Il ruolo strategico della Sicilia nella nuova dottrina nucleare USA
Sebbene Mike Pompeo e Donald Trump abbiano
cercato di attribuire unicamente alla Russia la responsabilità del congelamento
del trattato INF, il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall'accordo,
potrebbe essere inquadrato come la naturale conseguenza della nuova dottrina
nucleare USA e di una corsa agli armamenti.
Decade il principio della deterrenza, che finora
aveva scongiurato un attacco nucleare, per la paura della rappresaglia e
dell'escalation. L'idea di poter circoscrivere il danno e distruggere le capacità
di rappresaglia del nemico, giustifica di fatto il ricorso all'atomica. La
possibilità di sferrare un attacco nucleare anche dinnanzi a una minaccia di
diversa natura, ne accelera l'utilizzo e rende qualsiasi area strategica — come
ad esempio la Sicilia, che pur non avendo armi nucleari ospita basi aeree e
navali e centri di comunicazione — un possibile obiettivo di guerra nucleare.
Nell’'81 il parlamento italiano decideva di
ospitare 112 testate nucleari in Sicilia, nell'aeroporto dismesso di Comiso.
Questo dispiegamento trasformò l'isola nel target di un eventuale attacco
atomico sovietico.
Oggi la Sicilia gioca un ruolo strategico ancora
più centrale: con l'aeroporto di Sigonella, capitale mondiale dei droni, che
esercita il controllo aereo del Mediterraneo ai confini sud-orientali dell’Europa
con la Russia, con la base navale di Ragusa che ospita esercitazioni come
la Dynamic Manta, con l'aeroporto Trapani-Birgi, operativo nelle operazioni
belliche contro la Libia, l'isola è diventata la “portaerei del
Mediterraneo”. Il MUOS a Niscemi, il sistema Joint Tactical Ground Station
(JTAGS) a Sigonella, permettono il controllo a distanza di operazioni belliche,
facendo della Sicilia il centro di passaggio di decisioni strategiche. La
Sicilia ha già un ruolo centrale nella strategia di riarmo e controllo
dell'area mediterranea e dell'est Europa in funzione antirussa. Venuto meno il
principio del "sole purpose", cioè dell'utilizzo dell'atomica
dinnanzi ad una minaccia della stessa natura, la Sicilia potrebbe diventare, se
non lo è già, un obiettivo strategico di rappresaglia, di una guerra nucleare
che gli Stati Uniti combattono nel nostro territorio.
Di quello che potrebbe essere il ruolo
strategico della Sicilia all'interno della nuova dottrina nucleare statunitense
Sputnik Italia ha parlato con Antonio Mazzeo, giornalista e scrittore
messinese, che ha prodotto una vasta letteratura sulle strategie USA in Sicilia
e sulla sua militarizzazione.
— Cosa comporterebbe
la fine del Trattato INF?
— Il rischio di una escalation a livello
nucleare. Già in tempi non sospetti, l'amministrazione Obama, aveva stanziato
miliardi di dollari per il potenziamento e l’ammodernamento delle armi
nucleari. Oggi, la strumentale uscita unilaterale del trattato INF serve per
portare a termine questi progetti che, con il rischio escalation, riporteranno
l'Europa a una situazione analoga alle crisi missilistiche degli anni '80 e
rendono sempre più reale l'incubo dell'olocausto nucleare.
— Com'è cambiata la
strategia nucleare degli USA?
— Viene teorizzato il cosiddetto principio
del first strike, la dottrina del "primo colpo", volta ad annientare
un ipotetico paese considerato nemico, soltanto sulla base del sospetto o della
possibilità che possa attaccare. Cioè annientare nell'illusione — perché di
questo si tratta — che non ci sia una risposta da parte dell'avversario. Così
si esce fuori dalla "mutua distruzione assicurata", cioè il principio
di deterrenza che ha retto lo scontro fra superpotenze sino ad oggi, cosa che
accelera l'effettivo utilizzo di queste armi.
— Che
conseguenze ci sarebbero sulla Sicilia?
— La Sicilia è già all'interno del processo
che ha portato alla crisi del INF. Di fatto non si è mai arrestata la corsa a
sistemi d'arma sempre più distruttivi e sempre più rapidi. Il principio del
First Strike ha mosso investimenti di miliardi di dollari in nuove tipologie di
armi, che dovrebbero annientare la capacità di risposta dell'avversario. C'è
stata, ad esempio una proliferazione delle cosiddette armi antimissile che,
dette così potrebbero sembrare armi difensive, ma che possono accelerare
l'attacco. Si tratta di sistemi che danno la possibilità di colpire un
obiettivo mentre è in atmosfera o addirittura prima del lancio, neutralizzando
le capacità di risposta. Ebbene anche la base di Sigonella in Sicilia, ha avuto
un ruolo determinante in questi progetti di riarmo, in questa concezione del
colpire con la speranza di non essere colpiti. Infatti ospita un sistema
antimissile, la Joint Tactical Ground Station, che ha proprio questa funzione.
— Cos'è esattamente il
sistema Jtags e a cosa serve?
