Business tricolore in Nigeria. Gli affari italiani nel Delta

La siciliana Gitto è la società di costruzioni con più commesse governative nel paese africano. In stretti rapporti con il potere pure l’Intels di Gabriele Volpi, che gestisce i servizi petroliferi in molti porti del Delta. In Nigeria c'è poi la Techint della famiglia Rocca. E ovviamente l'Eni...

La cifra è stratosferica: 1.250 milioni di dollari, 2.200 miliardi di vecchie lire. Ammontano a tanto gli investimenti che una joint venture tra il governo dello stato di Cross River e un pool di banche private internazionali programma di realizzare ad Adiabo, nella provincia di Calabar. Tinapa Business and Tourism Resort è il nome del megaprogetto: 80mila metri quadrati di spiagge e foreste tropicali, al confine con il Camerun, da trasformare in centri commerciali, hotel a 5 stelle, piscine, acquapark, multisale cinematografiche, campi da golf e piste da go-kart.

Un’oasi autosufficiente per il turismo extralusso, la più grande di tutta l’Africa Occidentale. Modello: i resort polifunzionali di Miami, Cancún, Dubai, Hong Kong. Solo che qui siamo a meno di un centinaio di chilometri, in linea d’aria, dall’inferno del Delta del Niger, dove vive una popolazione tra le più povere al mondo, con milioni di disperati che sopravvivono con meno di un dollaro al giorno. Senza accesso a servizi come acqua, elettricità, sanità di base, istruzione. Dove solo un adulto su due sa leggere e scrivere e due bambini su dieci muoiono prima di aver compiuto i cinque anni.

Sponsor d’eccezione del Tinapa dream, il locale ufficio Undp, l’agenzia delle Nazioni unite per lo sviluppo. Un «progetto ecoturisitico e sostenibile», lo ha definito il delegato Jim Plannery. Certo, per i privati è un affare: l’area di Calabar è duty free e i guadagni sono esenti da ritenute fiscali. Ma il progetto è un crimine ecologico e contribuisce alla scomparsa delle residue foreste fluviali del Cross River, area protetta, dove, però, prolifera il contrabbando di legname pregiato, destinato, in gran parte, ai produttori italiani di parquet.

Italiana è l’impresa a cui sono stati affidati i lavori di sbancamento e la realizzazione delle strade di accesso al megacentro turistico di Tinapa. Si tratta della Gitto Costruzioni Generali Nigeria Ltd., filiale locale dell’omonimo gruppo con sede a Roma e Giammoro, frazione del comune siciliano di Pace del Mela (Messina).

Una piccola impresa familiare, che in poco più di 5 anni si è trasformata nella società di costruzioni con più commesse governative in Nigeria, superando colossi come Impregilo, Astaldi e Salini. Strade, ponti e infrastrutture aeroportuali sono stati realizzati negli stati di Akwa-Ibom, Plateau, Cross River, Benue e nella capitale Abuja.

Il fiore all’occhiello è il secondo ponte sul Niger, tra le città di Onitsha e Asaba, un’infrastruttura con sei corsie di transito e lunga quasi due chilometri nel cuore del Delta e che la Gitto Costruzioni gestirà in concessione per i prossimi 25 anni. Un’opera funzionale alla penetrazione delle multinazionali petrolifere per moltiplicare giacimenti, pozzi, oleodotti e profitti. Un settore, quello energetico, che vede la società siciliana protagonista, negli stati di Cross River ed Edo, nella costruzione di centrali elettriche a gas per conto dei governi locali.

Nella lista dei lavori della Gitto Nigeria Ltd c’è pure la realizzazione del Centro nazionale cristiano di Abuja, il gigantesco complesso religioso costato 30 milioni di dollari e inaugurato lo scorso aprile, alla presenza delle maggiori autorità spirituali e dell’allora presidente nigeriano Olusegun Obasanjo. La famiglia Gitto ha acquisito anche la quota di maggioranza nell’Abuja Gateway Consortium, il consorzio privato al quale il governo nigeriano ha affidato l’ampliamento e la gestione del terminal aereo di Abuja, nell’ambito del piano di privatizzazione delle infrastrutture concordato con la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale.

Tra i partner dell’azienda siciliana, alcune delle maggiori compagnie aeree mondiali (British Airways, Air France, Klm, Lufthansa) e la A. G. Ferrero & Company di Kaduna, società operante nel settore petrolifero, di proprietà dell’ex ambasciatore nigeriano in Brasile, Patrick Dele Cole.

