Milazzo tra mafia, politica e affari. Il caso Santino Napoli
L’arresto il 24 gennaio 2017 nell’ambito dell’inchiesta Gotha 7 della Direzione Distrettuale Antimafia sulla penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto sociale ed economico della provincia di Messina. Poi il processo a Barcellona Pozzo di Gotto e la condanna in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa ad otto anni di reclusione (dieci la richiesta del Pm) e, il 25 novembre scorso, la riduzione a sei in appello. Contro Santo Napoli detto Santino, infermiere professionale dell’Azienda sanitaria locale n. 5 e consigliere comunale a Milazzo per diversi partiti di centro e centrodestra, ininterrottamente dal 1993 al 2015, arriva adesso la doppia tegola della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per cinque anni e il sequestro dei beni da parte del Tribunale di Messina (presidente il dottor Massimiliano Micali).
A richiedere il provvedimento la DDA e la Questura
di Messina (istanza depositata il
17 aprile 2020) che hanno attenzionato la
fitta trama di interessi economici e società in mano a Santo Napoli, ai
congiunti e al socio non poi tanto
occulto, quel Giuseppe Busacca padre-padrone della “cooperativa” Genesi, asso
pigliatutto dei servizi sociali e dell’assistenza alle categorie svantaggiate
di mezza Italia. Un sistema complesso che ha consentito impunemente per anni di
accumulare immense risorse finanziarie pubbliche, poi dirottate dalle casse
delle cooperative “sociali” verso aziende di comodo (sistematicamente dichiarate
fallite) e reinvestite in beni immobili o nella gestione del redditizio mercato
del divertificio di Milazzo e dintorni, fatto di discoteche, pub, hotel e ville
per feste e matrimoni.
La lettura del decreto del
Tribunale peloritano fornisce un’assai poco lusinghiera descrizione della
figura del politico-infermiere che in consiglio comunale ha pure ricoperto l’incarico di presidente di commissione
(quella strategica dei lavori pubblici,
l’ambiente e il territorio, dal 2000 al 2010) e, successivamente, di
vicepresidente del civico consesso. “Santo Napoli, soggetto di riferimento
dell’associazione mafiosa nel Comune di Milazzo, anello di congiunzione tra il livello politico-imprenditoriale e la
criminalità organizzata, può essere ritenuto
in termini ampiamente adeguati al
presente contesto, soggetto indiziato di appartenere ad un’associazione di tipo mafioso”,
scrivono i giudici. “La stabilità e la lunga durata della condotta per cui il
Napoli ha subito condanna consentono quantomeno di trarre solide conclusioni
circa la sua elevatissima propensione ad intessere relazioni
con soggetti appartenenti alla mafia per ricavarne multiformi vantaggi: denaro, agevolazioni in campo imprenditoriale e politico, favori personali”.
A
servizio e per conto dei barcellonesi
“I medesimi elementi
portano a ritenere
il Napoli attualmente pericoloso per la sicurezza
pubblica e può essere annoverato tra i soggetti
destinatari di misura di prevenzione in quanto indiziato di
appartenere alle associazioni di cui all’articolo 416 bis c.p.”,
aggiungono i magistrati. “Il Napoli ha intrattenuto illeciti
rapporti con esponenti mafiosi
per circa tre decenni (…) A fronte di un’intera
esistenza nel corso della quale il Napoli ha coltivato illecite relazioni con esponenti mafiosi,
mostrando peraltro di saper cambiare
i propri riferimenti per continuare a trarre vantaggi
nonostante gli arresti
dei soggetti con cui intratteneva rapporti qualificati (prima Salvatore Di Salvo, successivamente i fratelli Carmelo Francesco D’Amico), il Tribunale
ritiene certamente di poter formulare
un giudizio di pericolosità riferito
all’attualità”.
