Processo Beta. Due nuovi indagati della borghesia messinese: un notaio e un ex direttore di banca
Dopo un imprenditore edile
di grido, un commercialista e il super-avvocato consigliere-consigliore, uno
stimato funzionario comunale e l’ex amministratore del bar-salotto della città,
la borghesia messinese vede altri due suoi appartenenti finire nelle maglie
dell’inchiesta giudiziaria Beta sul
presunto gruppo mafioso dei Romeo-Santapaola. Le new entry in quello che si
profila come il terzo inatteso atto d’indagine della Direzione Investigativa
Antimafia sono un notissimo notaio ed un ex direttore della banca di credito
cooperativo che porta il nome di uno dei maestri della pittura europea del ‘400,
nato nel capoluogo dello Stretto.
Aula bunker del Tribunale di
Messina, ultima udienza del processo Beta
che vede imputati i componenti della cellula criminale con legami di sangue ed
affari con il potente clan catanese di don Benedetto “Nitto” Santapaola, e alcuni
colletti bianchi di Messina e provincia. La presidente della Prima Sezione
penale, dott.ssa Letteria Silipigni, chiama a deporre in qualità di teste il
notaio Giuseppe Bruni. Prima che il noto professionista possa formulare il
giuramento di rito, il Pubblico ministero Fabrizio Monaco chiede la parola. “Ho
delle comunicazioni, Presidente, se il Tribunale consente”, esordisce il Pm. “Con
riguardo alla posizione e le modalità di escussione di questo teste, Bruni
Giuseppe risulta iscritto nel registro degli indagati per reati connessi a
quelli per i quali si procede oggi, 110, 416 bis del codice penale. Quindi deve
essere escusso con l’assistenza di un difensore”. L’esternazione del dottor
Monaco genera lo sbigottimento generale, ma quello che sembra il più sorpreso
di tutti è proprio il notaio, oggetto di indagini per “associazione di tipo
mafioso”. “Scusi Presidente, ma io non sono a conoscenza di essere indagato”,
dichiara Giuseppe Bruni. “Lo apprendo adesso, in questo momento. Non sapevo
niente, sapevo solo la convocazione per altre cose ma non per questa. Mai
notificato niente, mai saputo niente, non ho mai avuto niente…”. Il codice para
chiaro: un teste-indagato senza la presenza del proprio legale non può deporre.
Così il professionista viene congedato e l’interrogatorio rinviato all’udienza
successiva.
Il tempo di ascoltare un
altro teste ed ecco un nuovo colpo di scena. Viene chiamato a deporre l’ex
direttore di banca Fabrizio Vigorita, già docente a contratto della Facoltà di
Economia dell’Università di Messina e titolare di un avviato studio di
commercialista a Roma. I giudici avvertono che anche il dottor Vigorito sarà
sentito come “indagato in procedimento connesso a quello per il quale si
procede, ai sensi dell’articolo 210 del Codice di Procedura penale”. Ad
assisterlo c’è l’avvocato Giovanni Calamoneri. “Io sono stato direttore
generale della Banca di Credito Cooperativa Antonello
da Messina fino al dicembre del 2017 e ho conosciuto in questa veste l’avvocato
Andrea Lo Castro che era un nostro cliente”, esordisce Vigorita. “Il Lo Castro
mi fu presentato da un consigliere di amministrazione della banca e l’ho conosciuto
nell’occasione di un finanziamento che la banca ha fatto all’avvocato per
l’acquisto di un computer. Non mi ricordo l’importo, 5 o 7.000 euro mi pare”. “E
scusi, per un finanziamento di questo genere viene in qualche modo interpellato
il direttore generale della banca?”, chiede il Pubblico ministero Fabrizio
Monaco. “No, assolutamente, è che in quel caso era conosciuto dal consigliere
di amministrazione, l’avvocato… adesso non me lo ricordo il nome francamente…”,
risponde il commercialista. “Un consigliere d’amministrazione, nell’ambito
della conoscenza del territorio, soprattutto in una banca piccola, tende a dire
ah io ti porto questo cliente, questo
professionista, ma poi ovviamente l’iter di concessione del credito è stato
seguito secondo il regolamento della banca. Questa presentazione avvenne intorno
al 2010, se non ricordo male. Poi con l’avvocato Lo Castro non ci sono stati
rapporti di frequentazione al di fuori dell’attività professionale. Qualche
anno dopo, stiamo parlando intorno al 2014, fu richiesto un finanziamento per
l’acquisto di un immobile da parte di una società dell’avvocato Lo Castro. Un
finanziamento che consistette in un mutuo ipotecario, con la controgaranzia
della cessione del credito relativo all’affitto che l’immobile produceva. La
richiesta fu quella di un mutuo per acquistare un immobile, che era affittato,
non mi ricordo, se all’Agenzia delle Entrate o comunque a un ente pubblico. In
questa operazione non mi ricordo se l’avvocato Lo Castro era addirittura direttamente
socio della società. L’immobile era fuori Messina, mi ricordo che era al centro-nord
Italia... Normalmente il processo di concessione del credito prevede un’istruttoria
da parte degli uffici preposti, l’analisi, un esito positivo o negativo della
proposta di finanziamento che poi veniva portata al Consiglio di
Amministrazione… Queste sono tutte delibere di concessione di credito nel CdA,
per cui alla fine il direttore è solo il proponente. Mi ricordo che me lo
richiese lui il mutuo”.
