Le ludomanie della famiglia Romeo-Santapaola & C.
“Emerge dalle indagini relative al settore dei giochi
illegali e delle scommesse online la caratura mafiosa di Vincenzo Romeo e il
suo rilievo sostanzialmente nazionale; oltre ad essersi avvalso di svariate
imprese e concessioni intestate a prestanome, Romeo si è dimostrato il
terminale di una schiera di operatori di
settore alle sue dipendenze, per organizzare e far funzionare tale lucrosa
attività; lo stesso ha costituito un punto di riferimento per la sua famiglia e
per tutti i soggetti coinvolti nell’organizzazione e il funzionamento di tale
settore economico. La sua posizione apicale nell’ambito del sodalizio
investigato si è pertanto manifestata in tutta evidenza”. E’ quanto riporta
l’Ufficio dei Giudici per le indagini preliminari del Tribunale di Messina
nell’Ordinanza di richiesta di applicazione di misure cautelari nei confronti
dei presunti boss, affiliati e colletti bianchi/consigliori della cellula
mafiosa peloritana dei Romeo-Santapaola, emessa il 26 giugno 2017 nell’ambito
della cosiddetta Operazione Beta. Una
family-holding quella con a capo Vincenzo Enzo
Romeo, consanguinea e partner della potentissima cosca dei Santapaola-Ercolano
da Catania, che in pochi anni si è affermata come una delle protagoniste in
Italia del business delle sale bingo, delle ricevitorie-scommesse
onnicomprensive e dei centri videopoker-slot machine. Lucrosissime attività
economiche che - come annotano ancora gli inquirenti della Direzione
investigativa antimafia di Messina - “sono state realizzate ufficialmente
tramite alcune società riconducibili formalmente ad affini o componenti del
nucleo familiare investigato privi di precedenti giudiziari, nonché tramite
terzi che hanno mascherato il reale coinvolgimento del sodalizio e l’entità dei
proventi realizzati”. Variegate le modalità di gestione utilizzate dalla
famiglia Romeo-Santapaola nei ludo-affari: alcune sale e internet-point legali,
altre del tutto taroccate, illecite e del tutto estranee al circuito di
verifica dell’Agenzia autonoma dei monopoli di Stato (Aams).
Una Romeo’s Bank per
mister scommesse
Le indagini Beta e Beta due hanno consentito di dare un
volto e un nome agli interlocutori di fiducia di Vincenzo Romeo & C.,
prestanome o operatori consenzienti del gran circo del video-gioco d’azzardo.
E’ così che alcuni di essi hanno fatto compagnia ai Romeo boys nei processi scaturiti dalla doppia operazione
antimafia, uno dei quali conclusosi un paio di mesi fa con pesantissime
condanne e un altro ormai al giro di boa finale. Un imprenditore dalle provate
cointeressenze con gli esponenti del gruppo criminale messinese nella gestione
delle slot machine ed altri infernali marchingegni d’intrattenimento è certamente
Giovanni Marano, socio ed amministratore della Bet S.r.l. di Catania, descritto
dagli inquirenti come un soggetto con
precedenti per truffa ed associazione di tipo mafioso. “Con le nostre
indagini abbiamo documentato diversi contatti tra Giovanni Marano e Vincenzo
Romeo in riferimento al settore giochi e scommesse: il pregiudicato messinese distribuiva
le macchinette per conto della società Bet nella titolarità del Marano”, ha riferito
in una delle ultime udienze del processo
Beta il maresciallo maggiore dell’Arma dei carabinieri Vincenzo Musolino,
in forza al Raggruppamento Operativo Speciale - R.O.S. di Messina. “Questo
rapporto tra il Romeo e Marano è stato anche oggetto di una conversazione del
19 dicembre 2014, nella quale Vincenzo Romeo fa riferimento al fatto di essere stato una banca per Marano, cioè
di aver fornito denaro anche all’imprenditore catanese. La relazione tra il Marano