Nel decreto che ordina il sequestro dei beni
e delle società in mano a Santo Napoli, Giuseppe Busacca e congiunti, si
ricorda che all’infermiere-consigliere è stato contestato in sede processuale il “concorso nell’associazione mafiosa” operante sul versante tirrenico della
provincia di Messina, “cui aderivano, fra gli
altri, Salvatore Di Salvo, Carmelo D’Amico, Ottavio Imbesi, Mariano Foti,
Domenico Chiofalo, Franco Munafò, ecc.”. “L’associazione dei barcellonesi – spiegano i giudici -
avvalendosi della forza di intimidazione promanante dal vincolo associativo e dalla condizione di assoggettamento ed omertà che ne derivava sul
territorio, programmava e commetteva delitti della più diversa natura contro la persona, il patrimonio,
la Pubblica Amministrazione, l’amministrazione della giustizia, l’ordine pubblico e la fede pubblica, con l’obiettivo
precipuo di acquisire in forma diretta e indiretta la gestione e comunque il controllo di attività economiche, di appalti pubblici, di profitti
e vantaggi ingiusti per sé e per altri”.
Nello specifico, Santo Napoli “forniva
informazioni di interesse per il clan, indicando i lavori appaltati dal Comune di
Milazzo e le ditte che li avrebbero realizzati per consentire all’associazione di rendere queste ultime immediatamente destinatarie di atti
intimidatori e conseguenti pretese estorsive;
sistemava le estorsioni operando come mediatore presso la vittima
per conto dell’associazione; favoriva l’aggiudicazione di lavori pubblici
ad imprenditori intranei
o contigui all’associazione ed agiva, comunque,
di concerto con esponenti di spicco della mafia barcellonese (in particolare, i fratelli D’Amico)
affinché certe iniziative imprenditoriali venissero gestite da questo o da quell’imprenditore”.
Inoltre, grazie alla sua attività di infermiere professionale e ai contatti
creati con il personale sanitario - sempre secondo
l’accusa – “riusciva a far ottenere
certificazioni di favore nell’interesse degli affiliati al clan”. Alla fine della fiera, Santo Napoli otteneva
il “beneficio di gestire alcune discoteche a lui
riconducibili sotto la Protezione
e con l’ausilio dell’organizzazione mafiosa
di riferimento”.
Numerosi i collaboratori di giustizia che
hanno ammesso di conoscere Santo Napoli e le sue malefatte. Salvatore
Centorrino, esponente mafioso della città di Messina,
lo ha indicato come la persona che favorì la sua latitanza nella zona tirrenica
a fine anni ’80. “Santino era un infermiere che lavorava presso l’ospedale di
Milazzo e che mi risulta aver avviato successivamente un’attività di rappresentanza per forniture ospedaliere”, ha dichiarato Centorrino. “Era
amico di Mario Marchese ed era la faccia pulita,
in pratica, dei clan barcellonesi per attività, insieme
al figlio, di apertura di discoteche e cose varie. Tramite tale Santino trascorsi un periodo
di latitanza nelle zone di Milazzo
e di Pace del Mela… Lo avevo conosciuto tramite Gino Leardi, e lo
stesso mi mise in contatto con Salvatore Famà, cognato di Pietro Nicola Mazzagatti e lo stesso Mazzagatti, i quali mi assicurarono la copertura nella zona di Milazzo, mettendomi a disposizione le abitazioni. Entrai
in contatto anche con tale Pasquale Catanzaro, titolare di una grossa rivendita
di pesce a Milazzo, il quale mi diede la disponibilità di una casa nei pressi
della discoteca Le Cupole. Conobbi anche il cugino di Piddu Madonia,
che faceva il capostazione a Milazzo, tale Giovanni Ilardo”. Nomi di peso del firmamento
mafioso quelli citati dal collaboratore messinese. Giovanni Ilardo era un pregiudicato catanese condannato per associazione mafiosa con
sentenza definitiva nel procedimento penale Mare
Nostrum, cugino del boss della famiglia
di Caltanissetta Giuseppe “Piddu” Madonia,
nonché fratello di Luigi
“Gino” llardo, il mafioso catanese in stretto contatto con il superlatitante
Bernando Provenzano, ucciso nel maggio 1996 alla vigilia della formalizzazione
della sua collaborazione con lo Stato. Dagli atti del processo Mare Nostrum è emerso tra l’altro che Giovanni Ilardo era il “rappresentante di Benedetto Santapaola per la zona di Milazzo,
dove aveva costituito
un gruppo operante
nell’ambito del gruppo barcellonese”.
