Le relazioni pericolose del costruttore Carlo Borella

Lui è il geometra Carlo Borella, già presidente dell’Ance, l’associazione dei costruttori edili di Messina ed ex membro della giunta locale di Confindustria; per due decenni è stato il leader incontrastato del movimento terra e dei lavori di somma urgenza. Con la società di cui era titolare, la Demoter S.p.A., ha ottenuto i lavori di realizzazione dello stadio comunale sul torrente “San Filippo” e i lotti per il completamento sull’autostrada Messina-Palermo degli svincoli di Giostra e Annunziata, nonché importanti appalti pubblici in Sicilia, Calabria, Trentino e Toscana e in Africa (Costa d’Avorio, Kenya e Congo). La Demoter, in particolare, è stata la principale azienda subappaltatrice del consorzio Ferrofir costituito dalle grandi società di costruzioni Astaldi, Di Penta e Impregilo per la realizzazione della lunga galleria ferroviaria dei Peloritani, tra Villafranca e Messina.
Carlo Borella è uno degli imputati eccellenti del processo Beta, in svolgimento presso il tribunale di Messina; per lui l’accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa per aver posto a “disposizione occulta degli interessi economici della famiglia dei Romeo-Santapaola, le imprese Cubo S.p.A. e Brick S.r.l., ad egli riferibili, ed in cui erano confluiti rami di azienda della Demoter (dichiarata poi fallita), relativi all’esecuzione di opere pubbliche, anche in territorio diverso dalla Sicilia”. Sul ruolo assunto dal costruttore nella gestione delle grandi opere nella provincia di Messina e sulle sue relazioni pericolose con alcuni mafiosi della fascia tirrenica si sono soffermati nel corso dell’ultima udienza del processo Beta due importanti collaboratori di giustizia, l’ex reggente del clan di Mazzarra Sant’Andrea Carmelo Bisognano e Santo Gullo, già a capo della consorteria criminale operante nel contiguo territorio di Furnari-Falcone.
Io, i primi rapporti non direttamente col signor Carlo Borella, li ho avuti a metà anni ‘90 in occasione del passaggio della seconda linea del metanodotto, non mi ricordo se era quello dell’Algeria o della Libia, per dei lotti che lui aveva ottenuto insieme ad un’altra società di Roma, l’MC - Montaggio e Condotte o qualcosa del genere”, ha esordito Carmelo Bisognano. “Mi pare che era il 1993 o il 1994; comunque in quegli anni è passato lì il metanodotto e lui ha subito degli attentati sulla zona di Novara di Sicilia e poi nel fiume che scende verso Terme Vigliatore, sulla zona di Bafia. Nell’arco degli anni, diciamo dal 1994-95 in poi, l’impresa Borella aveva la manutenzione di questo tratto di metanodotto, dei ripristini dei tubi, in provincia di Messina. Perciò, ogni qualvolta lui doveva fare dei lavori, portava dei mezzi e gli venivano sottratti e incendiati, mini-escavatori, escavatori, ruspe. L’ultimo mezzo gli fu incendiato a Furnari esattamente nell’anno 2000, prima che lui iniziasse il lavoro della galleria a San Pier Niceto. Questi attentati venivano commessi dai miei affiliati, dalla buonanima di Antonino Rottino, Carmelo Trifirò e Maurizio Trifirò”.
“Borella – ha spiegato Bisognano - era sottoposto ed estorsione da parte del gruppo dei barcellonesi, esattamente da me, e poi c’è stato un intermediario, un geometra di Montalbano Elicona, un certo Rappazzo, che aveva all’epoca in dotazione una Land Rover Defender, un Defender 90 bianco. Mi sembra che l’importo dell’estorsione era di 140 milioni e corrispondeva alla percentuale dei lotti che loro avevano ma di cui il signor Borella ci mandò sono una parte, 40-70 milioni circa. La rimanente parte non la mandò più, così si verificarono diversi attentati perché questi soldi non arrivavano. Io ebbi però contezza che questi soldi furono presi dal Borella perché un dirigente di quella società che era in Ati con lui, un’associazione di imprese, giustamente ebbe a lamentarsi con dei fornitori, uno dei quali era la buonanima di Michela Rotella. Io ebbi un contatto con questo dirigente e lui mi disse che per quanto concerneva le spese generali che avevano, sia amministrative che per le estorsioni sul territorio, loro avevano versato all’impresa Demoter di Borella il tre per cento. Da lì la Demoter, non più per riacquistare quei soldi ma per una questione di principio, subì nell’arco del tempo diversi attentati che si sono protratti esattamente fino a quando il signor Borella, sempre con la Demoter, doveva fare il lavoro, che poi fece, per la galleria Scianina della ferrovia, a San Pier Niceto. Lì si ebbero dei problemi perché naturalmente veniva da un pregresso il signor Borella, ed io feci un intervento direttamente con la Fe.IRA, che era la ex Ira Costruzioni di Graci, il cavaliere del lavoro con Costanzo, quelli di Catania, vicini al gruppo Santapaola. E non gli feci fare il contratto, cioè lo bloccai”.
