Al processo Beta va in scena l’autodifesa di Ivan Soraci, ex amministratore e direttore dell’Irrera
Dopo lo stop per l’emergenza da Covid-19 sono riprese a
Messina le udienze del processo Beta
sul presunto sodalizio mafioso Romeo-Santapaola, a capo di un ampio ventaglio
di attività economiche lecite e illecite e che vede tra gli imputati anche
alcuni noti professionisti della borghesia peloritana. Il colpo d’acceleratore
impresso dalla Presidente della 1^ Sezione penale del Tribunale, dottoressa
Letteria Silipigni, lascia presupporre che entro la fine di luglio sarà emessa
l’attesa sentenza di primo grado, tre anni dopo la maxi-operazione che aveva condotto
all’arresto alcuni degli odierni indagati; tra essi Francesco “Ciccio” Romeo,
ritenuto dagli inquirenti la figura di maggiore prestigio del gruppo criminale
(oggi agli arresti domiciliari); i “colletti bianchi” Carlo Borella (noto
imprenditore edile con attività in mezza Italia e all’estero, libero in attesa
di giudizio); l’avvocato Andrea Lo Castro, il commercialista Benedetto
Panarello e l’ingegnere Raffaele Cucinotta, tutti in detenzione domiciliare.
Le ultime sedute dibattimentali hanno visto deporre i
testimoni indicati dalle difese. Unico colpo di scena, le dichiarazioni
spontanee rilasciate da uno degli imputati “eccellenti” di Beta, l’ex ristoratore e già factotum del centralissimo
bar-pasticceria Irrera, Ivan Soraci, l’unico ancora in carcere. Descritto
dall’imprenditore di origini milazzesi Biagio Grasso - odierno collaboratore di
giustizia - come importante punto di collegamento tra la “famiglia” Romeo-Santapaola
e i salotti buoni della città di Messina, Soraci è stato arrestato nell’autunno
del 2018 nella seconda tranche d’indagine Beta,
con l’accusa di associazione a delinquere
di stampo mafioso, reinvestimento di capitali di provenienza illecita ed
estorsione.
Un’auto-difesa a 360 gradi, quella di Ivan Soraci, ma anche
l’occasione per fornire un’immagine ambigua e contraddittoria del suo
principale accusatore, l’ex amico e mancato socio Biagio Grasso. “Vorrei fare
una piccola premessa”, ha esordito l’imputato. “Sono quasi un anno e sette mesi
che ormai sono in regime di custodia cautelare, a mio avviso senza sapere di
che cosa stiamo parlando. Rispetto a questo io voglio succintamente arrivare a
quelli che sono i due capi di imputazione che mi vengono discussi in questa
vicenda. Il primo è legato al 416 bis e quindi associazione di stampo mafioso e
rispetto a questo io sono più attonito che perplesso. Ho sempre lavorato, ho
avuto una famiglia normale, una vita normale, fino alla data del 28 ottobre del
2018 quando vengo tratto in arresto in un’operazione che sarebbe figlia
dell’operazione madre, quindi la Beta 2”.