Nel corso della deposizione,
il teste-indagato si è soffermato pure sulla figura del costruttore di origini
milazzesi, Biagio Grasso, per anni contiguo al presunto gruppo criminale dei
Romeo-Santapaola e odierno collaboratore di giustizia. “Biagio Grasso mi fu
presentato nel 2000 come cliente della banca dall’ex Presidente della Banca di
Credito Cooperativo, dottor Cassi (Fabio Cassi, commercialista, già componente
della giunta provinciale di Confindustria, Nda)”,
ha riferito Fabrizio Vigorita. “Il signor Grasso era un cliente che aveva
richiesto un finanziamento. No, mi pare fosse un mutuo. Come direttore generale
della banca Antonello io l’ho incontrato poco; come vice direttore l’ho
incontrato nel 2006, nel 2007 e poi nel 2008. Il finanziamento fu mandato a
sofferenza perché presentava delle indubbie anomalie di restituzione: non
venivano pagate le rate e quant’altro. Dopo il 2008 non ho più avuto rapporti con
lui; non essendoci rapporti professionali, non c’era motivo per svilupparli
ulteriormente…”.
Nonostante sia stata
formalizzata solo in dibattimento l’esistenza di una terza tranche d’indagini Beta, i nomi del notaio Giuseppe Bruni e
del promotore finanziario Fabrizio Vigorita erano trapelati nel corso di altre
udienze processuali e comparivano pure tra le dichiarazioni fatte agli
inquirenti dal collaboratore Biagio Grasso. “Tra le attività che l’avvocato Lo Castro ha svolto nell’interesse del
gruppo Romeo vi è stata anche la predisposizione, unitamente al notaio Bruni,
di quel contratto borderline riguardante la cessione del lotto D del complesso
Torrente Trapani alla società Carmel”, ha verbalizzato il costruttore milazzese.
“Si trattava di un’operazione anomala e potenzialmente in frode ai creditori
avendo di fatto questo contratto svuotato il patrimonio della Se.Gi. S.r.l., cedendolo
alla Carmel; un meccanismo congegnato da me, dall’avvocato Lo Castro e dal
notaio Bruni”.
“La gestione di tutte le
operazioni dei Romeo sono avvenute attraverso la mia persona che ha gestito
tutti i prestanome”, ha aggiunto Grasso. “Il primo di essi entrato
nell’ambito dell’operazione Edilraciti si chiama Franco Lo Presti con
la collaborazione dell’avv. Lo Castro Andrea. Tutti gli atti vennero
stipulati presso lo studio del notaio Bruni, il cui figlio è amico del Romeo
Vincenzo. In tale operazione il Romeo investì circa 50.000 euro. La seconda
operazione è stata quella relativa al Torrente Trapani ove il costruttore Oscar
Cassiano cedette il 50% dell’operazione, per un corrispettivo di 60.000 e
100.000 euro. In questa operazione venne creata la società Solea. Nell’aprile
2010 la Solea acquista, sempre presso il notaio Bruni, il 100% della
Se.Gi.. In quell’operazione Cassiano mi disse che si doveva riservare una quota
del terzo lotto per compensare quanti avevano favorito l’approvazione del piano
costruttivo. Non ricordo i nomi di questi pubblici amministratori, ma erano
all’interno del Comune di Messina… Per motivi di risparmio economico, in quella
edificazione sono state realizzate palificazioni in numero inferiore a quello
previsto”.