L’ultima commessa multimilionaria ottenuta dalla Gitto riguarda la realizzazione delle piste, degli hangar e delle officine multifunzionali dell’aeroporto che sta sorgendo nello stato di Akwa-Ibom. Il governo punta alla creazione di un vero e proprio “hub” per le operazioni dei velivoli in forza alle compagnie petrolifere statunitensi operanti nel Delta del Niger e in tutto il Golfo di Guinea. Un’opera divoratrice di risorse finanziarie (oltre 300 milioni di dollari per la prima tranche di lavori).

Anche stavolta il modello è quello dell’affidamento dell’infrastruttura in esclusiva a una compagnia privata. Scoprire di chi si tratta lascia interdetti: la DynCorp International, casa madre a Irving, Texas, principale contractor del Pentagono nella realizzazione di basi militari e nella manutenzione dei sistemi d’armi in Iraq e Afghanistan, più nota, però, per aver fornito truppe di mercenari nelle guerre più sporche che hanno afflitto il pianeta (Colombia, Balcani, Somalia).

Le dimensioni dello scalo, i cui lavori la DynCorp ha affidato alla Gitto (solo le piste misureranno 4.200 metri), lasciano presagire un suo utilizzo non solo per fini commerciali. In Africa Occidentale le forze armate statunitensi sono alla ricerca di aree ove posizionare i reparti di pronto intervento in “difesa” dell’inarrestabile flusso petrolifero. Cosa c’è di meglio di un polo aereo nella regione del Delta, nelle mani di un’azienda leader del complesso militare-industriale Usa?

Gli amici di Abubakar

C’è un evento che può spiegare in parte la rapidità con cui i Gitto si sono affermati in Africa. La mattina del 15 agosto 2003 sbarcava all’aeroporto di Catania una delegazione di alto livello della repubblica nigeriana: il neoeletto vicepresidente Atiku Abubakar, la giovane moglie Jennifer, Boni Haruna, allora governatore dello stato di Adamawa (ha perso le elezioni lo scorso maggio), un senatore e l’ambasciatore in Italia, Danjo Eguche.

Ad attenderli, l’ingegnere Domenico Gitto, amministratore delegato della company. Ospiti privati della famiglia siciliana per due giorni, i nigeriani venivano condotti, con uno splendido yacht, sino a Taormina. Quarantotto ore dopo la conclusione della visita dei politici nigeriani nell’isola, il 18 agosto, le agenzie di stampa informavano che la società di costruzioni italiana aveva vinto un appalto di 41 milioni di dollari per realizzare una strada a due corsie e un ponte sul fiume Itigidi, nello stato di Cross River.

Si trattava di un progetto concepito dal vecchio regime militare per assicurare una rotta terrestre alternativa ai trasferimenti di gas liquido e del personale in forza agli impianti di liquefazione di Bonny Island, fortemente osteggiati dalle comunità locali e dalle organizzazioni ambientaliste. Per assicurare l’avvio pacifico dei lavori, il governo distribuì qualche spicciolo ai capi comunità, ripetendo il vecchio copione di buona parte dei progetti petroliferi nel Delta del Niger.

Prima di essere imputato di corruzione, abuso d’ufficio e falso in bilancio, Atiku Abubakar ha rigidamente applicato i piani di riforma strutturale dell’economia predisposti dal Fondo monetario. Direttore del Consiglio nazionale sulle privatizzazioni, in meno di quattro anni di vicepresidenza Abubakar ha trasferito una ventina di grandi holding statali a compagnie private nazionali ed estere.

Settori chiave – come l’industria petrolifera, le ferrovie e la telefonia – sono stati svenduti senza alcun beneficio per le casse statali. Abubakar ha pure concordato con la Banca mondiale la cessione delle infrastrutture portuali alle società private che le gestivano in regime di concessione. Maggiore beneficiaria una compagnia con capitali interamente italiani, la Intels (Integrated Logistic Services Ltd), con sede a Londra e Houston.

Casualità volle che ad accogliere il vicepresidente nigeriano nella sua breve escursione turistica in Sicilia, nell’agosto 2003, ci fosse pure, accanto all’ingegnere Gitto, uno degli amministratori di Intels, Gabriele Volpi, proprietario dello yacht che condusse gli ospiti in giro per lo Ionio, considerato grande amico anche del finanziere caduto in disgrazia (e suo conterraneo) Giampiero Fiorani, grazie al quale spiccò il volo per i suoi affari africani. Oggi Intels gestisce i servizi petroliferi nei porti di Warri e Calabar e il terminal oceanico West Africa Container Terminal (Wact), realizzato all’interno della zona franca di Onne, sul Bonny River, a meno di 40 km da Port Harcourt. Il terminal ospita petroliere da 70mila tonnellate e le navi che s’incaricano del trasporto dei container provenienti dalla grande acciaieria di Ajaokuta e dal complesso carbonifero di Enugu.

