Guerra totale contro i pirati del Corno d’Africa
Una nuova ondata di sequestri di navi e petroliere, circa 300 marinai nelle mani dei sequestratori, gli inseguimenti da parte di una cinquantina di imbarcazioni militari provenienti da Europa, Asia, Africa e Nord America, gli arresti e le deportazioni a paesi terzi, le prime 5 vittime, quattro “pirati” ed un ostaggio, dopo la controffensiva delle unità da guerra francesi e statunitensi. Ha subito una drammatica escalation la campagna internazionale contro la “pirateria” che imperversa nelle acque del Golfo di Aden. L’evento più emblematico, seguito in diretta da centinaia di milioni di telespettatori, è avvenuto la domenica di Pasqua, quando i tiratori scelti del corpo d’élite dei Navy Seals della marina statunitense, imbarcati sulla fregata lanciamissili “Bainbridge”, hanno ucciso tre pirati che navigavano a bordo di una scialuppa a largo delle coste somale.
Nell’imbarcazione era tenuto prigioniero il capitano Richard Philipps, sequestrato dopo il fallito arrembaggio alla nave cargo Maersk-Alabama. Un quarto sequestratore è stato fatto prigioniero dai marines e condotto sull’unità navale USNS Lewis and Clark, trasformata in vero e proprio carcere galleggiante per la detenzione “provvisoria” delle persone accusate di pirateria. I militari USA decideranno nei prossimi giorni se deportare il prigioniero in Kenya, paese con cui è stato sottoscritto un accordo che ricorda le extraordinary renditions post 11 settembre, o se processarlo invece direttamente negli Stati Uniti.
Finiranno sicuramente in un carcere keniano gli undici presunti “pirati” catturati nei giorni scorsi da una unità militare francese. Dopo uno scambio di missive avviato lo scorso novembre e tenuto rigorosamente segreto, la Commissione dell’Unione europea si è accordata con le autorità di Nairobi per trasferire in Kenya tutte le “persone sospettate di aver commesso atti di pirateria in alto mare e fermate dalla forza navale EUNAVFOR”. Bontà loro, UE e partner africano “confermano che tratteranno le persone catturate in modo umano ed in conformità agli obblighi internazionali in materia di diritti umani, incluso il divieto della tortura o di qualsiasi altro trattamento o pena crudele, disumana o degradante e il divieto della detenzione arbitraria ed in conformità al requisito del diritto a un processo equo”. Completo silenzio su chi vigilerà sul rispetto del comune impegno umanitario.
Un atto “dovuto” quello del sanguinoso blitz dei Navy Seals, non fosse altro che la persona in mano ai pirati era al comando di una delle maggiori imbarcazioni da trasporto della compagnia di navigazione statunitense Maersk Line Limited, una delle più strenue sostenitrici di Africom, il nuovo comando istituito dalle forze armate USA per le operazioni di guerra nel continente africano. Il 27 novembre 2007, la società privata aveva organizzato un convegno dal titolo “Africom: anticipare le richieste logistiche”, invitando come relatore Dan Pike, direttore del team per gli affari africani del Dipartimento della Difesa USA.
La liberazione di Richard Philipps è stata pure l’occasione perché il Pentagono portasse a termine la trattativa con la rete televisiva “Spike TV”, e aggiudicare l’esclusiva delle operazioni della marina statunitense nel golfo di Aden contro i pirati. Sarà così realizzato un vero e proprio reality show che si chiamerà “Pirate Hunters: USN” (“i caccia-pirati: la US Navy”) e che sarà seguito da due troupe che opereranno a bordo della nave anfibia “San Antonio” e della portaelicotteri lanciamissili “USS Boxer”, nave ammiraglia della Combined Task Force 151 che presidia le acque del Corno d’Africa. Con l’acutizzarsi della crociata anti-pirateria, l’ammiraglio Mike Mullen che guida la flotta USA anti-pirati, ha preannunciato che le forze armate rivedranno “globalmente e profondamente” le loro strategie operative. In discussione l’ipotesi di estendere le azioni armate direttamente in territorio somalo, forti dell’autorizzazione deliberata recentemente dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Gli esperti del Pentagono e della NATO suggeriscono poi l’uso di forze aeronavali “miste”, composte da portaelicotteri, fregate, unità più piccole e veloci per l’inseguimento delle imbarcazioni dei pirati, più un ampio dispositivo di forze aree, elicotteri e velivoli senza pilota. Verrebbe auspicato inoltre l’intervento diretto dei contractor privati nella prevenzione degli assalti e l’ampliamento delle “difese passive e attive” delle navi cargo e delle petroliere, grazie all’installazione di “armi non letali” come cannoni ad acqua, fili elettrici e apparecchiature laser ed acustiche che generano rumori dolorosi a lungo raggio. Nel frattempo si rafforzerà ulteriormente il dispositivo navale di fronte alle coste della Somalia: nei primi giorni di maggio, anche Svezia, Olanda e Norvegia invieranno fregate e navi-cisterna nell’area di guerra. Ovviamente l’Italia fa la sua parte. Dallo scorso 6 aprile le acque del Corno d’Africa sono perlustrate dalla fregata “Maestrale” con un equipaggio di 220 marinai, più gli incursori-subacquei del Comsubin e due elicotteri lanciamissili AB 212.