Alcuni di questi verbali
furono pubblicati dai media locali. Il 24 marzo 2018, la testata Tempostretto.it
riportò le “precisazioni” dell’avvocato
Alessandro Mirabile, legale di fiducia del notaio Giuseppe Bruni. “In merito alle dichiarazioni
rilasciate dal pentito Grasso Biagio, e delle quali il Notaio Bruni ne viene a
conoscenza solo adesso, attraverso la lettura degli articoli di stampa degli ultimi
giorni, si rileva come le stesse siano assolutamente infondate e prive di qualunque
presupposto”, scrisse l’avvocato. “Il predetto Notaio nel corso della sua
quarantennale attività professionale non ha mai intrattenuto alcun rapporto né
professionale, né di frequentazione personale con l’avv. Andrea Lo Castro, né
mai lo stesso ha assistito, collaborato e/o partecipato alla redazione di atti
a firma del Notaio Bruni, che mai ha prestato le proprie competenze
professionali a logiche affaristiche illecite di alcun tipo. Ne discende,
ovviamente, che parlare di qualsiasi meccanismo congegnato col professionista
Notaio, ha natura diffamatoria se non anche calunniosa”.
La bomba Fabrizio Vigorita era esplosa
invece il 13 luglio 2018, a seguito della pubblicazione del giornalista Nuccio
Anselmo (Gazzetta del Sud) di un
inedito verbale d’interrogatorio di Biagio Grasso. “Ci sono già
i due primi indagati eccellenti dell’operazione Beta 2, la seconda parte dell’inchiesta, ovvero un ex direttore di
banca e un ex dirigente del Consorzio Asi, che secondo il pentito Grasso legano
il loro nome a una storia di Rolex regalati, tangenti, appalti truccati e
riciclaggio di milioni di euro mafiosi”, scriveva Nuccio Anselmo. “Si tratta di
Salvatore Iacuzzo, ex direttore generale del Consorzio Asi di Messina-Milazzo,
originario di Serradifalco, e di Fabrizio Vigorita, messinese, ex direttore
della Banca Antonello di Messina del
gruppo BCC. I loro nomi compaiono in due contesti investigativi dei carabinieri
del Ros diversi, ma entrambi sono stati iscritti nel registro degli indagati
dai sostituti della Dda di Messina Liliana Todaro e Fabrizio Monaco, e sono
stati destinatari di due decreti di perquisizione personali e locali tra
abitazioni, uffici e auto”.
“Le accuse sono diversificate per due vicende diverse”,
aggiungeva il giornalista. “Iacuzzo è accusato di tentata concussione e
concorso esterno all’associazione mafiosa dei Barcellonesi per fatti fino al
2008; Vigorita è accusato di concorso in riciclaggio di denaro aggravato
dall’art. 7 della legge 203/91 tra il 2007 e il 2010, ovvero la vicinanza al gruppo mafioso Romeo-Santapaola
attraverso un contatto ben preciso,
l’avvocato Andrea Lo Castro, uno degli imputati della prima tranche
dell’operazione Beta. Per l’ex direttore della BCC Banca Antonello Vigorita, la
vicenda delineata da Grasso è diversa. I magistrati parlano di plurime movimentazioni finanziarie anomale
consentite dal funzionario agli sportelli e sui conti della Banca Antonello,
riferibili alla famiglia mafiosa Romeo-Santapaola. Anche Grasso aprì alcuni
conti riferibili alla sua impresa, la LG Costruzioni, movimentando milioni di
euro. E anche l’avvocato Lo Castro avrebbe aperto un conto corrente per conto
della società Holliway S.r.l., nonostante
la mancanza di requisiti e di eventuali garanzie”.
