Silvio, il Ponte e il Re d’Impregilo

Grande amore quello di Silvio Berlusconi per Impregilo e il Ponte sullo Stretto di Messina. Fu durante il suo precedente governo che l’associazione d’imprese guidata da Impregilo sbaragliò gli avversari ed ottenne il diritto a progettare e realizzare il Ponte. Una gara d’appalto che avrebbe meritato maggiore attenzione da parte della magistratura e magari di una commissione parlamentare ad hoc, dato il gran numero di conflitti d’interesse e i forti sospetti di combine. Il Signore di Arcore ha rivendicato pubblicamente che fu proprio il suo esecutivo a sollecitare un accordo tra le aziende italiane per gestire l’opera in tutta tranquillità.

Nel novembre 2008, durante la campagna elettorale per l’elezione del Governatore della regione Abruzzo, Berlusconi ha dichiarato in un comizio: «Sapete com’è andata col Ponte sullo Stretto? Avevamo impiegato cinque anni a metter d’accordo le imprese italiane perché non si presentassero separate alla gara d’appalto ma in consorzio... Eravamo andati dai nostri colleghi chiedendo che le imprese non si presentassero in modo molto aggressivo, proprio perché volevamo una realizzazione di mano italiana, e poi avremmo saputo ricompensarli con altre opere pubbliche». Un giro di parole per dire, «fu turbativa l’asta!».
 
Di certo in casa Berlusconi non erano in pochi i profeti in grado di prevedere quello che sarebbe stato l’esito del concorso per scegliere le società a cui affidare i lavori tra Scilla e Cariddi. «La gara per il Ponte sullo Stretto la vincerà Impregilo», dichiarò nel corso di una telefonata con Paolo Savona (l’allora presidente d’Impregilo), l’economista Carlo Pelanda, proprio alla vigilia dell’apertura delle buste. Nella stessa telefonata Pelanda spiegò di avere avuto assicurazioni in merito dal senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, già presidente di Publitalia ed amministratore delegato di Mediaset. Sfortunatamente, il colloquio tra Paolo Savona e l’amico Carlo Pelanda fu intercettato dagli inquirenti della procura di Monza nell’ambito dell’inchiesta che vede Impregilo accusata di falso in bilancio, false comunicazioni sociali ed aggiotaggio. Incuriositi dalla singolare vocazione profetica dell’interlocutore, i magistrati lombardi interrogarono Paolo Savona sul senso di quella telefonata. «Era una legittima previsione», rispose Savona. «Il professor Pelanda mi stava spiegando che noi eravamo obiettivamente il concorrente più forte». Carlo Pelanda, editorialista del Foglio e del Giornale – quotidiani del gruppo Berlusconi – ricopriva al tempo l’incarico di consulente del ministro della difesa Antonio Martino, origini messinesi e uomo di vertice di Forza Italia. Pelanda era pure intimo amico di Marcello Dell’Utri, al punto di aver ricoperto l’incarico di presidente dell’associazione “Il Buongoverno”, fondata proprio dal senatore su cui pesa una condanna in primo grado a 9 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
 
Ad interessarsi al possibile esito della gara del Ponte c’era pure Francesco Cossiga, di cui proprio il Pelanda era stato consigliere durante il settennato trascorso da Presidente della Repubblica. Nel corso di una puntata di “Porta a Porta” dedicata alle intercettazioni telefoniche, in onda il 5 ottobre 2005, fu lo stesso Cossiga a dire: «Sono stato intercettato mentre parlavo con un mio amico, un imprenditore che brigava pesantemente per ottenere gli appalti del ponte». Poi il senatore a vita si rivolse all’avvocata Giulia Buongiorno (oggi parlamentare del Popolo della Libertà), presente in studio: «Avvocato che faccio? Lo sputtano questo pm o mi consiglia di lasciar perdere?». «Presidente, io difendo quell’imprenditore e il pm mi ha garantito che il suo nome non comparirà. Stia tranquillo», rispose con imbarazzo la Buongiorno. E aveva ragione. Nelle carte dell’inchiesta della procura di Monza sui presunti bilanci taroccati d’Impregilo, non c’è traccia del nome dell’amico di Cossiga che «brigava» per gli appalti nello Stretto. Ma è rimasta l’«assicurazione» telefonica di Marcello Dell’Utri.
 