Nei piani originari del Ministero della Difesa la “Maestrale” avrebbe dovuto operare congiuntamente alla flotta navale dell’Unione europea “Atalanta”, sotto il comando dell’ammiraglio Philip Jones dell’EU Operational Headquarters di Northwood (Gran Bretagna). Dopo il sequestro del rimorchiatore italiano Buccaneer con 16 membri di equipaggio, è stato però deciso che la fregata resterà sotto il controllo dell’autorità politica nazionale, mantenendo così massima autonomia d’azione nel caso in cui si decida un blitz per liberare gli ostaggi. Pare che il comando militare della flotta europea avesse manifestato l’intenzione di spostare l’unità italiana verso est, nel tentativo di sventare nuove azioni di pirateria all’imbocco del golfo di Aden, allontanandola dal porto di Lasqorei, nella regione autonoma del Puntland, dove la Buccaneer è stata ormeggiata.
Il 15 aprile alla Farnesina si sarebbe tenuto un summit di pianificazione tra i responsabili agli Esteri e alla Difesa ed alti ufficiali del Comando operativo interforze, del Comando in capo della squadra navale della Marina Militare e del Comando congiunto delle Forze speciali. Il ministro Frattini getta però acqua sul fuoco e assicura che il governo ha scelto la via “pacifica” della trattativa per il rilascio dei sequestrati. “Non giudichiamo le operazioni degli altri, ma in questi casi la via italiana è quella di assicurare sempre e comunque che non vi sia pericolo per gli ostaggi”, ha dichiarato il ministro. E circolano già le prime voci sull’ammontare del riscatto che verrebbe pagato per rendere inutile l’azione militare. Nel corso di un’intervista rilasciata all’emittente britannica BBC, Yusuf Bari-Bari, ambasciatore della Somalia a Ginevra, ha dichiarato che nel Puntland è forte la “psicosi a proposito del carico delle chiatte rimorchiate dal Buccaneer, in quanto gli abitanti temono che esse portino rifiuti tossici”. Ipotesi fermamente smentita da Silvio Bartolotti, il manager della ditta di “Micoperi” di Ravenna, proprietaria del rimorchiatore sequestrato dai pirati.
Articolo pubblicato in Agoravox.it il 17 aprile 2009
Nell’imbarcazione era tenuto prigioniero il capitano Richard Philipps, sequestrato dopo il fallito arrembaggio alla nave cargo Maersk-Alabama. Un quarto sequestratore è stato fatto prigioniero dai marines e condotto sull’unità navale USNS Lewis and Clark, trasformata in vero e proprio carcere galleggiante per la detenzione “provvisoria” delle persone accusate di pirateria. I militari USA decideranno nei prossimi giorni se deportare il prigioniero in Kenya, paese con cui è stato sottoscritto un accordo che ricorda le extraordinary renditions post 11 settembre, o se processarlo invece direttamente negli Stati Uniti.
Finiranno sicuramente in un carcere keniano gli undici presunti “pirati” catturati nei giorni scorsi da una unità militare francese. Dopo uno scambio di missive avviato lo scorso novembre e tenuto rigorosamente segreto, la Commissione dell’Unione europea si è accordata con le autorità di Nairobi per trasferire in Kenya tutte le “persone sospettate di aver commesso atti di pirateria in alto mare e fermate dalla forza navale EUNAVFOR”. Bontà loro, UE e partner africano “confermano che tratteranno le persone catturate in modo umano ed in conformità agli obblighi internazionali in materia di diritti umani, incluso il divieto della tortura o di qualsiasi altro trattamento o pena crudele, disumana o degradante e il divieto della detenzione arbitraria ed in conformità al requisito del diritto a un processo equo”. Completo silenzio su chi vigilerà sul rispetto del comune impegno umanitario.
Un atto “dovuto” quello del sanguinoso blitz dei Navy Seals, non fosse altro che la persona in mano ai pirati era al comando di una delle maggiori imbarcazioni da trasporto della compagnia di navigazione statunitense Maersk Line Limited, una delle più strenue sostenitrici di Africom, il nuovo comando istituito dalle forze armate USA per le operazioni di guerra nel continente africano. Il 27 novembre 2007, la società privata aveva organizzato un convegno dal titolo “Africom: anticipare le richieste logistiche”, invitando come relatore Dan Pike, direttore del team per gli affari africani del Dipartimento della Difesa USA.