“Io comincio a lavorare sin da subito dopo il diploma con una
persona che poi scopro che è addirittura pre-estorto e che invece, per quanto
mi riguarda, è mio padre dal punto di vista lavorativo”, prosegue Ivan Soraci. “Collaboro
con lui a partire dal ’96-’97 fino a quando poi non mi stacco per prendere la
mia linea imprenditoriale. Paradossalmente ho il sogno di fare un’attività in
proprio in via Tommaso Cannizzaro, quasi all’altezza del Tribunale, sopra il
Monte dei Paschi, la Botte Gaia, che molti di qua conoscono per fatti di
logistica. Facendo un passo indietro, dopo le esperienze lavorative fatte col
dottor Giuseppe Denaro, tramite rapporto di fiducia sia umana che
professionale, passo alla gestione in toto di questa attività, un’azienda che è
l’Irrera 1910 e che viene acquisita come diversificazione della grande
distribuzione organizzata dove avevo sempre lavorato per loro. L’Irrera 1910 è
ancora oggi presente a Piazza Cairoli, numero 12 e io me ne prendo cura sia dal
punto di vista della vendita a dettaglio che per quello che concerne la
produzione perché c’era una scissione del ramo d’azienda. Così sono
amministratore unico da una parte e direttore quadro dall’altra. Si immagini,
signor Presidente, che questo è un locale che, non so oggi, ma ai tempi
sviluppava 1.200-1.300 battute quotidiane, che se facciamo un piccolo conto
matematico, se moltiplichiamo per ogni consumazione due, tre persone al bar,
significa che la pedonalità è molto più alta… Voglio dire, cioè, che c’era
molta affluenza, giornalmente circa 4.500 utenti, e che a Messina mi conoscono
tutti e io conosco tutti. Ad un certo punto, come avventori, tra tantissima
gente, rincontro una persona che conoscevo sin dai tempi dell’infanzia,
dall’adolescenza… Lei deve sapere che io sono nativo di Bisconte che è un
quartiere sulla parte molto alta di Viale Europa. Scendendo un po’ più sotto,
dove c’è lo svincolo di Messina Centro, c’è un posto che si chiama Fondo
Bisconte e dove c’è ancora una bottega di generi alimentari che precedentemente
era dei genitori di mia cognata, moglie di mio fratello Matteo. Lì c’era un
barbiere, una sala Endas e conosco Maurizio Romeo, conosco Vincenzo Romeo,
conosco Pasquale Romeo, ragazzi con i quali ho rapporti cordiali ma di pura
conoscenza”.
“Andando avanti nel tempo, a parte quelli che possono essere
dei contatti visivi, questi ragazzi li vedo molto di rado. Mentre invece sono
in quello che è il lavoro di pubbliche relazioni piuttosto che nella gestione
delle risorse umane e quindi frequento molto la sala vendita dell’Irrera 1910,
mi rincontro con Maurizio. Lui ai tempi si occupava, se non erro, di mediazione
immobiliare o qualcosa del genere. Da lì quella simpatia precedente diventa una
frequentazione. Io, a onor del vero, già un attimino ero predisposto a cercare
di realizzare un sogno proprio imprenditoriale, dedito sulle mie esperienze
pregresse, perché io nella grande distribuzione organizzata mi sono occupato di
quello che era il comparto dei freschi piuttosto che di salumi, formaggi e
quant’altro. Un giorno, per caso, nel condividere questo tipo di discussione,
stanco di pranzare ancora all’Irrera, mi trovo lì casualmente con Maurizio e
andiamo a mangiare da qualche parte. Ci facciamo una passeggiata in via Tommaso
Cannizzaro e arriviamo dove c’era Oliva, il precedente, non quello che c’è
adesso, quello piccolo dove poi nasce la Botte Gaia. Tra una Coca Cola, un
rustico e un pezzettino di focaccia questo signore lamenta una condizione di
crisi economica piuttosto che una stanchezza fisica dopo 40-50 anni di lavoro e
dichiara la volontà di dismettere. Mi viene l’idea che già condividevo con
grande gioia perché per me era un sogno imprenditoriale quello di individuare
questa posizione logistica, cioè davvero un punto strategico… Così,
bonariamente, ne parlo con Maurizio che era molto entusiasta e contento per me.
A quel punto questo sogno prende sempre più forma; lo coinvolgo, si convince e
da lì in avanti, quelle che sembravano delle trattative fatte con il signor
Oliva, oggi persona defunta, poi non si sono potute sviluppare perché scopro
che questo locale era soggetto a pignoramenti, tanto che le attrezzature che
poi andiamo a comprare, perché se no non potevamo affittare nemmeno il locale,
le affittiamo tramite il Tribunale ad un’asta. Quindi è da lì che nasce la
voglia di poter strapparmi da questa paternità benevola che era quella del
dottore Denaro nell’attività commerciale che gestivo da 15 anni a questa parte”.