All’udienza dibattimentale del 4 aprile 2019,
sempre Salvatore Centorrino ha fornito un altro elemento di collegamento con Santo
Napoli. Ha riferito che il politico
milazzese gli aveva presentato il proprietario del ristorante Villa
Marchese perché andasse lì a mangiare nel breve periodo di latitanza che
avrebbe dovuto trascorrere in zona.
Dagli accertamenti effettuati è emerso che al tempo il
ristorante era di proprietà di Francesco
Marzini, ritenuto dagli inquirenti uno “stretto collaboratore del Napoli”.
Pizzo e
discomusic
Un altro collaboratore di giustizia del
barcellonese, Nunziato Siracusa, ha riferito che tra il 1996 ed il 1999, Santo Napoli, approfittando del ruolo istituzionale rivestito nel Comune di Milazzo,
otteneva informazioni sulle imprese impegnate in lavori pubblici per sottoporle
poi ad estorsione. “Mi sono recato più
di una volta, insieme a Salvatore Sem Di Salvo, presso l’ospedale
di Milazzo per consegnare al Napoli la somma di due milioni di lire, che questi riceveva per il proprio apporto, oltre ad
una mensilità doppia nel periodo natalizio”, ha aggiunto Siracusa. Sempre
secondo il collaboratore, nel corso degli anni ‘90 il Napoli aveva sistemato in prima persona alcune estorsioni
a Milazzo, tra cui quella ai danni del rinomato locale Dolce Vita.
“È ragionevole ritenere
che l’intervento dell’organizzazione mafiosa in favore del Napoli abbia determinato la successiva liquidazione volontaria dell’azienda e le
dinamiche societarie che la porteranno, nell’anno 2003, ad entrare nella disponibilità
formale di Baldassare Catalano, zio di primo grado di Antonino Napoli, in quanto quest’ultimo è figlio naturale di Santo Napoli
e della sorella del Catalano, Caterina”, annota il Tribunale
di Messina nel decreto di sequestro dei beni. Opportuno aggiungere che lo
stesso Antonino Napoli risultava essere al tempo titolare del ristorante Il
Paradiso di Capo Milazzo.
Sempre Nunziato Siracusa ha riferito di
un’altra importante estorsione in cui il Napoli avrebbe fatto da intermediario,
nel 2009, ai danni della pescheria “Caravello”.
Tra il 1996 e il 1999, il politico milazzese “aveva chiesto e ottenuto il sostegno dell’associazione mafiosa alla sua candidatura quale
consigliere provinciale o regionale,
ricevendo la fattiva collaborazione dei maggiorenti del sodalizio mafioso tra
cui Domenico Tramontana, Santo Gullo, Carmelo Giambò, Salvatore
Di Salvo e Giovanni Rao”, ha aggiunto Siracusa. Infine ha riferito agli inquirenti
che nell’anno 2004 Santo Napoli gestiva insieme a Carmelo D’amico alcune
discoteche di Milazzo, tra cui l’Inside e Le Terrazze. “In questo contesto, intervenni su richiesta di Carmelo
D’Amico per dissuadere Carmelo
Vito Foti dal creare problemi
alle discoteche gestite
dal Napoli (…) In particolare, ricordo che il Foti pretendeva di entrare gratis
in una discoteca. Lo stesso era in
cattivi rapporti con il Napoli che accusava
di essere un confidente”.