“Io appresi che parte di questi soldi erano stati trattenuti da Borella perché, dopo che era arrivata una parte, mi rimandavano sempre per l’altra perché mi dicevano che l’associazione di impresa che c’era, l’altra ditta, questa MC di Roma, non aveva versato i soldi al Borella per farceli avere”, ha aggiunto il collaboratore di giustizia. “Noi aspettavamo, è passato diverso tempo, nel frattempo è ricominciato il ripristino per sistemare lo stato dei luoghi, però gli attentati continuavano perché questi soldi non arrivavano. Non erano grossi attentati perché non potevamo mettere in difficoltà le ditte, però venivano fatti in modo che la mattina quando arrivavano gli operai non potessero iniziare a lavorare. Perciò i lavori venivano ritardati, non potevano fare gli stati di avanzamento e così non si facevano i Sal e non si prendevano i soldi. Uno di questi dirigenti giustamente cercò di capire perché tutte le mattine trovavano dei danneggiamenti nei loro cantieri. Finché arrivò alla mia persona ed io gli spiegai quale era il motivo. E lui mi assicurò che loro avevano versato direttamente la loro parte dei soldi per l’estorsione a Carlo Borella”.
Nel corso della sua deposizione Carmelo Bisognano ha spiegato che della vicenda estorsiva e del mancato pagamento del pizzo fu messo a conoscenza pure il padre del geometra Borella, anch’egli noto costruttore peloritano. “Ebbi dei contatti in un secondo momento con la buonanima del padre di Carlo Borella, cioè Benito Borella; era un signore con i capelli brizzolati, con i baffi”, ha ricordato. “Tramite Sem Di Salvo o Santo Lenzo e poi Antonino Nuccio Contiguglia di Ucria, verso la fine degli anni ’90 si fece un incontro con Benito Borella a Gliaca di Piraino, vicino Brolo, in un locale vicino al mare sotto la ferrovia. Al signor Borella spiegai la situazione. Io gli ho detto che in occasione dei lavori che loro avevano fatto per i lotti sul metanodotto, noi non avevamo più avuto contezza dei soldi di cui eravamo rimasti, perciò vi era un disavanzo di circa 60-70-80 milioni. Lui rimase un po’ sbalordito perché sapeva che quelle competenze erano state appianate sul territorio, cioè che erano state pagate. Io gli spiegai che non era mai arrivato niente, che avevo saputo tramite questo dirigente della MC che i loro soldi li avevano versati a suo figlio Carlo Borella, e che quest’ultimo non me li aveva mai fatti arrivare. Alla fine dell’incontro il signor Borella aveva detto che lui avrebbe sistemato tutto e che mi avrebbe fatto arrivare ciò che ci spettava. Ma di tutto questo non avvenne mai niente”.
