Emanuele Filiberto: le amicizie pericolose di un europrincipe
Il rampollo dei Savoia sogna Strasburgo. Cogliendo impreparati i più nostalgici tra gli amanti della vecchia monarchia, il principe Emanuele Filiberto, erede al trono del Regno d’Italia, corre in pole position per un seggio al Parlamento europeo, candidato Udc, circoscrizione Nord Ovest ovviamente. «Emanuele Filiberto andrà in Europa a difendere con grande capacità quello che ci sta più a cuore, cioè la difesa dell’identità cristiana e della famiglia», giura il segretario del Casini-partito, Lorenzo Cesa. «Una candidatura che rappresenta un pezzo importante della nostra storia», il giudizio ancora più entusiasta del vicepresidente dei deputati Udc, Michele Vietti, piemontese.
Articolo pubblicato in Agoravox.it il 12 maggio 2009
Emanuele Filiberto, frequentatore instancabile di teste coronate e jet set intercontinentale, gongola e rilancia.«Conosco bene l’Europa, metà degli attuali capi di Stato li conosco personalmente e dell’altra metà sono parente», dichiara il Savoia. «L’Udc è un partito di centro e moderato e insieme difendiamo quegli stessi valori che saranno al centro della campagna elettorale». In verità non è proprio originale lo slogan-spot del principe, “I valori per l’Italia, per il futuro dell’Europa”. Per il battesimo nelle file dell’Udc, Emanuele Filiberto ripropone infatti, in versione europea, il nome della propria associazioneValori e futuro, un pre-partito creato per operare in Italia dopo il rientro dall’esilio e che alle politiche dello scorso anno ha raccolto 4.000 voti nella circoscrizione “Europa” degli elettori italiani all’estero.
Un’associazione con ambizioni politiche e brame d’affari, quella di Valori e futuro. Suo vicepresidente, sino al luglio del 2007, un finanziere dal passato turbolento, tale Mariano Turrisi, originario di Piedimonte Etneo, provincia di Catania. «Mariano Turrisi ha lavorato come apprendista presso Mercedes Benz e Alfa Romeo in Italia e successivamente ha iniziato la sua carriera imprenditoriale nel settore degli autoservizi», raccontava di lui il sito web di Valori e Futuro. «Le sue solide relazioni con importanti uomini d’affari e il suo intuito negli affari culturali l’hanno reso capace di aprire porte a molte iniziative strategiche. Mariano Turrisi ha inoltre fondato un’organizzazione no-profit a Sidney in Australia e il club di Forza Italia di cui ne è il Presidente dal 1997». Un berlusconiano perfetto, dunque.
A Miami, mister Turrisi aveva insediato una società multi-servizi, il “Made in Italy Group Inc.”, con una filiale a Roma (“Made in Italy Spa”) nella centralissima Piazza Colonna 361, proprio davanti a Palazzo Chigi. Nel dicembre 2006 la società madre si era incaricata della commercializzazione negli Stati Uniti della nuova bicicletta Stradale costruita dall’Alfa Romeo in collaborazione con Compagnia Ducale. Per il botto vero e proprio bisognava attendere però il 15 gennaio 2007, quando con un’intervista in esclusiva all’agenzia News Italia Press, Mariano Turrisi preannunciava che la “Made in Italy Inc.” avrebbe presto avviato i lavori per realizzare a Las Vegas un megacentro commerciale con più di mille negozi, 7.500 camere d’albergo, casinò e finanche le copie a dimensioni reali del Colosseo, delle strade e delle terme dell’antica Roma imperiale.
«Con la costruzione della mia “Little Italy” – dichiarava Turrisi – garantiremo la possibilità d’acquistare prodotti del Made in Italy autentico che non hanno nulla a che fare con le imitazioni asiatiche che purtroppo rovinano il mercato e la reputazione di quanto è effettivamente prodotto in Italia». Un programma di rilancio internazionale dell’immagine del tricolore che non poteva certo sfuggire all’attenzione di Emanuele Filiberto. Così il principe, nel gennaio del 2007, si recava a New York e in uno dei più esclusivi alberghi di Manhattan, il “Peninsula Hotel”, sottoscriveva con Turrisi un patto di mutua collaborazione in base a quella che il sito di Valori e Futuro definì «la visione che li accomuna: entrambi ambasciatori, promotori e difensori dei valori e delle tradizioni millenarie che rendono unica la nostra Italia». E ancora: «Con la realizzazione di questa partnership il principe ereditario di Casa Savoia offrirà ora anche il suo apporto all’opera del presidente Turrisi. Questa nuova cooperazione, fondata su una fede comune nei valori tradizionali che hanno reso l’Italia molto apprezzata nell’ambito della comunità internazionale, verrà a consolidare le speranze degli operatori economici del Belpaese, garantendo una diffusione sempre più significativa ed incisiva dell’autentico made in Italy…».