“La mia idea era quella di sviluppare questa azienda a
Messina per fattori di legami, di figli”, prosegue Soraci. “Già erano nati i
miei figli e quindi c’era la voglia di rimanere nella propria città, però
dall’altro c’era anche la voglia di fare un investimento che possibilmente
avesse degli sbocchi commerciali più importanti. Da lì in avanti comunico alla
società per la quale lavoro e collaboro, che è quella dell’Irerra 1910 del
dottor Denaro, ma anche per quanto riguarda l’Antica Pasticceria, la mia
volontà di voler intraprendere questo sogno personale, pur rimanendo in ottimi
rapporti sino ad oggi… Quindi nessun tipo di estorsione, nessun tipo di
vessazione, nessun tipo di comportamento anomalo rispetto a quella che è una
persona che stimo, prima dal punto di vista umano. A prescindere da quelli che
sono i capi di imputazione, ci tengo in modo particolare, prima affettivamente
e poi dal punto di vista imprenditoriale, al dottore Giuseppe Denaro, che è
stato chiamato da voi come teste della Procura e le cui dichiarazioni mi
escludono totalmente da quello che dovrebbe essere tecnicamente l’art. 629”.
“Ancora la Botte Gaia è in embrione, più un’idea, una
situazione da percorrere con mille dubbi, tante perplessità, comunque una
grande voglia di fare. Intanto, mentre sono presente nella gestione delle
public relations e delle risorse umane dell’Irrera, se non sbaglio l’ingegnere
Giuseppe Puglisi, socio di capitali dell’Irrera 1910 e amico storico della
famiglia Denaro, mi presenta il signor Biagio Grasso come persona che aveva
delle joint venture con lui, credo nell’edilizia. Poi scopro sostanzialmente
che Biagio Grasso è invece anche socio del mio titolare e il rapporto e la
stima che io ho per il dottore Denaro fa sì che per me questo sia un credito.
Do dunque più credito a questa persona che comunque era costantemente
all’interno dell’Irrera 1910, specie dopo che il dottore Giuseppe Denaro mi
dice che egli è anche socio suo in un’operazione di tipo commerciale su terreni
e quant’altro, la storica società P & F, per intenderci. Per quella che è
la fiducia che io ho nei confronti di Giuseppe Denaro do un credito a Biagio
Grasso. Nasce quindi la frequentazione assidua. Poi scopro, anche perché viene
sempre all’interno del bar, che lui si innamora e convive con quella che era la
segretaria personale dell’ingegnere Puglisi, la signora Silvia Gentile. Lui è
molto bravo per quelle che possono essere le relazioni umane, per quelle che a
mio avviso sono le multipersonalità che lo pervadono e invadono. Si vende bene
soprattutto nella fase dello start up. E nasce così una bella simpatia. Va
detto che io non ho nulla che va a intercedere con quelli che sono i rapporti
lavorativi suoi: io di fatto faccio il barista, lui dovrebbe fare, tra
virgolette, l’imprenditore. Però è sempre una persona presente, che si
avvicina, sempre sorridente, a tratti anche invadente, comunque ha voluto
necessariamente portarsi a me come una persona amica. Io tendenzialmente sono
una persona che non preclude niente a nessuno, né dal punto di vista
emozionale, né dal punto di vista imprenditoriale… A distanza di tempo, il
signor Biagio Grasso, sempre più presente all’interno del bar, ad un certo
punto mi chiama in disparte e mi dice che mi doveva parlare nella saletta che
c’era nella parte nord dell’Irrera, dove si faceva il servizio tavoli. E mi
chiede una cortesia, mi chiede la gentilezza se gli posso prestare una cifra di
denaro non importantissima, perché lui era in un momento di empasse. Gli erano
state sequestrate dalle aziende dove c’era il giro della Finanza delle