All’inaugurazione di un altro grande ecomostro, l’inceneritore di Acerra, Berlusconi ha ringraziato manager e dirigenti d’Impregilo per l’impegno profuso in vista della realizzazione dell’impianto. «I nostri eroi», li ha enfaticamente definiti, sparando a zero su quei magistrati che hanno sollevato più di una zona d’ombra sulla regolarità dei lavori. Le parole del premier hanno commosso il presidente della grande società di costruzioni, Massimo Ponzellini, che ha affermato «che con il premier al nostro fianco, dopo aver realizzato quest’opera, sapremo vincere altre sfide, come quella della Salerno-Reggio Calabria e del Ponte sullo Stretto…».
 
È certamente Ponzellini il super-eroe d’Impregilo, il nocchiero che conduce impavido la società tra tempeste giudiziarie e poco generose campagne stampa. Al duetto di Acerra con Berlusconi è seguita la firma dell’accordo con il ministro Altero Matteoli che ridà forma e sostanza (3,9 miliardi di euro) al contratto del Ponte che l’ex ministro Di Pietro aveva congelato. Di miliardi ne mancano ancora parecchi (altri 3 secondo il governo, perlomeno 7 per economisti ed ambientalisti), ma poco importa. Il compito di Ponzellini era quello di sbloccare l’empasse. Ci è riuscito, ed è passato – con il sostegno del sindacato - all’attacco vittorioso alla presidenza della Popolare di Milano (azionista d’Impregilo). La sua stella brilla ancora di più nel firmamento dell’economia e della finanza italiana. Il Riformista lo ha definito «L’uomo cui, in fondo almeno una volta, tutti vorremmo somigliare». In realtà il manager piace a destra e a manca anche perché incarna la sperimentata saggezza del Gattopardo. Alle accuse di conflitto d’interesse per la contestuale guida Impregilo-Popolare Milano, Ponzellini ha risposto ricordando le sue avventure giovanili. «Da ragazzo ho avuto due fidanzate: a seconda di con chi stavo dicevo all’una o all’altra che le volevo più bene».
 
Figlio di Giulio Ponzellini, già Consigliere superiore della Banca d’Italia; amico di Lamberto Dini e Giulio Tremonti, Massimo Ponzellini è cresciuto all’ombra dell’ex presidente del consiglio Romano Prodi (di cui è pure vicino di casa). Negli anni 1981-82 Ponzellini ha ricoperto l’incarico di direttore generale del centro studi Nomisma; successivamente è divenuto dirigente superiore dell’IRI (segretario esecutivo del Comitato per la Ristrutturazione e la Privatizzazione). L’odierno presidente d’Impregilo ha pure ricoperto il ruolo di amministratore delegato di Sofin (la holding controllata dall’IRI), e consigliere di Alitalia e Finmeccanica (il gruppo che ha assorbito le maggiori aziende italiane operanti nel settore militare e aerospaziale). Dopo essere stato per otto anni vicepresidente della Banca Europea per gli Investimenti (BEI), nel novembre 2002 Ponzellini è stato nominato vicepresidente e amministratore delegato della Patrimonio dello Stato S.p.A., la società che ha cartolarizzato beni immobili e infrastrutture statali, finiti poi nelle mani di vecchi e nuovi speculatori del mattone. Oggi è pure consigliere d’amministrazione della BNL e vicepresidente della compagnia di assicurazioni Ina-Assitalia, controllata dalle Generali (altra azionista d’Impregilo).
 
Ai tempi di Nomisma, Ponzellini dichiarò la propria contrarietà al Ponte («Ci sono altre priorità visto che siamo indietro su tutta la rete infrastrutturale»), ma adesso sarà la sfida per il Mostro sullo Stretto che consentirà qualche bonus aggiuntivo sulla busta paga che riceve da Impregilo. Non è che le cose vadano poi tanto male adesso. Nel 2008, Ponzellini ha ricevuto un compenso lordo di 963.759 euro. Più di lui ha preso solo l’amministratore delegato e direttore generale Alberto Rubegni, una condanna a 5 anni (di cui 3 condonati con l’indulto), al recente processo sui crimini ambientali dei lavori per l’Alta Velocità.

Articolo pubblicato in Agoravox.it l'8 maggio 2009 

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