Affari e salute. La cooperazione anti-Covid 19 tra Qatar, Italia e Israele
Si definisce “plasmaterapia”
e per alcuni – pochi - potrebbe contrastare la pandemia da coronavirus. Si preleva
il plasma” dal sangue dei convalescenti da Covid-19 per poi immetterlo
nell’organismo di chi è ancora gravemente ammalato. A questo punto gli anticorpi
presenti nel plasma “iperimmune” dovrebbero esercitare un’azione neutralizzante
sul virus, contribuendo al miglioramento delle condizioni cliniche e alla
guarigione dei pazienti.
La
sperimentazione in Italia della plasmaterapia anti-coronavirus è stata avviata
dopo l’Ok del ministero della Salute con una circolare del 27 marzo scorso,
piena di perplessità scientifiche e raccomandazioni per una corretta gestione
dei pazienti immunodepressi. “Pur ribadendo l’incertezza
attualmente esistente del beneficio clinico derivante da questo approccio –
riporta il ministero - nei pazienti con deficit dell’immunità umorale che
sviluppino un quadro di Covid-19 si può prendere in considerazione
(ottimalmente nell’ambito di triaI clinici autorizzati) la possibilità di
procedere all’infusione di plasma di soggetti convalescenti che abbiano
superato l’infezione da SARS-CoV-2. Ovviamente, il soggetto donatore dovrà
compiutamente rispondere ai requisiti previsti dalla normativa vigente per la
donazione di emocomponenti”.
A partire
con i test sono stati quattro ospedali lombardi: il Policlinico
San Matteo di Pavia e i presidi “Carlo Poma” di Mantova, “Maggiore” di Lodi e
Asst di Cremona. Il 15 maggio, previa autorizzazione del comitato etico
dell’INMI “Lazzaro Spallanzani” di Roma, ha preso il via su tutto il territorio
nazionale TSUNAMI (acronimo di TranSfUsion
of coNvaleScent plAsma for the treatment of severe pneuMonIa due to SARS.CoV2),
uno studio comparativo randomizzato per valutare l’efficacia e il ruolo del
plasma ottenuto da pazienti convalescenti da Covid-19. Promosso dal ministero
della Salute, dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’AIFA (Agenzia Italiana
del Farmaco), TSUNAMI vede coinvolti 56 centri di 12 regioni, con il
coordinamento dell’azienda ospedaliera di Pisa e del Policlinico di Pavia e la supervisone
di un comitato scientifico presieduto dal direttore AIFA, Nicola Magrini.
Nonostante le prescrizioni
del ministero in tema di controllo e trattamento del plasma “iperimmune” e
l’avvio su vasta scala della plasmaterapia, Mater
Olbia Hospital, Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Fondazione
Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” di Roma hanno avviato in autonomia una ricerca in materia con
alcune istituzioni sanitarie del lontano Qatar, con tanto di sponsor
istituzionali: l’ambasciata italiana a Doha e l’Aeronautica militare che ha un
proprio presidio nella grande base aerea qatarina di Al-Udeid.
Incomprensibili
e dispendiose le modalità adottate dai partner del progetto: il plasma è
prelevato negli ospedali dell’emirato da “donatori” convalescenti e infuso in
malati “volontari”; poi ancora un altro prelievo da questi ultimi e il
trasporto di plasma con un volo militare dell’Aeronautica prima a Roma e poi ad
Olbia per una prima campagna di test sugli anticorpi presenti. Infine un nuovo
volo del plasma qatarino verso la capitale e una seconda attività sperimentale nel laboratorio
di Microbiologia dell’Università Cattolica.