Gli affari dell’Eni

Il denaro che gira intorno alle grandi opere e ai trasporti non è, tuttavia, comparabile a quello generato dal settore energetico. Qui è l’Eni a farla da padrone. Nel solo periodo 2003-06, l’ente di stato ha fatto investimenti in Nigeria per 1,3 miliardi di euro, assicurandosi una produzione quotidiana di circa 150mila barili di olio equivalente (petrolio più gas).

Imperturbabile di fronte alle comprovate accuse di violazione dei diritti umani e devastazione ambientale, l’Eni si è pure lanciato nello sfruttamento del gas naturale liquefatto. La controllata Snamprogetti partecipa al consorzio internazionale TSKJ, che ha realizzato tre linee di produzione nell’impianto di Bonny Island. Con un costo di 3,8 miliardi di dollari, esso assicurerà il trattamento di 252 miliardi di metri cubi di gas liquido all’anno. Una vera bomba ecologica, che ipoteca pesantemente il futuro delle popolazioni locali. Non è superfluo segnalare che la Nigeria LNG Ltd, la compagnia mista che produce ed esporta il gas naturale liquido, è posseduta per un 10,4% da Agip International e che il contratto di fornitura più rilevante lo ha sottoscritto con l’Enel.

Tra le società che hanno partecipato all’installazione del complesso di Bonny Island c’è, infine, la Techint della famiglia Rocca, attiva nel settore siderurgico e ingegneristico. In Nigeria la Techint ha realizzato anche il megaoleodotto Enugu-Makurdi-Yola. Sino al suo arresto nel 1992 per tangenti, amministratore delegato di questa holding era Paolo Scaroni. Qualche tempo dopo aver patteggiato una pena di un anno e quattro mesi, Scaroni fu nominato amministratore delegato dell’Enel. Oggi è alla guida dell’Eni.

Affari internazionali della siciliana Gitto Costruzioni

Quasi una predilezione quella dei Gitto per gli scacchieri più caldi del pianeta. Prima di giungere in Nigeria la famiglia ha realizzato una galleria autostradale fra le città di Gerusalemme ed Hebron, all’interno della fitta rete di arterie viarie, le famigerate by-pass routes, che congiungono Israele gli insediamenti illegali di coloni e alle basi militari disseminati a Gaza e in Cisgiordania. Nel 2003 c’è stato pure un grosso appalto ottenuto dall’Unione europea per la riabilitazione della rete autostradale della martoriata Sierra Leone e qualche mese fa la firma di un contratto di 66 milioni di dollari in Sudan per ricostruire le strade di Juba, città sul Nilo bianco al confine con l’Uganda riconquistata nel gennaio 2005 dalle forze militari governative dopo anni di cruenta guerra civile.

Come facciano i Gitto a muoversi tra i signori delle guerre di mezzo mondo è proprio un mistero. Alcuni collaboratori di giustizia hanno raccontato che i dirigenti della società sarebbero stati sottoposti al pagamento di tangenti dalle cosche mafiose durante alcuni lavori effettuati in Sicilia. Angelo Siino, ex “ministro dei lavori pubblici” di Cosa nostra, ricorda che in occasione di un pranzo in un ristorante di Milazzo, presenti esponenti della criminalità locale, politici ed imprenditori locali, si parlò del consorzio denominato Ferrofir che doveva occuparsi della costruzione di alcune gallerie: “A tali opere era interessato l’imprenditore barcellonese Gitto, ma l’uomo che doveva occuparsi dell’intera gestione dell’affare doveva essere Giovanni Sindoni”. Le dichiarazioni di Siino non hanno mai avuto alcun seguito giudiziario.

A capo di una delle maggiori aziende siciliane di trasformazione agrumaria Sindoni è stato coinvolto in una megainchiesta sulle truffe a danno della CEE accanto all’ex sindaco di Bagheria Michelangelo Aiello e al boss Leonardo Greco, riportando una condanna a otto mesi di reclusione. Aggiunge Siino: “Praticamente Gitto era uno che faceva lavori per conto terzi. In effetti era quello che manipolava la maggior parte dei lavori sull’autostrada Palermo-Messina e a causa di questo gli ammazzarono un parente che prese le sue difese”. Per Siino si tratterebbe del commerciante Francesco Gitto, storico boss di Barcellona Pozzo di Gotto. Cugino acquisito dell’ex governatore di New York Mario Cuomo, Francesco Gitto fu assassinato il 14 dicembre 1987 durante la guerra di mafia per il controllo delle grandi opere pubbliche nel messinese. “Che i due Gitto erano imparentati io l’ho saputo da Nino Isgrò o da Matteo Blandi, malavitoso di Caronia....”, conclude il collaboratore.

Articolo pubblicato in Terrelibere.org il 29 giugno 2007

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