ingentissime somme di denaro e non poteva sputtanarsi così davanti agli occhi
dell’ingegnere Puglisi piuttosto del dottore Denaro, perché avrebbe perso
credito. In buona sostanza stiamo parlando di 2.500 euro. Pur se io sono una
persona che ha sempre vissuto di stipendio, quei soldi erano paragonabili allo
stipendio di una mensilità, mi metto in mezzo. Non mi sono creato nessun
problema anche perché se non me li avesse ridati, sarebbe stata una somma che
tutto sommato non mi avrebbe fatto arrivare in bancarotta. Non avendo la
disponibilità di 2.500 euro in tasca perché non sono 25 euro, ricordo di averli
prelevati da quelli che sono gli incassi che io cadenzialmente mi prendevo
dalla cassa e riponevo giù negli uffici in cassaforte. Quindi gli do questi
soldi e gli dico risolviti le tue cose,
non ti preoccupare. Passa tantissimo tempo, fino a quando non lo rincontro
un giorno. Mi chiama e manifestando sempre questa sorta di stima e simpatia che
c’era nei miei confronti anche perché ero sponsorizzato positivamente dal punto
di vista professionale sia dal dottore Denaro, sia dall’ingegnere Puglisi, mi
dice che insieme a un altro grossissimo imprenditore che era anche un avventore
dell’Irrera 1010, il dottor ingegnere Carlo Borella, ha acquisito o rilevato
una grossa società su a Milano. E mi propone allora quella che doveva essere
una gestione delle risorse umane, comunque una collaborazione come persona di
riferimento suo. Se non sbaglio stiamo parlando della Else, qualcosa del genere.
Io, come dicevo prima, sono abituato che qualsiasi cosa mi viene proposta dal
punto di vista imprenditoriale, purché pulita e sana, voglio sottolinearlo,
sono sempre predisposto a volerla comunque osservare. Per quanto riguarda era
come due piccioni con una fava, perché da parte mia c’era sì la volontà di
voler fare questa attività a Messina, ma mi sarebbe piaciuto confezionarla e
farla in una città che avesse avuto uno sbocco commerciale molto più alto come
immaginiamo poteva essere Milano. Ricordo che nel corso di questo dibattimento
ha fatto una deposizione un maresciallo del R.O.S., se non sbaglio il
maresciallo Musolino, che addirittura si è permesso di dire che Ivan Soraci è
inserito in una blacklist dell’Hotel Marconi, tra virgolette, per danneggiamento….
Vorrei, che se voi avete il modo di accedere a livello informatico nella mia
e-mail personale, deve esserci una e-mail inviata da Biagio Grasso ma per
account Silvia Gentile, in cui mi invia il biglietto aereo per questa mia
visita a Milano per vedere l’operazione di gestione delle risorse umane e
quant’altro dell’Else. All’Hotel Marconi dove io avrei fatto danni, piuttosto
che minacciarlo, se voi vi informate e spero che le indagini vengano fatte, non
dovrebbe risultare che Ivan Soraci ha fatto un danno di atto vandalico, perché
questo non mi appartiene per etica morale e per persona. Conoscendolo, penso
probabilmente che avrà fatto anche un
buco, chiamiamolo così, una truffa… Mi ha pagato il biglietto aereo di salita e
mi ha pagato anche il biglietto aereo di discesa, quindi io non sono stato a Milano
con Maurizio Romeo così come c’è scritto negli incartamenti giudiziari per
minacciarlo a fare altro, ma sono stato invitato da lui. Ho percorso tutta la
via Vittor Pisani che era una zona per me appetibile perché è quella che va
alla Stazione Centrale, quindi banche, uffici e quant’altro. Quindi la Botte
Gaia, casomai, io nel mio immaginario avrei avuto la fortissima tentazione di
farla lì. Rifiuto quella che doveva essere l’offerta perché comunque vengo
dalla distribuzione organizzata come persona formata. Poi, anche perché tramite
sempre il dottore Denaro, c’erano sviluppi su Euronics, c’era un Euronics Point