Il
budget messo in campo per il programma è ragguardevole, 500.000 euro,
provenienti in buona parte dal Qatar Foundation Endowment, azionista di
maggioranza della società titolare del Mater Hospital di Olbia. Ma la vera
ragione della plasma-triangolazione Doha-Olbia-Roma sta forse nella necessità
di rendere sempre più solide e strategiche le relazioni politiche e militari
tra il nostro paese e il controverso regime qatarino. “La fornitura del Qatar di campioni di plasma di
pazienti da Covid-10 agli esperti ricercatori biomedici in Italia riflette i
validi e prolungati legami scientifici tra le due nazioni”, ha dichiarato il
vicepresidente della Qatar Foundation, Richard O’Kennedy. “Siamo molto
orgogliosi che i principali centri medici italiani e del Qatar lavorino insieme
per un progetto che può fare davvero la differenza per le persone e salvare
vite umane”, ha spiegato l’ambasciatore italiano Alessandro Prunas, tra i
sostenitori del plasma-programma. “La ricerca scientifica è diventata un
aspetto fondamentale della nostra cooperazione bilaterale e sono fiducioso che presto
l’Italia e il Qatar rafforzeranno ulteriormente il loro impegno nello sviluppo
di nuovi progetti che sblocchino il potenziale non sfruttato in questo settore”.
Dopo aver fatto incetta di petrolio, gas, fregate, cacciabombardieri, mitra e
pistole, le holding finanziarie italo-qatarine si lanciano dunque all’arrembaggio
di ospedali, laboratori scientifici e società farmaceutiche.
E il
rispetto di protocolli e codici etici? Forse in Italia, assai difficile in
Qatar dove le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno (vedi quanto
accade ai lavoratori, in buona parte immigrati, impiegati nella realizzazione
degli impianti sportivi del Mondiale di calcio 2022). Da quanto è possibile
apprendere dai media locali, la sperimentazione del plasma anti-Covid sarebbe
stata avviata nell’emirato sin dalla prima decade di aprile dall’Hamad Medical
Corporation, tra i partner del programma del Mater Olbia e della Cattolica del
Sacro Cuore. A individuare i “donatori” sei strutture sanitarie anti-Covid19:
il Communicable Disease Center e gli ospedali Hazm Mebaireek, Mesaieed,
Ras Laffan, Al Shahaniya e The Cuban Hospital.
“Più di 170 pazienti da Covid-19
in Qatar hanno ricevuto sino ad oggi il trattamento di plasma”, hanno riferito
i responsabili dell’Hamad Medical, il 7 giugno scorso. “Abbiamo equipaggiato il
centro-donazione con gli ultimi ritrovati tecnologici in grado di separare direttamente
il
plasma dal sangue e restituire simultaneamente le altre componenti al donatore,
con un procedimento che dura 45 minuti circa. Inoltre il centro ha
apparecchiature per la conservazione del plasma a 80 gradi sotto zero, in modo
che ne sia assicurata l’idoneità il più a lungo possibile. Secondo quanto
previsto dal protocollo, molti pazienti con Covid-19 in Qatar saranno dimessi
dalle strutture ospedaliere 14 giorni dopo il loro primo test positivo. Dopo 28
giorni, essi potranno donare il plasma per i test, così da assicurare che un numero
sufficiente di anticorpi sia presente nel loro plasma e che esso non sia infetto”.
Strutture qatarine all’avanguardia nella plasmaterapia; perché allora la
necessità di ulteriori sperimentazioni in Italia?
Difficile capire poi il
motivo per cui è a coordinare il programma ad Olbia sia stato chiamato l’infettivologo
Stefano Vella, già direttore del Centro Nazionale per la Salute Globale
dell’Istituto Superiore di Sanità, ex Presidente dell’AIFA, adjunct professor dell’Università
Cattolica e, da fine marzo, membro del comitato
tecnico-scientifico della Regione Sardegna per la gestione delle misure di
contrasto al coronavirus nell’Isola. Inizialmente il prof. Vella si era dichiarato
assai scettico sull’efficacia della plasmaterapia, preferendo la ricerca per
nuovi vaccini e la sperimentazione di anticorpi
monoclonali creati in laboratorio. “Come rappresentante italiano nella commissione Horizon Europe, per i vaccini vedo
progetti frutto di intensa collaborazione internazionale, con una mobilitazione
paragonabile a quella vista per Aids, tubercolosi, malaria. La plasmaterapia è
stata usata per tante malattie in passato, ma è una soluzione direi
preistorica, con tutti i rischi che comporta: oggi guardiamo ad altro”,
dichiarava il 15 marzo alla testata Quotidiano.Net.
