Burkina Faso. Efferati crimini contro l’umanità ma l’Italia fa accordi militari
Addestrare e armare un paese
poverissimo del continente africano le cui forze armate sono impegnate in una
sporca guerra al “terrorismo” e perpetuano stragi e inaudite violazioni dei
diritti umani? L’Italia lo fa in Niger e Mali e quando il Parlamento
ratificherà l’accordo di cooperazione militare firmato il 1° luglio 2019 dai
rappresentanti dei due governi, anche il Burkina Faso rientrerà tra i partner
strategici del complesso militare-industriale nazionale.
Con un prodotto interno
lordo pro-capite inferiore agli 800 dollari e un’età media della popolazione (circa
19 milioni) pari a 17 anni, il Burkina Faso è uno dei paesi più poveri e più
giovani del pianeta. Qualche giorno fa le autorità politiche-militari burkinabé
sono finite all’indice di un rapporto di Amnesty International che ha
documentato “gravi violazioni” dei diritti umani da parte delle forze di
sicurezza nel periodo compreso tra il febbraio e l’aprile 2020. Sanguinosi
eccidi sono stati compiuti negli stessi mesi dai reparti d’elite
anti-terrorismo degli altri due importanti alleati italiani nel Sahel, Niger e
Mali.
“Nel corso delle recenti
operazioni militari, sono stati commessi dalle forze armate di Burkina Faso,
Mali e Niger non meno di 57 esecuzioni extragiudiziarie o omicidi illegali e 142
casi di sparizioni forzate”, scrive Amnesty. “Ciò è avvenuto in un contesto che
ha visto i tre paesi potenziare i rispettivi interventi militari per combattere
i gruppi armati come il GSIM (Group for the Support of Islam and Muslims) e
l’ISGS (Islamic State in the Greater Sahel), responsabili di molteplici attacchi
contro le forze di sicurezza e di gravi abusi di diritti umani contro la
popolazione”.
La controffensiva che ha
ulteriormente esasperato i conflitti nella regione africana, era stata
pianificata il 13 gennaio 2020 a Pau (Francia) nel corso del summit del G5
Sahel, l’organizzazione regionale costituita nel 2014 da Mali, Mauritania,
Niger, Burkina Faso e Ciad per cooperare nel campo della sicurezza e della
“lotta al terrorismo”, in partnership con l’Operatione
Barkhane promossa dal governo francese in Africa occidentale.
“Queste operazioni sono
state tuttavia caratterizzate da gravi violazioni contro la popolazione, incluso
esecuzioni extragiudiziarie e altri omicidi illegali”, prosegue il rapporto di
Amnesty International. “In Mali e Burkina Faso, dove non è in corso un
conflitto armato internazionale, parecchi di questi deliberati assassinii di
civili possono considerarsi crimini di guerra”. Nel poverissimo paese del
Sahel, in particolare, l’organizzazione dei diritti umani ha potuto accertare
due massacri, rispettivamente nelle città di Ouahigouya e Djibo, a distanza di
10 giorni l’uno dall’altro. “Il 29 marzo 2020, Issouf Barry, consigliere locale
a Sollé, Hamidou Barry, capo villaggio di Sollé, e Oumarou Barry, uno dei
membri della principale famiglia di Banh, sono stati sequestrati dalle loro
abitazioni a Ouahigouya, provincia di Yatenga, regione del Nord”, spiega
Amnesty. “I tre uomini sarebbero stati arrestati da individui presentatisi come
gendarmi e che comunque indossavano le uniformi della Gendarmerie. Tutti erano sfollati interni che erano stati
ricollocati a Ouahigouya, la capitale della regione, per garantire la loro sicurezza.
Tre giorni dopo l’arresto, il 2 aprile, i corpi di Issouf Barry, Hamidou Barry e
Oumarou Barry sono stati rinvenuti da alcuni abitanti in un sobborgo della
città, sulla strada che conduce a Oula. Amnesty International ritiene che l’eccidio
sia stato un’esecuzione extragiudiziaria e chiede alle autorità statali d’indagare
su di esso per consegnare i responsabili alla giustizia”.
Uno stretto congiunto di
Oumarou Barry, Issiaka Barry, era stato sequestrato nel dicembre 2019 a Ouahigouya
da alcuni individui che si erano presentati anch’essi come gendarmi. Il corpo senza
vita veniva rinvenuto alla periferia di Ouahigouya un paio di giorni dopo. “Sia
Oumarou Barry che Issiaka Barry avevano denunciato in passato lo stato d’impunità
in Burkina Faso e avevano invocato giustizia contro le esecuzioni extragiudiziarie
commesse dalle forze di sicurezza burkinabè a Kainh, Bomboro e Banh nel
febbraio 2019”, aggiunge Amnesty.