e quant’altro. Mi violento professionalmente ancora il cervello per imparare
come funziona una granita, il cannolo e la cassata; non avevo assolutamente
voglia di capire come potesse funzionare il cemento e altre situazioni di
natura edilizia che sconosco totalmente… Torno in città e comunico a Maurizio
Romeo, col quale avevo il piacere di voler condividere questa attività
professionale, che da parte il mia c’era l’Ok per portarla avanti. Quindi vado
a comunicare definitivamente al dottore Giuseppe Denaro la volontà di lasciare
la gestione dell’Irrera 1910, anche se a tratti, visto il rispetto che io ho e
avevo nei suoi confronti, mentre sto lavorando per andare a costruire la Botte
Gaia, sono sempre in partecipazione all’Irrera 1910. Vado avanti con questa
struttura e viene costituta una società al 50%, la M & I S.r.l., che
significa Maurizio e Ivan S.r.l., che sono il mio nome e il suo nome. Non c’è
bisogno di essere soggetti a indagine ma bastava l’estrazione di un camerale
per vedere che c’era questa società fatta al 50%, senza nessuno scopo di lucro
ma anzi con un fortissimo indebitamento da parte mia. Sì, perché lì investo
tutto quello che c’era da investire dal punto di vista delle risorse
economiche, quindi il Tfr, qualche soldino messo da parte e, non mi vergogno a
dirlo, anche un prestito fatto con l’Agos di circa 25.000 euro che sono riuscito
a pagare purtroppo fino a tre quarti. Ho messo anche in condizioni negative la
mia famiglia perché c’era una firma da parte di mia moglie, quindi anche lei è
protestata pure per comprare un accendino, quindi si figuri di quale mafia o di
quale associazione, di quali milioni di euro si possa parlare… Poi non si
capisce, leggendo gli atti, di una mia cifra iniziale di start up di
investimento che era prima 30, poi 40, poi 50, poi 100, poi niente… Quindi
Biagio Grasso sostanzialmente diventa benefattore, poi estorto, cioè c’è tutta
una grande confusione, c’è tutto un grande equivoco che ancora oggi io non mi
spiego… Con tutto il rispetto per le persone che sono nella linea ordinaria e
sono a piede libero, mentre io ancora sono rimasto l’unica persona detenuta! E
quando il mio avvocato presenta addirittura durante Covid quella che poteva
essere l’idea di una scarcerazione, mi viene negata sia dalla Pubblica accusa
che dalla parte offesa che sostanzialmente sarebbe Biagio Grasso…. Andando
avanti nei tempi e sicuramente negli incartamenti e negli altri processi per i
quali lui è assolutamente coinvolto, si scoprirà, penso, chi sono le parti lese
e chi sono le vittime o i carnefici, ma questo è compito vostro, non è compito
mio”.
“Questa è sostanzialmente la parte legata a quella che a mio
avviso è la contestazione dell’associazione di stampo mafioso fatta su un
locale sulla via Tommaso Cannizzaro, in cui ho lavorato per 18 ore al giorno,
tutti i giorni compresa la domenica”, ha aggiunto Ivan Soraci. “Andiamo a
quello che invece è il concetto dell’art. 629 del codice penale, estorsione,
fatta prima a Biagio Grasso a Milano e compatibilmente fatta anche al dottore
Giuseppe Denaro, sul quale, ripeto, io non ci voglio tornare perché penso che
sia stata assolutamente esaustiva la sa dichiarazione fatta qua se non le
precedenti in fase di interrogatorio della Pubblica accusa. Deve sapere che mio
fratello maggiore, insieme alla moglie, avevano rilevato il Caseificio Calogero
che era sotto la via Santa Cecilia bassa, dove c’è il macello e la facoltà di
Veterinaria, per poi abbandonare quella zona malfamata dove i clienti non
riuscivano nemmeno a scendere, e rilevare un caseificio nella zona di Giammoro.
