L’ONU chiede d’intensificare le attività militari contro i pirati

Il rappresentante delle Nazioni Unite per il Corno d’Africa, Ahmedou Ould-Abdallah, ha chiesto maggiore impegno per contrastare la pirateria nel Golfo di Aden.

“Credo fermamente che si debbano intensificare gli sforzi concreti, quali la forte presenza marittima internazionale al largo delle coste somale, volti a marginalizzare e quindi sconfiggere la pirateria, un flagello internazionale”, ha dichiarato Ould-Abdallah.

Nel ringraziare le marine militari di Francia e Stati Uniti per le recenti sanguinose operazioni di cattura e deportazione di decine di presunti sequestratori, il rappresentante ONU ha affermato che “chi contribuisce alla presenza marittima internazionale sta svolgendo un lavoro eccellente”.

Nel ribadire che l’azione militare è “essenziale” per “lanciare un forte messaggio ai pirati e a quanti li sostengono”, Ahmedou Ould-Abdallah ha chiesto ai paesi partecipanti alla crociata contro la pirateria di “identificare rapidamente e giudicare la responsabilità di coloro che sostengono finanziariamente tali attività”, pensando inoltre ad una “credibile attività di sviluppo” in Somalia.
 
Il rafforzamento delle operazioni di pattugliamento delle acque del Corno d’Africa, a cui partecipano già una settantina di fregate, cacciatorpediniere e navi da sbarco di Stati Uniti, NATO, UE, Cina, Russia, Iran e paesi africane e mediorientali, non è però considerata la scelta più opportuna ed appropriata dagli analisti militari occidentali.

Per Peter Pham, direttore dell’Istituto di studi internazionali della “James Madison University” di Harrisonburg (Virginia), la fitta presenza navale nel Golfo di Aden sta accrescendo la possibilità che si verifichino gravi incidenti. “Penso innanzitutto ai rischi d’incidenti navali che coinvolgano una parte delle unità e delle flotte che operano in un’area relativamente stretta e dove si concentra la maggior parte dei pattugliatori, ognuno dei quali segue regole di ingaggio differenti e spesso contraddittorie”, spiega Peter Pham.

Per il docente è sempre più probabile che le numerose unità militari diventino facile bersaglio di azioni terroristiche da parte di gruppi dei sequestratori.
Lo scarso coordinamento tra le flotte che operano in Corno d’Africa, in particolare quelle battenti bandiera NATO e dell’Unione europea, preoccupa particolarmente anche Bjoern H. Seibert, ricercatore del Royal United Services Institute (RUSI) di Londra.

“Le due missioni non cooperano come dovrebbero”, afferma Seibert. “Ciò duplica gli sforzi e il disordine che ne deriva può favorire i pirati. Ogni istituzione spera di provare la propria superiorità, la rivalità UE-NATO è inutile e forse anche controproduttiva. Per coprire rapidamente e in modo efficace un’area operativa vasta e sconosciuta e dove non si può contare sull’appoggio della nazione ospitante, è vitale il coordinamento tra le forze militari. Con strutture di comando separate, le duplicazioni e le contraddizioni sono inevitabili”.

Per il ricercatore del RUSI non sono poi giustificabili i costi finanziari raggiunti dalle due missioni UE e NATO, specie adesso che “i budget per la difesa negli Stati Uniti e in Europa sono colpiti dalla crisi economica”. Di certo i numeri non danno ragione a chi ha investito ingenti mezzi nella caccia marittima ai pirati.

Secondo l’International Maritime Bureau, gli atti di pirateria al largo della Somalia sono decuplicati nel primo trimestre del 2009, rispetto allo stesso periodo del 2008 (6 contro 61). Così al Pentagono e a Bruxelles si guarda con sempre più favore alla possibilità di estendere la guerra sulla terraferma.

Il summit internazionale convocato dalle Nazioni Unite il prossimo 23 aprile e che vedrà una trentina di Paesi discutere di pirateria, avrà tra i punti all’ordine del giorno la valutazione di un possibile piano d’attacco in territorio somalo.
 
“L’aumento del numero dei sequestri di navi mercantili dimostra che per contrastare la pirateria, gli sforzi in mare non sono sufficienti e che bisogna preparasi ad intervenire contro le basi terrestri”, commentano a Washington. Unità da sbarco di Stati Uniti Gran Bretagna, con a bordo centinaia di marines, sarebbero in rotta verso la Somalia,mentre sono stati messi in stato d’allarme gli oltre 2.000 militari del Combined Joint Task Force – Horn of Africa, la forza di pronto intervento USA ospitata a Camp Lemonier (Gibuti), dipendente dal nuovo comando per le operazioni nel continente africano, Africom.