Un’altra testata giornalistica online, Stampalibera.it, ha pubblicato un
ulteriore riferimento di Biagio Grasso all’ex direttore generale dell’istituto
di credito cooperativo, nel corso di un interrogatorio reso il 12 dicembre 2017, giorno in cui fu formalizzata la sua
collaborazione con i magistrati antimafia della Procura della Repubblica. “Io stesso sono stato tra i primi soci della Banca di
Credito Cooperativo Antonello da Messina, tramite la società LG Costruzioni SpA
e ho movimentato milioni di euro in contanti, nell’epoca 2007-2010 quando era
direttore il dottor Fabrizio Vigorita…”, specificò Grasso. Stampalibera ebbe pure la cattiva idea di riprodurre integralmente
l’articolo-scoop di Nuccio Anselmo. Fu così che il 4
giugno 2019 il suo direttore ricevette una perentoria “richiesta di deindicizzazione/rimozione
dei contenuti presenti sul sito” da parte del legale del dottor Vigorita,
l’avvocato di Capo d’Orlando Andrea Pruiti Ciarello. “Nel primo articolo, quello
della Gazzetta del Sud del 13 luglio
2018, vengono descritti fatti e circostanze che, palesemente, farebbero parte
di indagini in corso e, come tali, sottoposti al segreto di cui all’art. 329
c.p.p.”, scriveva il legale. “In relazione a quanto descritto nell’articolo, il
dott. Vigorita non ha mai ricevuto alcuna informazione di garanzia, né avviso
di conclusione delle indagini”.
“Nel secondo articolo, a
firma di Antonio Mazzeo, si descrivono vicende giudiziarie di terzi, che non
riguardano il dott. Vigorita, ma lo stesso viene comunque citato per il ruolo
ricoperto all’epoca all’interno di una banca messinese, senza alcuna
continenza. Ciò premesso, Vi segnalo che la pubblicazione dei due articoli
sopra indicati, soprattutto il primo dei due, risulta gravemente lesivo
dell’onore, dell’immagine e della reputazione del mio assistito, giacché viene
restituito nella prima pagina di ricerca su motori generalisti (es. Google.it).
Alla luce di quanto esposto, corre l’obbligo segnalarVi che la permanenza in
internet degli stessi sta cagionando al Dott. Fabrizio Vigorita danni di ingente
entità, anche a causa dell’elevata visibilità dei medesimi, con conseguente
effetto amplificativo della notizia, la quale - a mio avviso – non solo supera
abbondantemente i limiti di attualità del diritto di cronaca e/o di un
interesse pubblico alla conoscenza della vicenda, tenuto anche conto della
circostanza che il dott. Vigorita non è un personaggio pubblico e che fa
riferimento a fatti particolarmente risalenti nel tempo (2007-2010)”.
Un mese più tardi, il legale
del dottor Fabrizio Vigorita rivolgeva un’analoga richiesta di censura della
memoria storico-giudiziaria al direttore responsabile della testata Girodivite.it e all’Associazione culturale
“Open House” di Lentini (Sr), rei di aver riprodotto l’inchiesta giornalistica “A
Messina la mafia è glocal”, pubblicata da Stampalibera.
“Nell’articolo vengono descritti fatti e circostanze che non riguardano affatto
il mio assistito ma, ciò nonostante, il suo nominativo appare nell’articolo
associato a fatti e circostanze gravi e lesive della sua onorabilità”, annotava
l’avvocato Pruiti Ciarello. “Vi chiedo di provvedere, ciascuno per le proprie
competenze, a rimuovere o deindicizzare l’articolo sopra citato, in conformità,
a quanto statuito dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali in
tema di c.d. gogna mediatica. In caso
di mancato accoglimento delle superiori richieste il mio assistito proporrà
reclamo, ai sensi dell’art. 77 del Regolamento UE 679/2016….”.
Che a Messina (e nel resto
d’Italia) la libertà di stampa non venga mai garantita è fatto documentato e
assodato. Sconforta però davvero come il diritto-dovere di rilevare l’esistenza
di indagini di notevole interesse e gravità su personaggi eccellenti sia pubblicamente
stigmatizzato come “lesivo della dignità umana e dell’onorabilità” o, peggio
ancora, mera calunnia e gogna mediatica…
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