciale di Messina per realizzare un megaporticciolo turistico nella riviera nord della città, in barba ad ambientalisti e studiosi che denunciano il devastante impatto che esso avrebbe su costa, paesaggio ed esseri viventi marini.
Dal 2003 è consigliere di OICE l’ingegnere Franco Cavallaro, titolare dello Studio FC & RR Associati di Messina. Si tratta quest’ultimo di uno dei partner privati del Comune di Messina nel piano di trasformazione urbana dello storico quartiere del Tirone. Della società mista “Il Tirone Spa”, lo stesso Cavallaro è uno dei membri del consiglio di amministrazione. La società vede anche la presenza di Garbali-Conicons, società del gruppo Pizzarotti Parma attivo nella realizzazione e l`ampliamento di buona parte delle basi militari Usa e Nato in Italia (Comiso, Sigonella, Napoli, Camp Ederle, La Maddalena ). Già in cordata con Astaldi nella fase di prequalifica per la gara del Ponte, dal 2004 la stessa Pizzarotti è general contractor per la realizzazione dell’arteria autostradale Catania-Siracusa. Progetto, studio ambientale e supervisione dei lavori della nuova infrastruttura viaria sono stati assegnati da ANAS e Consorzio autostrade siciliane alla immancabile Technital.
Nella Tirone Spa sono poi presenti in posizione di rilievo due aziende del gruppo messinese Borrella, la Demoter ed Ingegneria e Finanza Srl. Questo gruppo è operativo nel settore della movimentazione terra e delle grandi costruzioni e ha gestito numerosi appalti per tutta Italia. Uno di essi, forse il più tormentato, ha comportato la realizzazione del primo lotto della Strada dei Marmi, arteria di collegamento tra i bacini marmiferi e le principali direttrici di traffico del comune di Carrara. A curarne il progetto esecutivo ancora Technital. In verità alla società veneta era stata pure promessa la direzione dei lavori, ma insorse un duro contenzioso con l’ente appaltante che ne decretò l’esclusione. A sancire il divorzio con gli amministratori locali le differenze di vedute sul tracciato viario e i costi, “eccessivi”, del progetto originale.
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