Scenari dalla Nigeria: intervista ad Antonio Mazzeo

D: Come arriva la Nigeria a queste elezioni, in particolare qual è il panorama sociale, direi umano del paese più popoloso d’Africa?
Violenti conflitti tra gruppi etnici e religiosi, un élite politica tra le più corrotte del mondo, milioni di persone che vivono in condizioni di povertà estrema e sono vittime della tratta e delle moderne schiavitù, un esercito brutale che esercita un potere smisurato accanto alle transnazionali che si sono appropriate delle ingenti risorse del paese, violazioni sistematiche dei più elementari diritti umani e sociali, disastri ambientali epocali. Così la Nigeria., il più popoloso degli stati africani vive le lezioni più drammatiche della sua breve vita “democratica”. Uso le virgolette perché di democrazia fittizia si tratta. Del resto le gravi denunce di brogli elettorali che giungono da osservatori e ong indipendenti confermano quanto sia criticissima la situazione politica. Sembra quasi impossibile che alla fine ci sarà qualcuno disposto ad accettare i dati ufficiali. Specie dopo la farsa di tutto il processo pre-elettorale. E ciò rischia di accelerare la spirale di violenze, odi, morte. 
  
D: Sono le elezioni di cui si parla meno, quelle in Nigeria, oppure dopo anni ed anni di dittatura militare e di presidenza di un padre-padrone come Obasanjo, cosa significano queste elezioni e quali sono le parti in gioco per la presidenza nigeriana.
In primo luogo ci sarebbe proprio da interrogarsi sul come mai la comunità internazionale (innanzitutto l’Unione europea) e i grandi network non abbiano prestato attenzione a quanto sta accadendo in  Nigeria in questi ultimi mesi. Ancora più grave il fatto che si sia scelto di disertare il monitoraggio elettorale. Eppure Stati Uniti in testa puntano ad importare dall’Africa occidentale più del 25% del petrolio che servirà alla loro economia entro il 2015. Proprio allo scopo di esercitare il pieno controllo sulle risorse petrolifere e sul gas nigeriano, il Pentagono ha predisposto un articolato piano di militarizzazione della regione, creando basi, trasferendo sistemi d’arma sofisticati e addestrando le forze armate più reazionarie. Ovviamente è necessario che ogni manovratore non venga disturbato. Far calare il silenzio a livello mondiale su quanto avviene in Nigeria, non coglierne la gravità e le pesanti ipoteche sul futuro prossimo è funzionale a questo processo.

D: Impossibile non parlare del Mend e del petrolio. Che cosa rappresenta il Mend in Nigeria e come è sentita questa battaglia dal popolo nigeriano?
Le modalità con cui il Mend ha gestito i sequestri di personale tecnico delle transnazionali che operano nel delta del Niger, l’evidente consenso che gode tra gli abitanti degli slum più poveri di questa regione, il successo nell’aver riportato al centro del dibattito nazionale l’iniqua distribuzione delle ricchezze e il ruolo criminale delle transnazionali e degli alleati locali, sono certamente meriti che gli vanno riconosciuti. Il nodo è se la società nigeriana e internazionale sia disponibile ad accettarne l’azione politica, legittimandone la soggettività, o se oppure si sceglierà lo scontro militare per isolarla e, possibilmente, annientarla. Le fortissime divisioni nel Paese, l’interesse di Washington (ma anche della Nato) a soffiare sulle contraddizioni e i conflitti sociali, l’assenza di qualsivoglia cultura di rispetto dei valori della politica e della democrazia sostanziale da parte dell’élite dominante non lasciano certo presagire una volontà di dialogo e di comprensione delle profonde ragioni di chi ha imbracciato le armi per rivendicare il diritto ad esistere.       

D: La Nigeria è fra i massimi esportatori di petrolio, ma lo sfruttamento è degli altri. Perché il rapporto con le compagnie petrolifere si è incrinato in tal modo e quali le prospettive in proposito?
La relazione transnazionali petrolifere e società civile è sempre stata conflittuale. Il massacro dei nove attivisti ambientalisti Ogoni che si opponevano alle devastanti attività estrattive della Shell non è mai stato dimenticato dalle popolazioni. L’escalation delle attività petrolifere nel delta, l’inquinamento che ne deriva e la distruzione delle risorse naturali hanno ulteriormente  aggravato le condizioni di vita, gettando nella disperazione comunità intere e forzando i processi migratori. Un modello insostenibile oltre che immorale. Se ne esce solo rimettendo in discussione i sistemi di produzione, ripensando lo sviluppo in occidente e nelle regioni produttrici. L’uguaglianza e la ridistribuzione delle risorse e delle ricchezze è l’unica scelta planetaria per riportare la giustizia e facilitare i processi di pace e disarmo.

D: Il pericolo del terrorismo islamico è un problema anche della Nigeria e in che misura influisce, se influisce, sulla politica nigeriana?
Le fortissime divisioni etniche e interreligiose sono uno delle conseguenze più gravi dei processi di colonizzazione. Il controllo dell’Africa da parte delle potenze europee è avvenuto proprio grazie la separazione e l’apartheid. L’aggravarsi della situazione sociale, le nuove povertà e la violenza repressiva dell’élite ha favorito in tutto il continente l’offensiva dei gruppi islamici più radicali. Personalmente credo che ci sia anche un interesse dell’Occidente a favorire ulteriormente i conflitti di natura etnico-religiosa onde giustificare nuovi interventi armati in nome della “democrazia” e dei “valori della cristianità”. Certo le notizie di questi giorni sui violenti scontri armati nella città di Kano, contemporaneamente allo svolgimento delle elezioni nazionali, tra polizia, esercito e gruppi armati islamismi sono un ulteriore elemento di preoccupazione sul futuro del paese. Gli osservatori più attenti spiegano che gli attori in campo sono diversi da quei cosiddetti “talebani di Kano” che esordirono sulla scena politica tra il 2003 e il 2004 e che furono brutalmente massacrati dalle forze militari. Ciò tuttavia conferma la complessità delle vicende in atto e il rischio fortissimo di destabilizzazione e di vera deriva della vita politica e sociale della Nigeria. Mi si permetta in conclusione una constatazione amara. In Italia in troppo pochi ci si sta interrogando sulle responsabilità del nostro paese nel conflitto. Eppure solo nel 2006 abbiamo esportato armi alla Nigeria per un valore di 74,4 milioni di euro, 37,9 milioni di contratti l’anno precedente. L’esercito spara sui manifestanti e la popolazione con armi prodotte Beretta, l’Eni è tra le protagoniste degli scempi socio-ambientali nel delta del Niger, le maggiori società di costruzioni si stanno arricchendo con grandi opere altrettanto devastanti (innanzitutto le megadighe che espellono dai loto territori ancestrali decine di migliaia di persone). Quando si aprirà un dibattito sui crimini del capitalismo italiano in terra d’Africa?  

Antonio Mazzeo, è attivista del movimento pacifista ed antimafia, è autore di articoli, saggi, libri sui seguenti temi: pace e diritti umani, militarizzazione, criminalità organizzata, ruolo della massoneria nella società italiana. Da alcuni anni è impegnato nella cooperazione internazionale; ha operato in Albania, Colombia, Cuba, Guatemala, Honduras in progetti sociali e di sviluppo ed è collaboratore di www.terrelibere.org e www.carta.org

Intervista di Angelo D’Addesio, pubblicata su Il Paroliere-Il Cannocchiale del 21 aprile 2007
http://ilparoliere.ilcannocchiale.it/2007/04/21/scenari_dalla_nigeria_intervis.html

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