Le pene e le penali del Ponte sullo Stretto

Impregilo minaccia ricorsi e richieste di penali milionarie. Il governo nicchia e rilancia: “faremo altre opere a Messina con i soldi del Ponte”. Riesumato il tavolo interistituzionale per cementificare la città del Ponte senza il Ponte. Ma quanto vigila il movimento No Ponte?

Il contratto per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina è un ordine a tutti gli effetti. Entro un mese faremo valere i nostri diritti, anche perché i nostri soci esteri, soprattutto giapponesi, ci stanno chiamando ai nostri doveri". Alberto Lina, amministratore delegato di Impregilo minaccia la riscossione di ingenti penali per la sospensione decretata dal governo alla realizzazione della megainfrastruttura. La stampa alleata (i quotidiani siciliani) ipotizza risarcimenti sino a 1,7 miliardi di euro, terrorizzando cittadini e sprovveduti uomini di governo. Impregilo è comunque di cuore e prospetta tre alternative al ministro Di Pietro: ``O ci danno l’inizio dei lavori, o cancellano il contratto o ci chiamano a una trattativa per fare qualcosa di diverso``.

È la terza ipotesi quella che trova i maggiori consensi. Governo, Anas (presieduta da quel Pietro Ciucci che è pure a capo della Società del Ponte) ed amministratori locali hanno dato il via ad un’affannosa rincorsa per sbloccare i denari e calmare le ire del general contractor, affidandogli magari delle opere “compensatorie”. Sulla pelle dei cittadini è stato formalizzato a Roma un tavolo (tra i promotori i sottosegretari del Partito democratico Angelo Capodicasa e Luigi Meduri) che ha il compito di analizzare i possibili progetti “alternativi”. C’è già una prima lista, tutta in salsa messinese: il completamento dello svincolo autostradale di Annunziata, altri due svincoli-raccordi nella zona nord a Guardia-Curcuraci e Torre Faro, una nuova tratta autostradale di 10,5 chilometri con tanto di gallerie e viadotti nell’area dei Peloritani “Zps” (zona a protezione speciale). Ad Impregilo & soci potrebbe essere pure offerta la costruzione di nuove invasature a Tremestieri per il traghettamento nello Stretto, tema assai caro al sindaco Francantonio Genovese azionista di rilievo del gruppo Franza.

Poco importa che buona parte di queste opere siano state pensate in funzione del Ponte con cui condividono devastanti impatti socioambientali. Ancora meno importa che quanto avanzata da Impregilo sia del tutto privo di fondamenti giuridici o contrattuali (ad oggi il general contractor non ha predisposto il progetto esecutivo e comunque il bando di gara impone al CIPE la sua approvazione in via definitiva, atto formale con cui solo da allora è possibile rivendicare una penale). Lo scopo di questo gioco delle parti è ridare energia all’ecomostro dello Stretto o peggio ancora realizzando tutte le nefandezze pro-Ponte senza che alla fine il Ponte si faccia. E questo nell’assenza dei Comitati No Ponte, troppo frettolosamente sciolti dopo la risicata vittoria del centrosinistra alle politiche del 2006.

Così sono intanto mutati i rapporti di forza: mentre molti uomini di governo hanno brillato in ambiguità e sottintesi, è stato rafforzato in Impregilo il controllo azionario delle famiglie Benetton e Gavio, mentre nella società ha fatto il suo ingresso l’inossidabile costruttore siciliano Salvatore Ligresti. Il colosso delle costruzioni punta perfino ad una fusione con Astaldi, l’avversaria nella gara del Ponte, che scompaginerebbe le regole del mercato delle grandi opere in Italia. Il via alle “compensazioni” alla cordata Impregilo potrebbe essere perfino il prezzo per raffreddare le tensioni sorte con l’entrata in vigore del cosiddetto decreto sulle liberalizzazioni che ha sancito la revoca degli appalti su alcune tratte dell’Alta Velocità ferroviaria per lavori non ancora cantierati (la Milano-Genova Terzo Valico, la Milano-Verona, la Verona-Padova).

I tre consorzi guidati da Impregilo, Astaldi e Saipem (società del gruppo Eni su cui è ancora predominante il controllo pubblico) hanno minacciato infatti di ricorrere alla Corte europea di Giustizia e alla Corte Costituzionale. Anche in questo caso a Roma c’è scarsa memoria sulle violazioni e le gravi anomalie dell’intero iter progettuale Tav. Come per il Ponte. Pensare che solo un anno fa, ma era campagna elettorale, Verdi e Rifondazione invocavano una commissione d’inchiesta sugli interessi di mafia nell’opera e il contestuale scioglimento della Stretto di Messina Spa, mille miliardi di vecchie lire sprecati in insostenibili schizzi, plastici e consulenze.


Articolo pubblicato nel mensile “L’isola possibile” – supplemento a Il manifesto, maggio 2007.

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