Su esplicita domanda del Pubblico ministero Fabrizio Monaco, Carmelo Bisognano si è poi soffermato sulle modalità con cui il suo gruppo criminale riuscì a bloccare per un certo periodo un contratto tra la Demoter e il consorzio che curava i lavori di realizzazione del raddoppio ferroviario sulla tratta Messina-Patti, come ritorsione per lo sgarbo subito dai Borella. “Quando la Ira Costruzioni viene sequestrata, poi vengono bloccati i lavori, anche quelli di Costanzo. Ad un certo punto, mi pare con un decreto del Governo Prodi nel 1998-’99, queste aziende vengono cedute e il ramo degli appalti vengono scorporati a due signori, gli ingegneri Ferrari e Galeazzi, che sono di Roma o di Genova. Nasce la Fe.IRA e riprendono i lavori sul raddoppio ferroviario Messina–Palermo. Per ciò che concerne noi, su quella tratta c’eravamo sin dagli anni ’90; dopo il conflitto con Giuseppe Chiofalo avevamo il predominio sia sulle forniture che su tutta la gestione dei lavori. A quel punto, siamo nel primo semestre del 2001, a San Pier Niceto bisogna fare la galleria Scianina, quella che poi si franò, per conto delle ferrovie e per conto della Fe.IRA, che aveva l’aggiudicazione del lotto per la costruzione del raddoppio ferroviario in quella tratta, la Monforte San Giorgio, San Pier Niceto, Barcellona, Patti. Lui, il signor Borella, si aggiudicò questo lavoro insieme ad un’impresa di Napoli che era esperta in costruzione di gallerie e aveva pure la qualifica per fare questo. Quando ne ebbi contezza, bloccai il lavoro direttamente negli uffici di Catania. All’ufficio acquisti c’era Giacomo Aranzulla della Fe.IRA Costruzioni e il ragioniere Miceli, il fratello di Francesco Miceli che era capocantiere. E gli bloccammo il contratto e non lo feci andare avanti perché giustamente lui era inadempiente con noi. Riuscii in questa cosa perché la Fe.IRA o l’ex Graci era da sempre sottoposta a estorsione o direttamente gestita dalla famiglia Santapaola di Catania in quel frangente. Devo fare una piccola premessa. Da quando sono subentrato io ad avere contatti con la famiglia Santapaola, delegato dai barcellonesi, esattamente nel 1997-98, si sono succeduti diversi reggenti, da Alessandro Strano, Raimondo Maugeri, Mimmo La Spina, deceduti tutti e due, Umberto Di Fazio, Alfio Mirabile l’ultimo, che poi è deceduto pure lui, ha avuto un attentato il 22 aprile del 2004, fu sparato alla schiena e poi fu deceduto. E poi c’era un’impresa che era sempre sottoposta ad estorsione o faceva capo alla Fe.IRA, erano due fratelli di Catania, Pietro e Antonino Orlando. Tramite loro sono riuscito a bloccare questo contratto a Borella e a non farlo iniziare a lavorare”.
“Accadde naturalmente che il Borella si mise in movimento e incominciò a cercare gente per sistemare questa situazione perché voleva andare a lavorare”, ha proseguito Bisognano. “Era un grosso lavoro, una galleria, ma da parte mia ebbe sempre il diniego ad iniziare perché mi aveva fatto quell’azione. Non era più una questione di soldi, ma di principio. Borella le provò tutte. Andò pure a cercare a Giovanni Rao, che era uno dei nostri reggenti, cioè un personaggio all’apice del gruppo dei barcellonesi, e da quello che ricordo Gianni mi consegnò 25 o 35 mila euro…. Mi disse che Borella era andato lì, gli aveva fatto delle promesse, delle forniture di calcestruzzo, che doveva costruire un complesso edilizio. Comunque gli promise diverse commesse di lavoro e Giovanni Rao gli disse che non lo poteva aiutare, che doveva interloquire con chi aveva avuto i contatti fino adesso. Lì chiuse e se ne andò. Borella, non contento, continuò a cercare persone, personaggi, anche gente comune. Io avevo ed ho adesso molto rispetto di una persona che non ha niente a che fare con la criminalità, è un signore che lavorava all’Agenzia delle entrate di Barcellona, se non ricordo male di Rodì Milici, un certo Giuseppe Italiano. Mi venne a trovare il nipote che faceva il carpentiere per conto di Borella in diversi lavori che aveva il gruppo Demoter. E mi disse che c’era lo zio che voleva parlarmi, non spiegandomi niente. Io acconsentii a questa cosa. Venne questo signore, questo Giuseppe Italiano, e mi spiegò la situazione, che il nipote lavorava con Borella, che avevano problemi di lavoro, che il nipote sarebbe rimasto in mezzo alla strada con tutti gli operai che aveva, se gentilmente potevo fare questa… A quel punto proprio a lui non potevo dire di no e accettai che Borella firmasse questo contratto e iniziasse i lavori. Ci incontrammo poi con