Subito dopo il viaggio negli Usa, il nome del principe veniva cooptato nello special advisory board del “Little Italy Resort” del progetto Las Vegas, mentre Turrisi ascendeva alla vicepresidenza dell’associazione politica dei Savoia, inserito persino tra i suoi “soci fondatori” nonostante essa fosse nata due anni prima. Sempre nel gennaio 2007, l’imprenditore siciliano si faceva promotore a New York di un incontro privato tra il rabbino Ronald Greenwald ed Emanuele Filiberto. Qualche giorno dopo Turrisi sedeva accanto al principe durante una cerimonia religiosa alle tombe reali del Pantheon di Roma. Il mese successivo Mariano Turrisi accompagnava il Savoia in Sicilia, prima a Catania, poi nella natia Piedimonte Etneo.
A turbare l’idillio ci avrebbero pensato sei mesi più tardi i magistrati romani. Dopo un’indagine su un megatentativo di riciclaggio di denaro proveniente da una partita di cocaina acquistata in Venezuela, ma poi sequestrata dall’autorità giudiziaria canadese, il Gip del Tribunale di Roma emetteva ordini di cattura nei confronti di diciannove persone residenti in nord America, Francia, Svizzera ed Italia. Operazione Orso Bruno l’hanno chiamata. L’inchiesta portava al sequestro, in Italia e all’estero, di società, aziende, conti correnti e beni immobiliari per un valore di circa centocinquanta milioni di euro. Agli arrestati venivano pure contestati i reati di associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori, insider trading e aggiotaggio. E per la prima volta nella storia del nostro Paese anche il “reato transnazionale”, introdotto nel 2006 per i delitti commessi da uno stesso gruppo in varie nazioni.
Personaggio centrale dell’inchiesta il boss italo-canadese Vito Rizzuto, rappresentante a Montreal della potente famiglia Bonanno di New York, noto in Italia per aver tentato d’inserirsi nella realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, grazie ad una società di copertura che partecipò alla gara di pre-qualifica dell’opera. Sfumato l’affare, i tentacoli criminali si erano poi lanciati sull’Orso Bruno. «Quest’indagine è nata nel 2004 ai tempi dell’operazione Brooklyn quando abbiamo indagato sul concorso per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina», ha spiegato il procuratore romano Italo Ormanni. Mentre per il Ponte, don Vito Rizzuto si sarebbe affidato però ad un anziano ingegnere di origini calabresi, per riciclare i proventi della partita di coca, il boss avrebbe scelto alcuni imprenditori di pellame nel nord Italia e - secondo l’autorità giudiziaria - niente poco di meno che il piedimontino Mariano Rizzuto e il suo Made in Italy Group. Da qui l’arresto del partner del principe dei Valori e, il 28 novembre 2008, il rinvio a giudizio insieme al boss di Montreal e all’anziano padre-padrino Nick Rizzuto.
«Ho aperto troppo le braccia a una persona che mi raccontava tante belle cose. E forse gli ho dato un incarico troppo elevato», ha ammesso in un’intervista a Il Sole-24 Ore, Emanuele Filiberto subito dopo l’arresto del finanziere. «Turrisi è una persona intelligente e affidabile e mi ha promesso sponsorizzazioni del movimento da parte di imprenditori amici suoi. Lui si occupava del finanziamento, della ricerca degli sponsor. Poi aveva comunque qualche buon aggancio per tutto quello che era il Sud Italia. Poi aveva l’idea degli italiani nel mondo…».