L’8 maggio, in un’intervista a la Stampa, il prof. Vella appariva più possibilista: “Dagli
studi preliminari sembra che il successo della
plasmaterapia sia stato abbastanza alto. Ora bisogna capire bene quali
anticorpi diano la guarigione, sia in fatto di qualità che di quantità. Perché
in alcune persone la terapia ha funzionato egregiamente mentre in altre no.
(…) Come per tutti i farmaci prima si dà il plasma iperimmune
e meglio è. Però in molti casi l’infezione - se leggera -
sparisce da sola, quindi sarebbe un errore somministrarla. Ma sarebbe un errore anche aspettare che la malattia diventi grave.
Quindi l’ideale sarebbe il momento in cui il sintomi del paziente cominciano a
peggiorare. Per questo ci vuole molta cautela”.
Ancora vaccini e terapia con
anticorpi monoclonali in un’intervista al notiziario dell’AIOM, l’Associazione
Italiana di Oncologia Medica, pubblicata il 20 maggio, una settimana dopo che
il Mater Hospital di Olbia aveva reso noto l’accordo con la Qatar Foundation. “Gli
anticorpi monoclonali potrebbero essere i primi farmaci intelligenti, mirati in modo specifico contro il virus”, spiegava
il neocoordinatore del programma pro risposta immunitaria naturale. “Essi non sono in competizione con il vaccino, sono
infatti terapie mirate indirizzate a chi è stato contagiato, mentre il vaccino
preventivo è destinato agli individui sani. La cura con anticorpi monoclonali è
una delle vie da percorrere…”. Ancora più lapidaria l’affermazione di Stefano
Vella a Il Giornale del 24 maggio
2020: “L’unica
soluzione definitiva sarà il vaccino”.
In
pole position nelle attività di sviluppo degli anticorpi monoclonali
neutralizzanti ci sono alcuni centri scientifici finanziati e coordinati dal
ministero della Difesa d’Israele, in particolare l’Israel Institute for Biological
Research (IIBR) diretto dal prof. Shmuel Shapira, ex
colonnello medico e fondatore e capo del Dipartimento di Medicina militare
della Hebrew University di Tel Aviv. Proprio l’IIBR ha avviato recentemente una
collaborazione sugli anti-virus monoclonali con l’Azienda Ospedaliere Universitaria
“Careggi” di Firenze e la Fondazione Toscana Life Science di Siena (vicepresidente
Carlo Rossi, presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena; consigliere
Alessandro Campana, docente di Scienze economiche nel corso in
Biotecnologie Sanitarie dell’Università Cattolica di Roma).