Camp Lemonier è divenuto il principale hub logistico per le operazioni marittime nel Golfo di Aden e buona parte dei velivoli aerei di stanza nella base sono impegnati in missioni di sorveglianza anti-pirateria. Anche se alla task force USA è affidato un ampio ventaglio di interventi in un’area geografica che si estende dal Sudan al Sud Africa, la lotta per la “libertà di navigazione” ha contribuito enormemente all’accelerazione dei programmi di ampliamento e potenziamento della base di Gibuti.

Camp Lemonier è oggi la maggiore delle installazioni militari USA in Africa; con un estensione di 500 acri (erano solo 94 nel 2004), ospita piste aeree e infrastrutture da guerra che solo nell’ultimo triennio hanno comportato per il Pentagono una spesa di più di 100 milioni di dollari.
 
Congiuntamente al rafforzamento del dispositivo terrestre, le compagnie marittime internazionali sono state autorizzate a dotarsi di strumenti autonomi di “difesa”. “Nel corso dei recenti attacchi, i marinai dei mercantili hanno dimostrato di essere capaci di difendersi contro i pirati e un buon numero di mercantili ha implementato manovre evasive ed altre misure difensive per proteggere i propri carichi”, ha dichiarato con soddisfazione il viceammiraglio Bill Gortney, comandante della forza navale marittima USA che presidia le acque del Golfo.

Tra cannoni ad acqua, pistole a raggi laser e fili elettrici, spuntano come funghi contractor, vigilantes super armati e tiratori scelti.
 
Una delle società alla ricerca di un nuovo eldorado in Somalia è la Security Consulting Group (SCG) di Roma, già “Star Sicurezza”. Partner del Ministero degli Affari Esteri italiano, di ambasciate e autorità straniere (Turchia) e delle forze speciali di polizia di Brasile e Svizzera, la SGC è amministrata da Carlo Biffani, ufficiale della Brigata paracadutisti Folgore in congedo.

“Abbiamo aperto una filiale a Gibuti e offriamo un team di ex militari che stiano a bordo dei mercantili per 4-5 giorni, armati con carabine di precisione, visori notturni e anche qualcosa di più pesante”, ha dichiarato Biffani.

“Tra le nostre tecniche di difesa c’è l’uso di armi non letali affidate a personale specializzato, come i dissuasori acustici, da poco brevettati, che agiscono fino a una distanza di 200 metri e colpiscono l’udito fino a far male. I pirati sarebbero sotto il nostro tiro e senza possibilità di reagire. Sicuramente mollerebbero”.
 
In Iraq e Afghanistan si è avuto modo di conoscere i devastanti effetti dell’intervento dei contractor. Le conseguenze della privatizzazione dell’azione militare nel continente africano sono invece poco note. Secondo il Corriere della Sera, sarebbe stata provata la presenza di istruttori occidentali al servizio dei pirati somali.

“Si tratta di impiegati delle società di sicurezza che erano state incaricate dal Governo federale di transizione somalo di proteggere le coste”, scrive il quotidiano. “Non sono stati mai pagati e così si sono riciclati loro stessi organizzando corsi di pirateria applicata. Per questo servizio sono stati pagati un milione di dollari”.
 
Sullo speciale di "Nigrizia" dedicato alla pirateria in Somalia, pubblicato lo scorso dicembre, lo studioso Roger Middleton riporta che le sorprendenti abilità nautiche dei pirati potrebbero essere il frutto di un contratto per la creazione di un dispositivo di sorveglianza delle coste affidato negli anni ’90 ad una compagnia privata di servizi di sicurezza.

“L’iniziativa finì nel nulla, ma sembra che alcune apparecchiature acquistate per quel progetto sono attualmente usate nelle spedizioni piratesche”, scrive Middleton. “Membri degli equipaggi delle navi sequestrate hanno dichiarato di aver sentito i loro sequestratori vantarsi di essere stati guardacoste”.

Sembra di assistere ad una versione somala dell’ “Apprendista Stregone”.

Articolo pubblicato in Agoravox.it il 22 aprile 2009

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