Ancora più drammatica la
strage avvenuta in Burkina Faso il 9 aprile 2020 nella città di Djibo, regione
del Sahel, 200 km circa a nord della
capitale Ouagadougou. “Trentuno residenti di Djibo sono stati
arrestati in diversi quartieri della città e successivamente assassinati dal Groupement des Forces Anti-Terroristes (GFAT), gruppo d’élite delle forze
anti-terrorismo. Dieci delle vittime erano sfollati che erano stati ricollocati
a Djibo: 6 provenivano da Silgadji e 4 da Kobao. I corpi delle 31 vittime sono
stati recuperati dai familiari la sera stessa a sud-est di Kourfayel, un
villaggio a 7 km da Djibo”.
Anche Human Right Watch ha dedicato all’eccidio di Djibo un accurato
report. “Gli uomini sono stati uccisi presumibilmente qualche ora dopo il loro
arresto, disarmati, nel corso di un’operazione governativa anti-terrorismo”,
scrive l’Ong. “Il governo del Burkina Faso ha tre forze di sicurezza accampate
a Djibo: una stazione di polizia, una base della gendarmeria e una base in
cui è presente una forza mista
anti-terrorismo. I residenti ritengono che sarebbe stata quest’ultima la
responsabile della strage del 9 aprile”.
“In tutto il
Burkina Faso, ma principalmente nella regione del Sahel al confine con Mali e
Niger, a partire del 2017 abbiamo documentato più di 300 civili uccisi da
gruppi armati islamisti e l’assassinio di diverse centinaia di uomini da parte
delle forze di sicurezza governative per un loro supposto supporto a questi gruppi”,
aggiunge HRW. “L’Unione Europea, la Francia e gli Stati Uniti d’America
dovrebbero esercitare pressioni sul governo Burkinabé affinché conduca un’inchiesta
credibile e individui i responsabili dell’eccidio. Questi Paesi dovrebbero inoltre
assicurarsi che ogni tipo di assistenza militare fornita alle forze di
sicurezza del Burkina Faso non sia utilizzata da unità responsabili di questa e
altre atrocità di cui nessuno è stato chiamato a rispondere”.
E
l’Italia? Come se niente accadesse nell’inferno del Sahel, da qualche mese è
approdato alle due Camere il disegno di legge approvato il 12 dicembre 2019 dal Consiglio dei ministri (proponenti
il titolare degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Luigi Di
Maio, e quello della Difesa, Lorenzo Guerini) di ratifica ed esecuzione dell’Accordo tra il governo della Repubblica
italiana e il governo del Burkina Faso relativo alla cooperazione nel settore
della difesa. “L’accordo firmato a Roma il 1° luglio 2019 - spiega la
Presidenza del Consiglio - è volto a fornire un’adeguata cornice
giuridica per l’avvio di forme strutturate di cooperazione bilaterale tra le
Forze armate dei due Stati contraenti, al fine di consolidare le rispettive
capacità difensive, di migliorare la comprensione reciproca sulle questioni
della sicurezza, nonché di indurre positivi effetti, indiretti, nei settori
produttivi e commerciali coinvolti dei due Paesi”.
Composto da 12 articoli, l’Accordo militare
Italia-Burkina Faso prevede all’art. 2 che i rispettivi Ministeri della
difesa possano stipulare “ulteriori intese tecniche volte a disciplinare in
concreto le aree di cooperazione, che sono: politica di sicurezza e di difesa; sviluppo
e ricerca, supporto logistico e acquisizione di prodotti e servizi; operazioni
umanitarie e di mantenimento della pace; organizzazione e impiego delle Forze
armate, servizi ed equipaggiamenti delle unità militari e gestione del
personale; questioni ambientali connesse all’inquinamento causato da attività
militari; sanità, storia e sport militare; formazione e addestramento militare;
ecc.”.
Quanto alle modalità di cooperazione si prevedono visite
reciproche di delegazioni di personale civile e militare; lo scambio di
esperienze tra esperti, relatori e personale, nonché di studenti provenienti da istituzioni militari;
partecipazione a corsi teorici e pratici, a periodi di orientamento, seminari,
conferenze, dibattiti e simposi organizzati presso enti civili e militari della
Difesa; partecipazione a esercitazioni militari; visite di aeromobili militari;
sostegno a iniziative commerciali relative ai materiali e ai servizi della Difesa”.