Conferme dirette sul modus operandi di Santo Napoli
sono giunte dai fratelli D’Amico. Secondo Francesco D’Amico, nel periodo compreso tra il 2000
e il 2003, il Napoli “avrebbe sfruttato la sua
carica pubblica per fare assegnare alcuni lavori pubblici alle imprese
riconducibili a Salvatore Di Salvo, Carmelo Mastroeni e Maurizio Marchetta”. In
particolare si sarebbe interessato per conto dei barcellonesi ai lavori di realizzazione di alcuni
impianti sportivi. In anni successivi, lo stesso Francesco D’Amico sarebbe stato sollecitato dal consigliere comunale a collocare
una bottiglia incendiaria contro l’impresa
che stava realizzando diverse case popolari nel
quartiere Sant’Antonino di Barcellona Pozzo di Gotto. Per la cronaca, gli stretti contatti di Santino Napoli con i
mafiosi barcellonesi Salvatore “Sem” Di Salvo e Carmelo Mastroeni sono stati
accertati nel corso dell’indagine Omega
su mafia e appalti nella provincia di Messina; nella medesima inchiesta sono
stati documentati pure i contatti telefonici tra il politico e il pregiudicato
Cosimo Scardino, poi condannato per associazione mafiosa con sentenza passata
in giudicato, nell’ambito del processo Icaro.
“Ricordo anche che in un periodo compreso il
2000 e il 2005, intervenni insieme a
mio fratello Carmelo D’Amico, ad Angelo
Caliri e altri presso la discoteca Le
Terrazze di Milazzo, che in quel
periodo era gestita da Vito Carmelo Foti, per intimidire quest’ultimo e
convincerlo a lasciare la gestione di
quella discoteca a Santino Napoli, che l’aveva avuta in precedenza”, ha
dichiarato Francesco D’Amico. “In quel periodo il Napoli gestiva insieme ad
Alessandro Busacca e a Francesco
Rantuccio le discoteche Le Terrazze, Babylon, Paradiso e Inside”.
Come addetto alla sicurezza in quegli
stessi locali, lavorava allora Elio D’amico, fratello di Francesco e Carmelo.
Buste
zeppe di euro in ospedale
Santo Napoli si sarebbe rivolto a Francesco D’amico
per intimidire violentemente un fioraio che lavorava vicino al cimitero di Milazzo e che voleva cacciare dal luogo in cui esercitava la sua attività. “Io mandai
Antonino D’Amico, Franco Munafò e Angelino Alesci a svolgere quanto richiesto dal Napoli”,
ha ammesso il collaboratore. “L’episodio trova
preciso e oggettivo riscontro nella denuncia di Scibilia Roberto,
aggredito a calci e pugni, presso il suo chiosco
di fioraio al cimitero”,
scrive il Tribunale di Messina. Nell’occasione, la persona offesa riconosceva come uno dei suoi aggressori il predetto Antonino D’Amico,
che veniva arrestato e condannato per
rapina e lesione personale, in concorso con altre persone non identificate”.
L’ex uomo di vertice della mafia
barcellonese, Carmelo D’Amico, oggi anch’egli collaboratore di giustizia, ha
raccontato che Santo Napoli sarebbe entrato a far parte della consorteria mafiosa nei primi anni ‘90 e per almeno un decennio avrebbe
“rappresentato un punto di
riferimento per l’associazione anche
all’interno dell’ospedale di Milazzo
per ottenere una via preferenziale per le prestazioni mediche, ma anche per
ottenere certificati falsi”. Ma erano soprattutto le estorsioni
a danno delle aziende che avevano ottenuto lavori pubblici a consolidare i
legami tra il clan e il politico-infermiere. “Con Salvatore Di Salvo
c’incontravamo con Napoli e lui ci dava un foglio stampato con l’indicazione delle
ditte”, ha spiegato Carmelo D’Amico. “Tali incontri avvenivano nel suo ufficio o a volte nei bagni dell’ospedale
per il timore di intercettazioni. Per queste segnalazioni il Napoli riceveva
quale compenso una percentuale dei
proventi o dei regali”.