Desio Siciliano si chiamava. Questa operazione dal punto di vista commerciale,
per milioni di vicissitudini, a mio fratello va non male, malissimo, quindi
rimane incagliato dal punto di vista economico. Sono stato felice di poterlo aiutare
personalmente, per quello che ho potuto, anche economicamente. Rimangono fuori
dei mezzi, dei furgoni, che tolti da questo caseificio sito a Giammoro, sono
andati poi parcheggiati nel maneggio che lui aveva col suo socio a Villafranca
Tirrena, uscendo proprio dall’autostrada, tornando verso Messina. Era un maneggio-agriturismo,
Maurizio Saporito era il socio di mio fratello, e i furgoni erano messi lì. Ad
un certo punto questa figura di Biagio Grasso che appariva, scompariva, c’era,
non c’era, era a Milano, era a New York, era alle Seychelles, perché lui è onnipresente
e onnipotente, mi chiama e mi dice che aveva bisogno dell’ennesima cortesia,
fermo restando che i 2.500 euro non erano mai tornati e li avevo messi nel
dimenticatoio anche se essi mi servivano. Mi dice: Senti, so che tuo fratello… i furgoni, ecc. ecc., siccome potrebbero
servire per mio fratello – non so che doveva fare – ce li hai ancora? Ho detto: Guarda,
saranno ormai pieni di ruggine, acqua neve e vento, sono messi lì, ne parlo con
mio fratello e mia cognata e se hanno l’intenzione di venderlo, perché no,
recupero qualcosa…. Sì, sì, sì,
perché lui è molto facilista in tutto quel che dice e in tutto quello che fa.
Ad un certo punto si prende questo furgone a casa sua, gli avevo pregato di
fare il passaggio di proprietà, per i soldi me li avrebbe dati dopo, ma mi
garantisce che questo furgone da casa sua non si sarebbe mosso. E vero è perché
le chiavi ce le avevo io, quindi ho detto: Ti
do le chiavi quando fai il passaggio, lo vuoi togliere da lì perche si sta
infracidendo? Mettilo dove vuoi metterlo tu, ma non deve circolare fino a
quando non fai il passaggio di proprietà. Sostanzialmente, tra un sollecito
di mia cognata, un bisogno anche mio di recuperare i 2.500 euro che avevamo
quantificato il furgone e i 2.500 euro che erano i soldi che gli avevo dato, ma
anche soprattutto per fare il passaggio, lo chiamo, ma ogni dieci telefonate
rispondeva mezza volta con mille scuse. Mille cose da fare, mille riunioni e
poi a inventarsi qualche altra cosa delle sue. Mi chiama e mi dice: Ivan, vedi che ti ho risolto il problema,
non ti preoccupare, a giorni riceverai i soldi. In effetti è vero, perché
mentre io torno dalla pausa pranzo, la cassiera dell’Irrera 1910 mi dice che
c’è una busta chiusa dove c’è scritto S.P.M., che significa sue proprie mani, e là dentro c’era
l’assegno, un assegno di 4.980 euro”.