«Mi interessava il fatto che Mariano Turrisi volesse fare questo resort a Las Vegas, che sarebbe dovuto diventare il tempio dell’Italia», ha chiarito in una successiva intervista Emanuele Filiberto. «A Las Vegas c’era il casinò, ma c’erano anche altre strutture, l’albergo, la spa, il centro commerciale, e Turrisi non aveva la gestione del casinò, quella sarebbe andata a Kirk Kerkorian, che è poi il proprietario a Las Vegas del casinò Mgm e di molti altri…». Dietro la nuova “Little Italy”, c’era dunque uno degli uomini più ricchi del pianeta, il finanziere di origini armene Kirk Kerkorian, importante azionista di General Motors ed Mgm Mirage, la seconda maggiore società proprietaria di hotel e case da gioco del Nevada. Ma non è questa la sola sorpresa che ci riserva la confessione del principe di Casa Savoia. «Io su Turrisi avevo fatto fare delle verifiche», aggiunge Emanuele Filiberto. «Ho chiesto ad un amico in Svizzera di entrare in un sistema che si chiama Global Network e che funziona sulla base delle informazioni dell’Intelligence Service americano. Quando qualcuno vuole aprire una relazione con una banca svizzera, allora si mette il suo nome su questo sistema Internet e quello dice tutto. Io ho fatto mettere il nome di Mariano Turrisi a quell’amico e sa che cosa è uscito? Zero. Sul Global Network, Turrisi è una persona pulita». (“Chi”, 7 novembre 2007)
A rivelare chi è in realtà uno dei partner più “affidabili” e “puliti” del rampollo della famiglia reale ci ha pensato il giornalista Claudio Gatti de Il Sole-24 ore: «Sarebbe bastata una semplice visura camerale per scoprire che nel 2004 Turrisi era stato segnalato per due assegni scoperti per un totale di 25mila euro. Informazioni molto più complete poi in un documento allegato a un procedimento penale della Procura di Roma. “Turrisi Mariano, alias Turrisi Mario, alias Tarraso Maurice è stato oggetto di diverse indagini dall’anno 1984, per riciclaggio, traffico di droga, richieste estorsive di ampliamento dei crediti, uso di documenti e valuta contraffatti, di assegni scoperti e truffe, ma sempre senza o quasi alcun risultato… (In Italia) risulta avere pregiudizi per reati contro il patrimonio (1994) ed essere stato condannato per reati contro la famiglia (1987). Da archivi dell’Fbi risulta essere stato tratto più volte negli Usa. In particolare risulta che in data 11.06.1985 è stato oggetto di fermo in Florida da parte dell’Interpol in quanto trovato in possesso di banconote false… Turrisi è, inoltre, stato sospettato di essere inserito in un vasto traffico di stupefacenti, facente capo alle famiglie di Cosa Nostra a New York, nonché di aver riciclato centinaia di milioni di dollari; ha, infine, contatti in numerosi Paesi europei e del continente americano… Anche la Dea, agenzia antidroga americana, ha condotto indagini sul suo conto per narcotraffico, certificati di deposito falsi e valuta contraffatta”».(“Il Sole-24 Ore”, 24 ottobre 2007)
Per uno che mette i “valori” al di sopra di tutto, quello dei presunti legami tra l’amico Turrisi e il boss di mafia Vito Rizzuto non è proprio una bella carta di presentazione. Ma col tempo, si sa, tutto si dimentica. Così, tra una puntata e l’altra dello show televisivo Ballando sotto le stelle, Pierferdinando Casini e Lorenza Cesa hanno deciso di marcare a uomo Emanuele Filiberto, e tra una cena e l’altra lo hanno invitato a candidarsi per le Europee di giugno.
Svolta centrista dove le amicizie e le parentele a volta contano di più dei giovani ardori per la destra ultraconservatrice. Il ricordo va alla sontuosa festa di nozze tra il principe e Clotilde Courau, ospitata nel salone degli specchi di Palazzo Ruspoli di proprietà dell’immobiliarista e mecenate italo-americano Roberto Memmo, fratello di loggia di Vittorio Emanuele di Savoia (tessera P2 n. 1651) e buon amico di Marcello Dell’Utri, Cesare Previti e del giudice Renato Squillante. Era il settembre 2003 e a fare da anfitrioni della coppia coronata c’erano la figlia Daniela Memmo (componente dell’assemblea nazionale di An), e il di lei marito conte Antonio D’Amelio. Poco più di un centinaio gli invitati, quasi tutti principi e reali, qualche attore, l’on. Gianni Letta, al tempo sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e il costruttore-editore Francesco Gaetano Caltagirone, suocero del leader Udc, Pierferdinando Casini. Quel Caltagirone titolare dalla Vianini Lavori, che il Ponte sullo Stretto lo voleva fare davvero.Articolo pubblicato in Agoravox.it il 12 maggio 2009
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