In conformità a quanto narrato dal fratello
Francesco, Carmelo D’Amico ha riferito che Santo Napoli utilizzava il proprio peso politico-istituzionale per fare
ottenere degli appalti alle ditte riconducibili a Carmelo Mastroeni, Salvatore
Di Salvo, Maurizio Marchetta e ad “altri imprenditori vicini all’associazione, come Giuseppe Molino e
Sebastiano Puliafito”. Il collaboratore ha ricordato una complessa
operazione immobiliare realizzata negli anni 2004-05 e che lo ha visto
protagonista insieme a Santo Napoli e agli imprenditori Vincenzo Pergolizzi e
Antonino Perroni. “Il ruolo del Napoli era stato
principalmente quello di agevolare la trasformazione urbanistica, da zona
agricola a industriale, dei terreni
su cui doveva essere costruito un complesso immobiliare”, scrivono i giudici
del Tribunale di Messina. “In questo
contesto, il Perroni veniva sostanzialmente sottoposto ad estorsione dagli altri e, secondo quanto riferito da Carmelo D’amico nell’ambito
del procedimento Gotha 7, l’imprenditore
aveva consegnato a lui 100.000 euro,
al Napoli 50.000 e al Pergolizzi una villetta a rustico tra quelle costruite”. L’episodio estorsivo è stato
confermato agli inquirenti dallo stesso Perroni che ha stigmatizzato l’estrema pericolosità della famiglia D’Amico, “nonché di Santo Napoli e Vincenzo Pergolizzi,
collegati oltre che tra di loro e con la mafia
barcellonese, anche con la criminalità organizzata di Messina e Catania”.
Ancora il collaboratore Carmelo D’Amico ha
ricordato che alla fine del 2008 il Napoli gli aveva segnalato che una ditta di
Catania aveva ottenuto un appalto
per l’importo di 7 milioni
di euro, relativo
alle fognature di Barcellona
Pozzo di Gotto. “In quell’occasione egli mi chiese un occhio di riguardo nell’estorsione
che gli avremmo fatto perché era molto amico dei titolari”, ha aggiunto. “Anziché
il 3% dissi al Napoli che avrei chiesto l’1%. Il Napoli contattò i suoi amici e
mi confermò che erano disponibili a pagare 70.000 euro. Poi venni arrestato e
non so come andò a finire la cosa…”.
Gli inquirenti hanno individuato la predetta
ditta nella Tecnical S.p.A. di Catania (oggi “Angelo
Russello S.p.A.), che nel maggio 2010 aveva ottenuto un appalto dal Comune di
Barcellona Pozzo di Gotto, avente ad oggetto Lavori di realizzazione del Contratto di Quartiere II S. Antonino. “Giova rilevare che Fabrizio
Russello, membro della compagine sociale
dell’impresa in parola, era tratto in
arresto, il 22 novembre 2005, in esecuzione dell’ordinanza di custodia
cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di
Caltanissetta (Operazione Odessa) per il
reato di associazione mafiosa in quanto ritenuto l’uomo di collegamento fra i clan mafiosi di Riesi e Gela”, annotano i magistrati. L’imprenditore
gelese venne poi assolto dal Tribunale di Caltanissetta
nel luglio 2008, ma – evidenziano i giudici messinesi – “dei Russello ha
parlato, con dovizia di particolari, più
di un collaboratore di giustizia, primo fra tutti Angelo Siino, il cosiddetto ministro dei Lavori pubblici di
Totò Riina, il quale ha riferito in merito
all’elevato livello di contiguità al gruppo di potere mafioso della famiglia
Russello”. Dei potenti costruttori gelesi hanno parlato pure
Salvatore Lanzalaco e Giovanni Brusca, “i quali hanno confermato che l’accordo tra imprenditori del cosiddetto
cartello mafioso e imprese edili settentrionali
rappresentava uno strumento per rendere all’esterno trasparente l’aggiudicazione
di un appalto pubblico da parte di imprenditori collegati
a Cosa nostra”. Salvatore Lanzalaco, in particolare, ha riferito che la famiglia Russello
era ritenuta uno dei più importanti collegamenti tra il mondo degli appalti e Cosa nostra e che il filo di congiunzione era rappresentato dal potente boss nisseno
Giuseppe “Piddu” Madonia.