“Ora, signor Presidente, io ho letto le cose più disparate
rispetto alla mia persona, sia negli atti processuali, sia su quella che è la
cannibalizzazione mediatica che è stata fatta su di me in modo improprio
all’inizio e poi, dopo, con grande enfasi. Si parla di cose che non mi sono
contestate e quando il mio avvocato chiede come mai lo si faccia, uno dei due
Pubblici ministeri qui presenti, se non sbaglio il dottor Monaco, gli dice che
è per far sì che il collegio abbia una ottima e chiara idea di quello che è il
disegno criminale del signor Soraci Ivan. Stiamo parlando di un veliero con chissà
quale portata di materiale di tipo stupefacente che io stessi organizzando. Si
parla anche di minacce, ferimenti, armi. Ma dove sono queste persone? Dove sono
queste armi? E’ tutto frutto del signor Biagio Grasso che a tratti è
attendibile, a tratti inattendibile, però è molto confuso… Insomma, telefono a
Biagio Grasso che mi risponde. Gli dico: Biagio,
scusami, che cosa è questo assegno? Dice lui: C’è l’assegno che io ti devo dare, 2.500 dei soldi che mi hai prestato,
2.500 della quantificazione di quello che dovrebbe essere questo furgone,
perché sai, tanti problemi alla fine, era un po’ malandato, ho dovuto fare
degli aggiustamenti. Che poi non è vero neanche quello, perché io dopo
questo furgone me lo sono andato a riprendere, ancora di passaggio di proprietà
non se ne parlava. Ho letto pure negli atti che io sarei stato una sorta di
anello di congiunzione tra la criminalità organizzata e la Messina bene, trait d’union, se non sbaglio, si dice. Io questo
assegno me lo sono versato nel mio conto corrente personale e se fossi stato
una persona così geniale e diabolica dal punto vista mentale, sicuramente se
fosse frutto di estorsione non me lo sarei versato nel mio conto corrente. Avrei avuto milioni di altri modi
per poterlo fare girare. Visto quello che poi io ho appreso dagli atti, perché
di questi assegni non ce n’era uno ma ce n’erano una ventina, forse una
trentina, io avrei pure potuto dire che mi è stata chiesta la cortesia di cambiarlo
a qualcuno…. Non è vero, nessuno è venuto da me a dirmi, fammi la cortesia, cambiami questo assegno… Questo assegno paradossalmente sembrerebbe
figlio di altre fotocopie o copia e incolla di altre situazioni per le quali io
non c’entro e non mi interessano, ma è frutto di 2.500 euro di duro lavoro
fatto da me e di un furgone svenduto che avrei dato a questo signore. Adesso
dico perché successivamente gli ho tornato 2.500 euro indietro e mi sono preso
il furgone, perché di passaggio di proprietà non so perché non se ne parlava.
Mia cognata, che già veniva da un fallimento, era terrorizzata. Dice: Che cosa succede con questo furgone? Lo
chiamo e gli dico: C’ho i soldi in mano,
te li do indietro. Io non riesco più a tenere mia cognata e mio fratello, vogliono
il furgone, a meno che non fai oggi il passaggio di proprietà. Lui: No, non mi serve più, te lo puoi andare a
prendere. Dove dovrei andare a
prenderlo? Scopro dove abita il papà del signor Biagio Grasso, cioè a
Giammoro, posto in cui da quello che si legge negli atti e da quello che
sostiene il signor Nicola Grasso, il padre di Biagio, io sarei andato a
minacciarlo velatamente, per circostanze che non ricordo. Una situazione
imprenditoriale che nemmeno ne conosco la natura, una certa signora Agher, Egger,
che non so chi sia, non so che gli avrei detto , non so quale sarebbe stata la
risposta che io avrei dovuto avere e semmai l’ho avuta… Se è vero che Ivan
Soraci era il braccio armato di questa associazione, di questa criminalità
organizzata, come mai sono stato arrestato il 28 ottobre del 2018 mentre sono a
Palermo, quando i primi arresti di Beta 1
sono stati fatti il 7 luglio del 2017? E mentre stavo lavorando in una azienda
di vendita diretta che è una S.p.A. di presidi medico-sanitari, perché sono uno
sempre abituato a lavorare… E anche quando la Botte Gaia è stata dismessa, mi
sono sempre arrotolato le maniche per fare duro e onesto lavoro… Niente di
tutto quello che mi viene contestato… Sono veramente arrabbiato, sono quasi due
anni che sono stato strappato alla mia vita di tutti i giorni, ai miei affetti
più cari senza saperne il motivo. Non ho assolutamente idea di cosa stiamo
parlando e mi affido alla buona fede della Pubblica accusa per la quale io
porto ancora rispetto e stima. Io non c’entro nulla in questa situazione…”.