e Romeo è stata confermata anche dal collaboratore Biagio Grasso (costruttore
originario di Milazzo, per anni contiguo al gruppo criminale Romeo-Santapaola, NdA). In particolare Grasso ci riferisce
di un contenzioso avuto da Vincenzo Romeo con i parenti della di lui moglie per
un’eredità. Il 21 marzo 2013 moriva Francesco Di Pietro che era il suocero di
Vincenzo Romeo in quanto padre di Caterina Di Pietro, sua moglie. Il predetto
aveva una società che distribuiva giochi che si trova sulla via della Libertà,
di fronte la Fiera di Messina. L’attività di intercettazione aveva fatto
emergere una diatriba tra gli eredi del defunto; in particolare il 22 aprile
2014, nel corso di un colloquio, Vincenzo Romeo e l’avvocato Andrea Lo Castro facevano
riferimento a questa diatriba familiare e, quindi, alla possibilità di far
firmare un atto a Giovanni Marano. Il Romeo riferiva poi che avrebbe portato
Marano dall’avvocato Lo Castro in maniera tale da istruirlo sul da farsi. Andrea Lo Castro faceva riferimento alla
preparazione di un contratto per giustificare qualcosa”. Sarà lo stesso Biagio Grasso
a spiegare agli inquirenti il significato di quella telefonata. Nel corso
dell’interrogatorio dell’11 gennaio 2018, il costruttore mamertino riferiva che
il noto legale-consigliore della famiglia Romeo aveva ideato la costituzione di
un’ipoteca sugli immobili oggetto di controversia tra le parti, iscritta sulla
base di un debito inesistente riguardante i rapporti tra Giovanni Marano ed una
delle società che operavano nel settore giochi e scommesse appartenuta al
suocero defunto di Romeo, Francesco Di Pietro. “Il 24 aprile 2014 registriamo
una nuova conversazione tra Vincenzo Romeo e Andrea Lo Castro dove si fa
riferimento ad un contratto da stipulare e che avrebbe fatto passare Marano”, ha aggiunto il maresciallo Musolino.
“La sera stessa registriamo una conversazione all’interno dello studio Lo
Castro tra il legale, Vincenzo Romeo e un uomo che noi non riusciamo ad
identificare. Nel corso di questa conversazione si fa riferimento all’azione da
effettuare su alcuni immobili che sono dentro
un’eredità e alla necessità di effettuare un inventario di essi, coinvolgendo un notaio. Si parla in
particolare di scegliere come notaio
Bruni o Maiorana. Lo Castro riferiva che era meglio contattare l’avvocato
Bruni e non Maiorana in quanto quest’ultimo si comportava come un notaio ragioniere, cioè troppo
puntiglioso. C’era dunque la necessità di avere
un’elasticità in questa situazione e veniva chiarito altresì che gli
immobili si trovavano a Paradiso; uno era di 50 mq e valeva intorno ai cinquantamila
euro, l’altro era di 200 mq e ne valeva trecentoquaranta/centocinquantamila. Nel
corso di questa conversazione Romeo fa riferimento alla necessità di portare Marano e Lo Castro si
dichiara d’accordo così avrebbero
sistemato questa cosa…. Uno dei fratelli di Francesco Di Pietro era Pietro Di
Pietro, co-intestario dei due immobili e aveva un’officina di riparazioni di
apparecchiature per le comunicazioni, quindi lavorava più o meno nello stesso
ambito dei Romeo, perché anche Francesco Romeo, il padre di Vincenzo Romeo, si
occupava di riparazione di impianti di giochi (…) Dall’ispezione ipotecaria dei
beni posseduti da Francesco Di Pietro riscontriamo al registro generale un atto
notarile del 7 ottobre 2016 presso lo studio del notaio Giuseppe Bruni relativo
ad annotazione e trascrizione con rilascio beni ai creditori”. Un riscontro
oggettivo, dunque, alle dichiarazioni di Biagio Grasso e soprattutto la
conferma della totale disposizione di Giovanni Marano nei confronti di Vincenzo
Enzo Romeo.