C’è infine un altro collaboratore di
giustizia barcellonese, Aurelio Micale, che ha posto l’accento sul ruolo
ricoperto da Santo Napoli quale “gestore” delle discoteche di Milazzo. “Era
persona vicina all’organizzazione mafiosa e in particolare ai fratelli D’Amico che si occupavano di gestire la sicurezza nei locali del Napoli”,
ha spiegato Micale. “L’infermiere
gestiva le discoteche insieme a tale Busacca (Giuseppe Busacca, nda), gestore di cooperative per servizi agli anziani e di Francesco Rantuccio”. Sempre secondo il
collaboratore, per le imprese da sottoporre ad estorsione “Napoli faceva delle segnalazioni a Carmelo D’Amico, tramite
l’impresa di Puglisi Salvatore” e “sempre grazie alla sua
influenza politica si era attivato
per agevolare la concessione demaniale
per l’apertura di un lido da
parte di Elio D’Amico in località
Tono di Milazzo, in particolare presso la Capitaneria di Porto”.
Voti, soldi,
partiti e favori
Nel decreto di sequestro dei beni e di
applicazione della sorveglianza speciale ai danni di Santo Napoli e Giuseppe
Busacca, il Tribunale di Messina si sofferma anche sui legami “intercorrenti”
tra il politico milazzese e Salvatore Rinzivillo, reggente della famiglia
mafiosa di Gela e fedelissimo del boss Giuseppe Madonia. “Le risultanze investigative dei procedimenti Exitus e Extra Fines
della Procura di Caltanissetta, compendiate nella nota del 15 gennaio 2020
della Squadra Mobile della
Questura di Caltanissetta, rivelano
la continuità dei rapporti tra Santo
Napoli e Salvatore Rinzivillo fino all’arresto di quest’ultimo il 4 ottobre 2017”, scrivono i magistrati.
“Il Napoli aveva risalenti rapporti con il mafioso
milazzese Francesco Duilio Doddo
e, a loro volta, Rinzivillo e Doddo, per come emerso dalle indagini
svolte dal GICO della Guardia di finanza di Roma, avevano frequenti rapporti.
Tale circostanza lascia desumere che la conoscenza tra Rinzivillo e Napoli fosse nata tramite Doddo in quanto quest’ultimo è stato segnalato da diversi pentiti
come uomo di Cosa
Nostra nissena nel territorio di Messina”.
Sempre secondo gli inquirenti, dopo la morte
di Giovanni Ilardo, Francesco Duilio
Doddo era stato prescelto dai vertici della mafia di Caltanissetta quale loro referente
per l’area mamertina e barcellonese. “L’attività
di indagine della Procura di Caltanissetta ha documentato, principalmente mediante attività captativa
e di localizzazione, fitti contatti tra il Napoli e il Rinzivillo, consistenti in colloqui telefonici, incontri di persona e comunicazioni mediate dall’avvocato Grazio Ferrara, uomo di fiducia del capomafia gelese, anch’egli arrestato il 12
settembre 2019 nell’ambito del procedimento Exitus
con l’accusa di associazione mafiosa proprio
per il suo ruolo di collegamento tra Salvatore Rinzivillo e altri
esponenti mafiosi, tra i quali Santo Napoli”,
aggiunge il Tribunale di Messina. “Nonostante l’arresto di Rinzivillo, gli
affari imbastiti tra questi e il proposto andavano
avanti per il tramite del Ferrara
(…)
1
Il 25 ottobre 2017, Napoli forniva
al Ferrara, tramite sms, un numero di telefono con il riferimento on. Gianni. Gli accertamenti condotti
in merito consentivano di rilevare che
quel numero apparteneva a Giuseppe
Gianni inteso Pippo, originario di Solarino (Siracusa), medico
chirurgo, politico di lungo corso sia a livello nazionale
sia regionale e successivamente sindaco del comune di Priolo Gargallo, chiamato in causa dal pentito
Francesco Marino Mannoia
per avere aiutato
Cosa Nostra con falsi certificati medici, nonché per avere
avuto legami con il capomafia
di Lentini, Nello Nardo”.
Al tempo delle comunicazioni tra l’avvocato
Grazio Ferrara e Santo Napoli, l’on. Pippo Gianni era membro dell’Assemblea
Regionale Siciliana, componente delle commissioni Attività produttive e Cultura, Formazione e Lavoro.