Borella direttamente a San Pier Niceto, all’imbocco della galleria. Lui era in compagnia di Enzo Corso, altro imprenditore che poi gli ho fatto fare il contratto sempre con la Fe.IRA e con la Costanzo per la gestione di un impianto di calcestruzzo a Patti, Agecop se non vado errato. Comunque lì si discusse un pochettino, Borella ammise le sue responsabilità, si giustificò in mille modi, che lui non aveva preso i soldi… A quel punto il passato era diventato passato, lui aveva subito tanti di quei danni che quei soldi erano stati pagati più che abbondantemente: materialmente non li avevamo mai presi, però lui aveva subito tanti di quei danni e di quei ritardi sui lavori che penso che ce ne avrà rimessi, non so, forse il triplo e il quadruplo. E chiudiamo per ciò che concerne la sistemazione dell’estorsione della galleria. Non mi ricordo se mi consegnò 25 o 35 mila euro e poi finì lì perché a settembre 2001 vi fu il cedimento, il crollo della galleria con tutto il prospetto della montagna e i lavori si interruppero…. Poi a Enzo Corso io gli feci fare il contratto visto che lui già era stato accreditato presso le ferrovie avendo fatto lavori in passato, perché ci vogliono delle certificazioni per potere fare la produzione e la fornitura di calcestruzzo; gli feci prendere l’impianto della galleria di Patti… Perché su quella zona, su Patti, c’era l’ex Costanzo, sempre… Si divideva in lotti, i lotti di Costanzo e i lotti di Graci, che poi alla fine sia Galeazzi che Ferrari li presero tutti e due. Però io dico Costanzo a Patti e Graci sulla zona di San Pier Niceto e Terme Vigliatore…”.
Sempre secondo l’ex reggente del clan di Mazzarrà Sant’Andrea, il costruttore peloritano sarebbe intervenuto in prima persona sui vertici del consorzio che gestiva i lavori per il raddoppio ferroviario per impedire l’affidamento della fornitura  di materiali a una ditta esterna agli interessi del proprio gruppo criminale. “Nel contempo che stiamo facendo questi lavori, intorno al 2002, succede che ci sono le forniture per ciò che concerne il rilevato ferroviario, diciamo la ghiaia, il materiale per rialzare i binari dal suolo, e per la fornitura degli impianti di calcestruzzo che direttamente gestisce la Ira Costruzioni”, ha raccontato Bisognano. “Il fornitore è la Cogeca di Terme Vigliatore, di Buemi, dei fratelli Torre, cioè già dei fratelli Torre, perché all’epoca fecero una società e nacque questa Cogeca. Negli anni passati, il Borella assieme ad altro imprenditore, tramite la Ferrofir, quella che gestisce direttamente i lavori delle ferrovie, avevano perforato la galleria che da Messina viene verso Villafranca. Un certo signor Sindoni o Sidoti aveva ammucchiato nella zona di Villafranca tutto il materiale di questa galleria che avevano costruito ed era andato all’Ira Costruzioni ad offrirlo a prezzi stracciati, interrompendo o cercando di interrompere la fornitura che la Cogeca stava facendo per il rilevato e per quanto concerneva la produzione di calcestruzzo. Andai negli uffici della Cogeca e uno dei fratelli Torre chiamò Carlo Borella che era ad una riunione con altri imprenditori sulla zona di Fiumefreddo. Così io con Tindaro Calabrese e la buonanima di Antonino Rottino ci recammo all’uscita dei caselli dell’autostrada di Fiumefreddo dove venne Carlo Borella; gli esposi la situazione, quello che stava succedendo, e lui mi disse di non crearmi nessun problema, che sarebbe intervenuto direttamente su questo signore, cosa che successe. Gli uffici della Fe.IRA di Catania non ebbero più notizie di questo Sindoni o Sidoti e le forniture della Cogeca continuarono tranquillamente senza nessuna interruzione”.
“In seguito non ho più avuto rapporti con Borella perché il 29 novembre 2003 vengo arrestato per l’operazione Icaro e da quel momento in poi non metto più piede in Sicilia; anzi, esco il 22 settembre 2008, ma dopo quattro mesi e mezzo, il 17 febbraio 2009 vengo arrestato e oggi sono qui”, ha concluso Carmelo Bisognano. “Ricordo però che di queste problematiche che avevo avuto con Borella ne parlai con altri soggetti riferibili alla criminalità organizzata, sicuramente con Giovanni Rao, Sem Di Salvo e Filippo Barresi. Erano i personaggi che gestivano la situazione. Ne parlai pure con Pippo Castro, addirittura gli diedi uno degli escavatori di Borella che gli avevamo sottratto. Castro era un referente dei Santapaola sulla zona di Messina; aveva contratti con noi, era socio della Cep, della società di calcestruzzi che era amministrata dal cognato Gaetano Cristaudo”.