Quegli assegni sospetti
sulla piazza di Milano
E’ ancora il maresciallo dei R.O.S. Vincenzo Musolino a
fornire ulteriori elementi sulla relationship tra i due imputati eccellenti del
processo Beta. “Nell’ambito
dell’attività di indagine Refugium peccatorum della Procura di Milano
dove sono stati condannati diversi soggetti tra i quali Biagio Grasso (in
abbreviato ha avuto sei anni e nove mesi) e Susanna Allievi che era una sorta
di prestanome del costruttore, è stato effettuato uno screening di tutti gli
assegni che fuoriescono dalla ITC S.r.l., una società di Grasso anche se egli
non era effettivamente presente in essa perché erano altri gli amministratori. Da
questa società, in particolare, vengono emessi una serie di assegni nei confronti
della Bet S.r.l. di Giovanni Marano dell’importo di poco inferiore a cinquemila
euro, ovvero quattromila novecentottanta euro, questo per evitare i possibili
controlli (Nello specifico è stata accertata l’emissione da parte della ITC di
otto assegni a favore della società del Marano nel periodo compreso tra il 29
giugno e il 13 luglio 2011, NdA). La
ITC è un’azienda che si occupava di acquisto di capi di abbigliamento e altro,
quindi nulla aveva a che fare con la Bet, che invece era una società di
scommesse”.
Tra gli operatori
con cui era in contatto sia Vincenzo Romeo che Giovanni Marano c’era pure Francesco
Leonardi, gestore del ritrovo Rowenta di Torre Faro, all’interno del quale Romeo
aveva le slot machine che facevano capo alla Bet S.r.l. di Marano. “Per quanto riguarda il Rowenta di Francesco
Leonardi, il 14 febbraio 2014, abbiamo intercettato un colloquio tra Vincenzo
Romeo e Giovanni Marano in cui i due valutavano la possibilità di sfruttare la
licenza che era in possesso di quest’esercizio per installarvi le proprie
apparecchiature da intrattenimento”, ha riferito al processo Beta un altro inquirente, il funzionario di Ps Benedetto
Russo, in servizio all’Unità operativa speciale, sezione anticrimine di Messina.
“In quella circostanza Vincenzo Romeo diceva a Marano di essere andato a
parlare da Leonardi e di aver avuto dei problemi per l’iscrizione nei registri
che consentivano l’effettiva possibilità di svolgere questa attività. Enzo Romeo
riferiva inoltre di aver appurato che Leonardi aveva la licenza e che voleva cinque macchine e Marano si
rendeva disponibile a fornirle”. Sempre secondo quanto emerso nel corso delle
indagini, Francesco Leonardi aveva contratto un debito con il Romeo e presumibilmente
con lo stesso Marano e aveva la necessità di corrispondere prima possibile ai
due creditori la somma che doveva pagare. “Per fare questo il gestore di
Rowenta aveva chiesto in più circostanze sia a Vincenzo Romeo che a M. L.
, la possibilità di
sistemare all’interno del proprio locale delle macchinette”, ha aggiunto
Benedetto Russo. “In sostanza lui lamentava che le percentuali di incasso che
c’erano con le macchinette dello Stato e dunque con quelle regolarmente
collegate alla rete Aams erano talmente esigue che non sarebbe riuscito a
pagare la somma che doveva a Romeo in tempi brevi e quindi, per accelerare
questo processo, chiedeva l’installazione di macchinette non dello Stato, così come le chiamava per distinguerle
da quelle che lo erano. Purtroppo non è stato possibile documentare se queste
macchinette alla fine sono state collocate da M.L., perché
quest’ultimo, in realtà, aspettava dei pezzi per poter completare
l’assemblaggio”.