Lunghissima la lista dei
sistemi di guerra che, secondo l’art. 6 dell’Accordo, potranno essere esportati
alle forze armate del paese africano: aeromobili ed elicotteri militari, sistemi
aerospaziali e relativo equipaggiamento; carri e veicoli armati; armi da fuoco
automatiche e relative munizioni; armamento di medio e grosso calibro e
relativo munizionamento; bombe, mine (“eccetto quelle anti-uomo”), missili,
razzi e siluri; polveri, esplosivi e propellenti; sistemi elettronici,
elettro-ottici e fotografici; materiali speciali blindati; sistemi e
attrezzature per la produzione, il collaudo e il controllo delle armi e delle
munizioni.
“Il reciproco
approvvigionamento dei suddetti materiali potrà avvenire con operazioni dirette
tra i due Stati oppure tramite società private autorizzate dai rispettivi
Governi, mentre l’eventuale riesportazione del materiale acquisito verso Paesi
terzi potrà essere effettuata solo con il preventivo benestare della Parte
cedente”, si legge ancora all’art. 6. “Le attività nel settore dell’industria
della difesa e della politica degli approvvigionamenti, della ricerca, dello
sviluppo degli armamenti e delle apparecchiature militari potranno assumere le seguenti
modalità: ricerca scientifica, prove e progettazione; scambio di esperienze nel
settore tecnico; produzione congiunta, modernizzazione e servizi tecnici;
supporto alle industrie della difesa e agli enti statali al fine di avviare la
cooperazione nel settore della produzione di materiali militari”. Considerato
il palese squilibrio economico-industriale e accademico tra le due Parti, è
ovvio che il trasferimento di tecnologie belliche sarà unilaterale, da Roma a Ouagadougou, mentre a beneficiarne saranno solo le
aziende italiane, Leonardo-Finmeccanica e Iveco DV in testa.
L’Accordo di cooperazione bilaterale è
stato firmato al Circolo dell’Esercito “Pio IX” di Roma dall’allora ministra della Difesa, Elisabetta Trenta (M5S) e dal ministro
della Difesa Nazionale e dei Veterani del Burkina Faso, Moumina Chériff Sy.
“Sanciamo la comune ferma volontà di rafforzare le relazioni bilaterali, con
l’intento di ampliarle a specifiche aree di cooperazione, come la lotta al terrorismo e le attività
di capacity building”, dichiarava Elisabetta Trenta. “L’Accordo con il Burkina
Faso sottolinea la significativa importanza che l’Italia dà alla cooperazione
con l’Africa, in special modo con i Paesi del Sahel, con l’obiettivo di supportarli nel loro percorso di
stabilizzazione e sviluppo. Il miglioramento delle condizioni di sicurezza di
quest’area rappresenta un aspetto imprescindibile di questo nostro impegno e,
le Forze Armate italiane, fianco a fianco con la nostra cooperazione internazionale, sono
particolarmente impegnate in tal senso”.
Otto giorni dopo il vertice di Roma, il 9 luglio 2019,
l’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari esteri, l’italiana
Federica Mogherini, annunciava che l’Ue avrebbe sostenuto la forza militare congiunta
antiterrorismo G5 Sahel con un finanziamento aggiuntivo di 138 milioni di
euro. La decisione di Bruxelles veniva formalizzata a conclusione di un vertice
a Ouagadougou tra la stessa Mogherini, il presidente del Burkina Faso Roch Mark
Christian Kaboré e i ministri degli Esteri di Ciad, Mali, Mauritania e Niger.
Il 25 febbraio 2020 a Nouakchott, capitale della Mauritania, si sono tenuti il Vertice dei Capi
di Stato G5 e la prima Assemblea Generale dell’Alleanza Sahel, organizzazione internazionale di cui è partner
anche l’Italia e che sostiene economicamente e militarmente i Paesi del G5
Sahel. A rappresentare il nostro paese ai lavori, la vice ministra degli Affari
esteri Emanuela Del Re, sociologa e parlamentare pentastellata. “Nel corso
della giornata, la Vice Ministra ha avuto un incontro bilaterale con il
Presidente del Burkina Faso, Roch Mark Kaboré, cui ha espresso solidarietà per
la crescente violenza del terrorismo nel paese”, riporta la nota della
Farnesina. “L’Italia attribuisce una grande importanza al Burkina Faso per la
stabilizzazione del Sahel ed esprime grande soddisfazione per la recente firma
dell’accordo di cooperazione in materia di difesa che consentirà di aumentare
la collaborazione bilaterale per la formazione nei settori del controllo delle
frontiere e della lotta ai traffici illeciti”.
Alla luce dei report di
Amnesty International e Human Rights Watch sui crimini delle forze armate
burkinabé, ci sarà qualche ripensamento nel governo Conte oppure, come per
l’Egitto di al-Sisi, prevarranno ancora una volta gli interessi del Sistema Italia?
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