Il complesso
militare-industriale israeliano ha conseguito inquietanti risultati anche nel
campo del “tracciamento e schedatura” delle persone colpite dal Covid-19, grazie
a tecnologie di elaborazione vocale e all’intelligenza artificiale. A fine marzo l’Amministrazione per lo sviluppo dei
sistemi d’arma del Ministero della difesa ha reso pubblica l’attivazione
di una specifica app che consente di campionare le voci dei pazienti affetti da
coronavirus. L’app è stata realizzata da Vocalis Health,
società high tech con sede a Tel Aviv, in collaborazione con l’Afeka College of
Engineering e il Rabin Medical Center di Petah Tikva. Da un mese a questa parte
questi due enti medici hanno stretto una partnership proprio con l’Università del Sacro Cuore
di Milano e la Fondazione Policlinico “Agostino Gemelli” di Roma. “I centri di Italia e Israele stanno lavorando congiuntamente
utilizzando nella pratica clinica le loro competenze sull’elaborazione vocale e
l’intelligenza artificiale per consentire il rilevamento pre-diagnostico dei
potenziali portatori di Covid-19 attraverso l’analisi della voce, del parlato e
della tosse dei pazienti”, ha riferito l’ambasciata italiana a Tel Aviv, il 16
giugno 2020. “Si sta realizzando un database di migliaia di campioni di
voce, tosse e respiro di pazienti infetti da Covid 19, ma anche di pazienti con
l’influenza stagionale, di modo da poter marcare le differenze e ottimizzare la
diagnosi del sistema”. A finanziare studi e ricerche concorrerà molto
probabilmente l’Unione europea, con i fondi di Horizon 2021-2027. Dallo
scorso mese di gennaio, “rappresentante italiano” al Programma Quadro di
Ricerca Europeo per conto del MIUR e del ministero della Salute è il prof. Stefano
Vella.
Ricapitolando, le istituzioni accademiche care a
Vaticano, Conferenza Episcopale Italiana e Comunione e Liberazione hanno
contestualmente avviato programmi di ricerca anti-Covid con fondazioni del
Qatar e centri di ricerca “vicini” alle forze armate d’Israele. Due paesi,
Qatar e Israele, in aperta “guerra fredda” per le relative contrapposte
relazioni con l’Iran, gli Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza.
Pecunia no
olet e anche la
fondazione allo sviluppo creata dai sovrani dell’emirato non ha avuto remore a
promuovere l’affaire miliardario del Mater Olbia in compagnia del gruppo
finanziario a capo dell’asse Cattolica-Gemelli, non nuovo in verità ad accordi strategici
con le aziende e gli enti militari e paramilitari israeliani. Nel dicembre 2013,
a Villa Madama, a conclusione di un vertice intergovernativo Italia–Israele, l’Università Cattolica del Sacro Cuore,
rappresentata dal Rettore Franco
Anelli (Comunione e Liberazione) firmava due “lettere di intenti” per programmi
sanitari con il Chaim Sheba
Medical Center di Ramat Gan (Tel Aviv) e il Rambam Health Care Campus di Haifa, il
primo, già ospedale militare, il secondo affiliato al Technion – Israel Institute of Technology, uno dei
maggiori istituti di ricerca nel campo delle nuove tecnologie e dei sistemi
d’arma.
“Le lettere di intenti preludono a un
articolato e dettagliato accordo di cooperazione finalizzato a promuovere, nel
triennio 2013-2016, la realizzazione presso il Policlinico Gemelli di un
ospedale silente, in collaborazione
con il Rambam Health Care, dotato di 100 posti letto potenziali da attivare in
caso di maxi-emergenze sanitarie, quali calamità naturali, disastri o grandi
incidenti in ambito civile che determinano numerose vittime politraumatizzate,
nonché per la gestione di scenari cosiddetti CBRNE, ovvero in cui vi sia una emergenza provocata da sostanze
chimiche, biologiche, radioattive, nucleari ed esplosive”, riferiva il
portavoce della Cattolica. “L’iniziativa prevista con lo Chaim Sheba Medical
Center riguarda il campo della simulazione medica, con previsione di attività
formative e di ricerca dedicate alla gestione degli interventi di prima
necessità; lo scambio e programmi per sviluppare progetti formativi E-Learning;
una joint-venture per una stazione sperimentale in cui realizzare tecnologie
speciali come manichini e parti anatomiche”. La sanità privata e
paramilitarizzata…
Articolo pubblicato in Africa Express il 27 giugno 2020, https://www.africa-express.info/2020/06/27/affari-e-salute-la-cooperazione-anti-covit-19-tra-qatar-italia-e-israele/
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