Anche il collaboratore Santo Gullo ha riferito ai giudici alcuni particolari inediti sulla figura dell’ex presidente dei costruttori edili di Messina. “Carlo Borrella è uno che lavorava nella nostra zona; non so molto di lui ma ricordo che era in contatto con Salvatore Puglisi, che era poi il prestanome di Carmelo D’Amico, per lavori della nuova linea ferroviaria da Messina fino a Brolo”, ha dichiarato. “L’impianto di calcestruzzo era cioè di Carmelo D’Amico e Puglisi era solo un prestanome. Così formalmente il calcestruzzo a Borella lo forniva Puglisi,  però l’impianto che lo tirava avanti era di D’Amico. Per le forniture di calcestruzzo poi ci furono dei problemi di pagamento. Gli doveva dare dei soldi a Puglisi perché lui in quel periodo era in carcere con me, me l’ha raccontato. Io sono stato detenuto con Salvatore Puglisi tra il 2009 e il 2011, dopo che il Puglisi è stato arrestato nell’operazione Ponente; poi è uscito ed è rientrato, quindi due volte nell’arco di questi due anni e un paio di mesi che ho fatto io. A proposito di questi rapporti con Borella, Salvatore Puglisi mi parlava che non lo voleva pagare. Il Puglisi si lamentava che dopo il suo arresto  e quello di Carmelo D’Amico, con il quale lo stesso Puglisi era in società, il Borella ritardava il pagamento. Sempre durante la comune detenzione, il Puglisi mi disse che dopo vari contatti che la figlia e il genero ebbero con il Borella, lo stesso consegnò loro una somma tra i cinquemila e gli ottomila euro. Questa somma non corrispondeva comunque al valore delle forniture perché queste erano molto più alte, erano di molti più soldi. Parlava di centinaia di migliaia di euro... Non so se poi il Borella abbia onorato i sui debiti con Puglisi. Posso però dire che gli vennero mandate numerose ambasciate affinché pagasse quanto dovuto da varie persone, tra cui certamente Francesco D’Amico, fratello di Carmelo D’Amico. Quando parlavamo in carcere, mi diceva che si rivolgeva a Francesco D’Amico per risolvere i problemi…”.
“Una volta che è mancato Carmelo D’Amico, Puglisi ha cominciato a perdere terreno perché c’era pure la pressione della Cep che era l’altra società dei barcellonesi, di Giovanni Rao e company, e quindi cercavano di fare le forniture loro e mettere contro Puglisi gli altri che prendevano il materiale da loro”, ha aggiunto l’ex reggente del gruppo mafioso di Furnari-Falcone. “In sostanza, quella che prima lavorava di più era la Cep; quando Carmelo D’Amico cominciò col calcestruzzo, fece forzature e cominciò a lavorare lui e la Cep rimase indietro. Dopo il suo arresto con Carmelo D’Amico, quando uscì Puglisi non lavorò più come prima. Dopo la mia scarcerazione, il 25 marzo 2011, ebbi modo di incontrare il genero di Salvatore Puglisi, tale Santino, non mi ricordo il cognome, però viveva con loro a Terme Vigliatore. Era sposato con una delle due figlie di Puglisi, l’altra era fidanzata con Giuseppe Maisano. Questo signore è venuto a trovarmi nella mia officina e nel corso dei colloqui si fece riferimento a Borella. Ricordo in particolare che mi disse che non l’avevano pagato, che non stava pagando più nessuno, che l’azienda era in crisi, che non riuscivano più a lavorare, che non gli davano più nemmeno gli inerti. Riferendosi poi agli arresti domiciliari che erano stati fatti con riferimento ad una estorsione subita dal Borella, era sorpreso che anche questi non fosse stato a sua volta arrestato, per come gli disse l’avvocato Lo Presti che difendeva il suocero. In quella occasione il genero di Salvatore Puglisi mi disse: Io non capisco come mai a Borella non l’hanno arrestato e hanno arrestato solo lui. Lui mi diceva che Borella era coinvolto più di Puglisi in queste vicende…”.

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