Sin qui l’accorata dichiarazione spontanea di Ivan Soraci, già
direttore commerciale dell’Irrera 1910 S.r.l., nonché amministratore unico dal
febbraio 2008 al settembre 2011 della società-sorella Antica Pasticceria Irrera. D’obbligo chiarire
che negli ultimi tre anni si sono verificati alcuni cambi di proprietà e di gestione
nelle aziende a capo dei bar-pasticceria dal prestigioso brand “Irrera”. Il 98%
del capitale sociale dell’Irrera 1910 (valore 98.000 euro), detenuto dalla GDH
S.r.l. dell’imprenditore Giuseppe Denaro, è stato rilevato il 17 febbraio 2017 dalla
DFG S.r.l., società amministrata e controllata dalla psicoterapeuta Daria
Denaro, nipote di Giuseppe Denaro e figlia del di lui fratello, Filippo.
Il 28 dicembre 2018, l’Irrera 1910 è stata messa in liquidazione;
due mesi dopo, il 27 febbraio 2019, l’esercizio commerciale di Piazza Cairoli è
stato rilevato dalla Aveni
Food Service S.r.l., società con capitale di 10.000 euro (di cu versati solo
2.500), controllata per il 90% dall’imprenditore agricolo di Tripi, Cirino
Renzo Aveni, e per il restante 10% dalla libera professionista di Francavilla
di Sicilia, Loredana Puglisi. La famiglia Denaro ha invece concentrato la
produzione e commercializzazione di dolci e gelati nell’Antica Pasticceria
Irrera, capitale sociale 40.000 euro, di cui 39.200 in mano di Daria Denaro e
800 in quelle di Antonina Salvatrice Santisi, moglie di Giuseppe Denaro,
funzionaria del Dipartimento per lo Sviluppo Organizzativo dell’ASL 1 di Roma
ed assessora ai servizi sociali dell’ex amministrazione comunale con sindaco
Renato Accorinti. Quest’ultima società avrebbe mantenuto la gestione diretta
dell’esercizio commerciale di Corso Garibaldi 79, nel grande edificio di
proprietà della Curia arcivescovile.
Il 26 giugno 2019, l’Antica Pasticceria Irrera ha anche rilevato
un ramo d’azienda dalla Valdicamaro S.r.l.s., società di import-export di
prodotti alimentari con sede a Roma in viale Giuseppe Mazzini 112,
amministratore unico il messinese Costantino Lombardo. Peloritani anche i due
soci della Valdicamaro: l’industriale del settore salumi Giovanni Lombardo
(51%) e la libera professionista Fabrizia Nuccio, già co-titolare della società
di ristorazione “Piatto Quadro” e moglie di Antonio D’Arrigo, ex presidente
dell’USD Camaro calcio 1969 ed ex direttore sportivo dell’ACR Messina, odierno
“esperto” per gli impianti sportivi comunali dell’amministrazione di Cateno De
Luca.
Le vicende dell’Irrera 1910 e della “Piatto Quadro” di
Fabrizia Nuccio e Antonio D’Arrigo si erano incrociate casualmente il 30 giugno
2012 (Ivan Soraci ancora direttore-dipendente di Giuseppe Denaro). Quel giorno
le due aziende prendevano in affitto per ampliare le loro attività produttive due
differenti stabili all’interno del Capo Peloro Resort di Torre Faro, al tempo
di proprietà degli imprenditori Enrico Buda e Antonino Giordano, quest’ultimo
indicato da Biagio Grasso come socio e collaboratore di Giuseppe Denaro nella
realizzazione di un centro commerciale.
Articolo pubblicato in Stampalibera.it
il 15 giugno 2020, http://www.stampalibera.it/2020/06/15/processo-beta-agli-sgoccioli-lautodifesa-di-ivan-soraci-ex-amministratore-e-direttore-dellirrera/
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