“Si può ragionevolmente ipotizzare che la comunicazione del contatto del deputato regionale rappresenti un ulteriore tassello dell’affare in corso
tra il Napoli e il Rinzivillo, con
cui il primo intendeva assicurare al capomafia gelese la necessaria copertura
politica per agevolare
l’aggiudicazione dei bandi regionali”, scrivono i giudici peloritani. Antiche
e consolidate le relazioni politiche tra l’infermiere milazzese e il
parlamentare siracusano. Nel marzo 2011 Santo Napoli (allora vicepresidente del
consiglio comunale) abbandonò il partito di appartenenza, l’UDC, per fare
ingresso nel PID dell’ex ministro all’agricoltura Saverio Romano. “Ringrazio in
particolare l’on. Pippo Gianni per la fiducia e guardo con grande auspicio a
questo partito nuovo, che ha però radici in antiche tradizioni e che si
posiziona nel centrodestra come valore aggiunto”, dichiarò Napoli al momento
del cambio di casacca. Del PID l’on. Gianni (anch’egli ex UDC) era stato
nominato da poco coordinatore nazionale.
A
braccetto con il principe nero del Longano
Dulcis in fundo il legame del signore
incontrastato delle discoteche milazzesi con il personaggio di vertice della
criminalità barcellonese, il pluripregiudicato Rosario Pio Cattafi, uomo-cerniera tra mafia, istituzioni e
servizi segreti, coproprietario di una delle aree di particolar pregio
paesaggistico di Milazzo, la baia di sant’Antonio al Capo. Come annotano i
magistrati, Napoli si sarebbe speso per perorare la causa e gli interessi del
Cattafi tra gli amministratori e i consiglieri del Comune di Milazzo. “Con dichiarazioni rese a partire dal 21
ottobre 2000, Antonino La Rosa, all’epoca
capogruppo consiliare dei D.S.
denunciava le reiterate richieste del collega, Santo Napoli, di intervenire
presso il dirigente del Commissariato di Barcellona P.G., Paolo Sirna, conosciuto personalmente dal La Rosa,
affinché ammorbidisse una relazione
da inviare all’Autorità Giudiziaria sul conto di Pio
Cattafi, destinatario di misura di prevenzione per l’appartenenza
all'associazione dei barcellonesi”.
Al tempo consigliere comunale di maggioranza
con l’UDEUR, Santo Napoli si propose come assessore dell’amministrazione
guidata dal sindaco Antonio Nastasi. “Assunto a s.i.t. presso il commissariato
di Ps di Milazzo il 13 novembre 2000,
il primo cittadino ha riferito di una visita presso il suo ufficio al comune di
Rosario Cattafi, in compagnia del Napoli, per proporgli la candidatura ad
assessore di quest’ultimo”, aggiungono i giudici messinesi. “Nastasi ha
riferito pure di una seconda visita del Cattafi, ancora una volta in compagnia
di Santo Napoli, per caldeggiare una rappresentazione teatrale di tale
Iannuzzo, da scritturare per l’estate milazzese”. L’assidua frequentazione del
noto attore Gianfranco Iannuzzo con il Cattafi è stata documentata dagli
inquirenti sin dai primi anni ’90.
Nel corso degli incontri con il sindaco, il
boss Rosario Pio Cattafi e l’amico consigliere avrebbero fatto un’altra
importante richiesta. Come scrivono i giudici, “l’alleanza criminale tra Giuseppe
Busacca e Santino Napoli trova traccia già da epoca risalente nell’informativa del
2 febbraio 2001 del Commissariato di P.S. di Milazzo da cui risulta che il Napoli,
a metà dell’anno 2000, intervenne, insieme
al menzionato Cattafi, sul sindaco
pro tempore, Ing. Nino Nastasi,
anche per assicurare a Giuseppe Busacca, in qualità di titolare
della Soc. Coop. Soc. Genesi (all’epoca denominata Soc. Coop. Soc. Geriatrica), la proroga del servizio di assistenza domiciliare agli anziani”.