— Installato nel 2017, formalmente è un
sistema di primo allarme nel caso di lancio da parte di "paesi
nemici" di sistemi missilistici a corto e medio raggio. Quello che non si
capiva è perché mai questo sistema fosse stato portato dalla Germania in
Sicilia. Oggi, con il senno del poi, possiamo comprendere che questo
trasferimento a sud è dovuto al fatto che gli Stati Uniti hanno bisogno di
coprire un'area molto più vasta, che è quella delle coste africane, del Medio
Oriente, e anche buona parte dell'est Europa. Può sembrare che non c'entri
niente, ma quotidianamente droni e aerei pattugliatori decollano dalla base di
Sigonella per raggiungere la Crimea, per raggiungere l'Ucraina, per raggiungere
il Donbass. La base di Sigonella in questo momento ha un ruolo determinante nel
braccio di ferro che gli Stati Uniti, con il sostegno dell'Unione Europea,
conducono su quest'area in funzione antirussa. In quest'ottica un sistema di
controllo e di monitoraggio di un eventuale attacco missilistico, favorisce il
ruolo di diamante di questa base siciliana. E ripeto: l'idea di ritenersi
sicuro, perché hai un sistema che dovrebbe intercettare anche prima del lancio
eventuali missili, convince chi deve scatenare un attacco, che si possono
sganciare le testate nucleari e ridurre il più possibile gli effetti sul
proprio territorio. Questo significa mettere un acceleratore sulla possibilità
che deflagri un grande conflitto nucleare. L'idea che le armi nucleari si
possano limitare è un passo avanti verso l'escalation globale.
— Quale
potrebbe essere il ruolo strategico della Sicilia?
— Noi non sappiamo in questo momento che
tipo di sistema missilistico verrà proposto dagli Stati Uniti. Possiamo pensare
che, come accadde a fine anni '70, non saranno soltanto missili terrestri, ma
anche missili da imbarcare in cacciabombardieri, in unità navali, nei
sottomarini a propulsione nucleare. In ognuno di questi tre casi la base di
Sigonella potrebbe avere un ruolo determinante.
Se si dovessero scegliere le batterie terrestri,
come è accaduto ai tempi di Comiso, alcune batterie potrebbero trovare
installazione in Sicilia. La Sicilia ormai prolifera di basi e installazioni
militari. Non c'è soltanto Sigonella, ma l'enorme area di Niscemi. Abbiamo
altri aeroporti che formalmente sono aeroporti militari italiani o
dell'alleanza atlantica. Come Trapani Birgi, Pantelleria e Lampedusa, che
vengono utilizzati costantemente dalle forze armate statunitensi per
esercitazioni o operazioni di guerra.
Se invece venisse preferito l'utilizzo di
missili imbarcati su unità navali o sottomarini il porto di Augusta avrebbe un
ruolo determinante. Augusta già funziona come base d'attracco dei sottomarini a
propulsione nucleare. Augusta in passato è stata una struttura utilizzata anche
per il rifornimento di sistemi d'arma per unità navali, per cui darei per
scontato il ruolo centrale di questa base, che è una base USA, oltre ad essere
base NATO.
Se invece si scegliesse di privilegiare i
sistemi aerei per trasportare sistemi missilistici nucleari, l'aeroporto di
Sigonella è il grande hub del Mediterraneo, dove vengono movimentate le unità
aeree di tutte le forze armate, non soltanto della marina militare
statunitense, ma anche dell'aeronautica, e ovviamente avrebbe un ruolo
determinante.
Infine c'è il MUOS. Il Muos è un acronimo che sta
per Mobile User Object System, cioè un sistema per gli utenti mobili. Cosa sono
gli utenti mobili? Sono i sottomarini, sono i cacciabombardieri, sono i droni.
Cioè sono tutte quelle unità di attacco che hanno bisogno di ricevere comandi,
per poter esercitare la loro funzione che è quella di first strike,
distruzione, etc. Ovviamente, nel momento in cui si rilancia il riarmo
nucleare, e si deve accelerare la velocità con cui si danno gli ordini di
attacco, questi non potranno non passare attraverso un sistema di comunicazioni
satellitari come quello del MUOS. Per cui anche Niscemi avrà un ruolo centrale
nelle nuove scelte di politiche offensive nucleari.
— Con il sistema Jtags
e il Muos di Niscemi la Sicilia diventa il centro di controllo di attacco, non
di difesa, perché è da qui che passano gli ordini?
— Assolutamente. Se noi mettiamo assieme
questi tasselli, il Muos, il sistema di intercettazione di eventuali missili a
medio raggio, i droni sempre più iperautomatizzati, i nuovi pattugliatori che
oggi vengono utilizzati in Siria, in Libia e nell'Europa dell'Est, se pensiamo
alla proiezione avanzata di Sigonella nel rilancio nelle logiche nucleari, se
pensiamo al porto di Augusta, porto centrale del mediterraneo, per l'approdo
delle unità oggi a propulsione nucleare, che con la rottura del trattato diventeranno
unità di trasporto di testate nucleari, ci rendiamo conto che la Sicilia, molto
più di come lo era ai tempi di Comiso quando c'erano gli euromissili, oggi ha
un ruolo centrale geostrategico, come credo ormai pochissime aree a livello
planetario hanno.
— Questa condizione
mette a rischio la sicurezza della Sicilia?
— Nel momento in cui hai sul tuo territorio
una presenza di attacco di distruzione di massa, non puoi non immaginare di
essere al centro degli obiettivi. La Sicilia è sempre stata a rischio.
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