La liberazione di Richard Philipps è stata pure l’occasione perché il Pentagono portasse a termine la trattativa con la rete televisiva “Spike TV”, e aggiudicare l’esclusiva delle operazioni della marina statunitense nel golfo di Aden contro i pirati. Sarà così realizzato un vero e proprio reality show che si chiamerà “Pirate Hunters: USN” (“i caccia-pirati: la US Navy”) e che sarà seguito da due troupe che opereranno a bordo della nave anfibia “San Antonio” e della portaelicotteri lanciamissili “USS Boxer”, nave ammiraglia della Combined Task Force 151 che presidia le acque del Corno d’Africa. Con l’acutizzarsi della crociata anti-pirateria, l’ammiraglio Mike Mullen che guida la flotta USA anti-pirati, ha preannunciato che le forze armate rivedranno “globalmente e profondamente” le loro strategie operative. In discussione l’ipotesi di estendere le azioni armate direttamente in territorio somalo, forti dell’autorizzazione deliberata recentemente dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Gli esperti del Pentagono e della NATO suggeriscono poi l’uso di forze aeronavali “miste”, composte da portaelicotteri, fregate, unità più piccole e veloci per l’inseguimento delle imbarcazioni dei pirati, più un ampio dispositivo di forze aree, elicotteri e velivoli senza pilota. Verrebbe auspicato inoltre l’intervento diretto dei contractor privati nella prevenzione degli assalti e l’ampliamento delle “difese passive e attive” delle navi cargo e delle petroliere, grazie all’installazione di “armi non letali” come cannoni ad acqua, fili elettrici e apparecchiature laser ed acustiche che generano rumori dolorosi a lungo raggio. Nel frattempo si rafforzerà ulteriormente il dispositivo navale di fronte alle coste della Somalia: nei primi giorni di maggio, anche Svezia, Olanda e Norvegia invieranno fregate e navi-cisterna nell’area di guerra. Ovviamente l’Italia fa la sua parte. Dallo scorso 6 aprile le acque del Corno d’Africa sono perlustrate dalla fregata “Maestrale” con un equipaggio di 220 marinai, più gli incursori-subacquei del Comsubin e due elicotteri lanciamissili AB 212.
Nei piani originari del Ministero della Difesa la “Maestrale” avrebbe dovuto operare congiuntamente alla flotta navale dell’Unione europea “Atalanta”, sotto il comando dell’ammiraglio Philip Jones dell’EU Operational Headquarters di Northwood (Gran Bretagna). Dopo il sequestro del rimorchiatore italiano Buccaneer con 16 membri di equipaggio, è stato però deciso che la fregata resterà sotto il controllo dell’autorità politica nazionale, mantenendo così massima autonomia d’azione nel caso in cui si decida un blitz per liberare gli ostaggi. Pare che il comando militare della flotta europea avesse manifestato l’intenzione di spostare l’unità italiana verso est, nel tentativo di sventare nuove azioni di pirateria all’imbocco del golfo di Aden, allontanandola dal porto di Lasqorei, nella regione autonoma del Puntland, dove la Buccaneer è stata ormeggiata.
Il 15 aprile alla Farnesina si sarebbe tenuto un summit di pianificazione tra i responsabili agli Esteri e alla Difesa ed alti ufficiali del Comando operativo interforze, del Comando in capo della squadra navale della Marina Militare e del Comando congiunto delle Forze speciali. Il ministro Frattini getta però acqua sul fuoco e assicura che il governo ha scelto la via “pacifica” della trattativa per il rilascio dei sequestrati. “Non giudichiamo le operazioni degli altri, ma in questi casi la via italiana è quella di assicurare sempre e comunque che non vi sia pericolo per gli ostaggi”, ha dichiarato il ministro. E circolano già le prime voci sull’ammontare del riscatto che verrebbe pagato per rendere inutile l’azione militare. Nel corso di un’intervista rilasciata all’emittente britannica BBC, Yusuf Bari-Bari, ambasciatore della Somalia a Ginevra, ha dichiarato che nel Puntland è forte la “psicosi a proposito del carico delle chiatte rimorchiate dal Buccaneer, in quanto gli abitanti temono che esse portino rifiuti tossici”. Ipotesi fermamente smentita da Silvio Bartolotti, il manager della ditta di “Micoperi” di Ravenna, proprietaria del rimorchiatore sequestrato dai pirati.
Articolo pubblicato in Agoravox.it il 17 aprile 2009
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