Con l’Operazione
Gotha 3 dell’estate del 2012 che condusse in carcere il pluripregiudicato
Rosario Pio Cattafi e altri noti esponenti mafiosi barcellonesi, la Direzione
Investigativa Antimafia mise nero su bianco sui rapporti tra il presunto boss dei boss del Longano e il
consigliere-faccendiere mamertino, ma ciò non sembrò turbare più di tanto né
gli amministratori, né i colleghi in consiglio comunale. L’unico grido di allarme
fu lanciato dall’Associazione Antimafie “Rita Atria” che nell’ottobre 2012
presentò un esposto al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
di Barcellona Pozzo di Gotto e al Prefetto di Messina, chiedendo di accertare possibili condizionamenti della criminalità
organizzata nella vita politico-amministrativa del Comune di Milazzo. “A
seguito dell’operazione Gotha 3, si
riscontra da una serie di atti, testimonianze, relazioni di organi inquirenti,
che il consigliere comunale Santo Napoli sia stato citato come persona
coinvolta in fatti di grave entità”, scriveva l’associazione. “Nella
nota del 13 novembre 2000 del Commissariato PS di Milazzo, si riporta che dai fatti sopra descritti sembrerebbe che
Napoli Santo sia l’anello di congiunzione fra il mondo politico e la
criminalità organizzata; tale ipotesi viene supportata anche
dall’informativa redatta il 9 marzo 1995 dalla Compagnia C.C. di Milazzo nella
quale si segnala che lo stesso Napoli Santo è figlioccio del noto pregiudicato Martorana Francesco originario di Termini
Imerese, ex sorvegliato speciale di
P.S., assassinato il 20 gennaio 1981, ritenuto dagli investigatori dell’epoca
quale affiliato delle cosche malavitose locali”.
Nell’esposto si ricordava che la Relazione di
minoranza della Commissione parlamentare Antimafia della XIV legislatura (2006)
aveva dedicato a Santo Napoli un inquietante passaggio. “Da inequivoche
intercettazioni telefoniche del procedimento Omega è risultato l’autorevole referente
del clan barcellonese nella città di Milazzo”, vi si legge. “A Milazzo, Santo Napoli,
per sovrapprezzo, è in atto consigliere comunale, per il secondo mandato
consecutivo (significativamente sempre schierato con la maggioranza, prima a
sostegno di un’amministrazione di centrosinistra e ora di centrodestra), e
controlla rilevanti attività economiche anche attraverso il figlio”.
Ricapitolando, Santo Napoli è stato eletto
per la prima volta consigliere comunale nel 1993 e due anni dopo veniva
descritto dai Carabinieri come il figlioccio
di un pregiudicato assassinato nelle guerre di mafia. Poi nel 2000 la Polizia
di Stato lo ha schedato quale anello di
congiunzione tra politica e criminalità organizzata, mentre nel 2006 è
arrivata la notorietà nazionale con il rapporto della Commissione Antimafia.
Infine nel 2012 con l’operazione Gotha 3
è divenuto pubblico il suo ruolo di referente a Milazzo dell’uomo cerniera di Cosa nostra, l’avvocato
Rosario Pio Cattafi. Ma nessuno ha mai avuto nulla da osservare né da lamentare
in tutti questi anni e così Santo Napoli ha potuto concludere, potente e
indisturbato, tutti i suoi mandati consiliari. E alle elezioni amministrative
della primavera 2015 si è perfino riproposto come candidato di un’improponibile
lista verde-bianco-rossa, Milazzo Green, ottenendo un lusinghiero risultato personale ma non la
rielezione per il non raggiungimento del quorum. Meno di due anni più tardi
l’arresto con l’operazione Gotha 7 e,
poi, le pesanti condanne in primo e secondo grado. Poco importa a Milazzo.
Santo Napoli ha continuato a fare presenza e pressing tra amministratori,
politici e consiglieri e all’ultima tornata elettorale sembra essere apparso in
più di un’occasione accanto a un candidato sindaco (sconfitto), già alla guida
di una giunta di centro-destra di qualche tempo fa.
Non c’è proprio nulla da dire. A Milazzo memoria e anticorpi sono pari a zero.
Articolo pubblicato in Stampalibera.it, il 20 dicembre 2021, https://www.stampalibera.it/2021/12/20/linchiesta-milazzo-tra-mafia-politica-e-affari-il-caso-santino-napoli/
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