“Abbiamo pure documentato che nell’esercizio di Francesco Leonardi
veniva effettuata la raccolta scommesse e che egli stesso si lamentava dei
comportamenti di Marco Daidone che lui chiamava Tignusu proprio perché era calvo, in quanto effettuava i resoconti
delle attività che venivano svolte quando non era presente lui e chiedeva in
due circostanze diverse, una volta a M.N.L., una volta a Giovanni Bevilacqua, altro uomo di
fiducia di Vincenzo Romeo nella gestione del settore giochi e scommesse, se
queste attività fossero riconducibili direttamente a Vincenzo Romeo oppure no. In
entrambi i casi sia il Laganà che Bevilacqua rispondevano in modo un po’
evasivo, però, viste le insistenze di Leonardi, erano costretti a dargli delle
spiegazioni e ammettevano alla fine che sì, che erano attività imprenditoriali
di interesse del Romeo ma materialmente
gestiti da altri ragazzi a lui collegati. Abbiamo avuto modo di documentare
questa cosa perché le scommesse attraverso i siti www.bet610 e betgame24 erano
gestiti da Marco Daidone che si serviva per la specifica attività anche di
Giuseppe Verde e F.L., fratello di N. Praticamente le attività
consistevano nel portare dei computer presso l’esercizio commerciale per
consentire ad esso di raccogliere le scommesse degli avventori”.
Il socio-nipote del re (deposto) dei supermercati
Le indagini Beta e Beta due hanno evidenziato lo spessore e
la solidità degli interessi cogestiti dal gruppo criminale con a capo Vincenzo
Romeo e dall’affermato imprenditore del settore scommesse Michele Spina, originario
di Acireale. Titolare della Primal S.r.l. con sede legale in Sant’Agata li
Battiati, Spina poteva vantare una parentela di tutto rispetto: egli è infatti
nipote di Sebastiano Scuto, noto alle cronache come il re dei supermercati siciliani, nonché “soggetto con
precedenti per associazione a delinquere di stampo mafioso, impegnato per il
reimpiego ed il riciclaggio dei capitali illeciti del clan Laudani, federato ai Santapaola”, come riportano gli
inquirenti nell’informativa Beta. Anche stavolta lo stretto grado di
affinità si sposa con la condivisione di imprese e attività economiche.
Sebastiano Scuto è stato infatti socio della Primal sino al 12 giugno 2001 quando
aveva ceduto le proprie quote per un valore di 9.450.000 delle vecchie lire a
Donata Genoveffa Ferrara, moglie di Michele Spina. Il 16 febbraio 2004 Michele Spina
costituiva invece la R. & S. S.r.l., avente ad oggetto sociale, tra
l’altro, la gestione ed organizzazione di sale adibite al gioco del Bingo. Il
99% del capitale sociale per 25.000 euro veniva attribuito allo stesso Spina,
mentre la parte rimanente era intestata al palermitano Paolo Maria Rigano. Il
16 aprile dello stesso anno, la R. & S. acquisiva la proprietà di un ramo
d’azienda dalla Primal S.r.l. per il valore di 130.000 euro, consistente
nell’attività di gestione Bingo e all’utilizzo di macchine elettroniche
esercitato presso la sala denominata Jack
Pot di Piazza della Repubblica a Messina, proprio di fronte la stazione
centrale. “Nel gennaio del 2007 la Squadra Mobile della Questura di Messina,
nell’ambito di un procedimento penale scaturito da un tentato omicidio accaduto
nello stesso centro urbano, acquisiva riferimenti riguardanti l’esistenza nel
capoluogo peloritano di interessi nel settore della gestione illecita di
scommesse di eventi sportivi grazie ad alcune intercettazioni espletate nei
confronti degli indagati”, riportano gli inquirenti nell’informativa di reato Beta. “In particolare la P.S. aveva
indagato sul conto di Paolo Maria Rigano, all’epoca concessionario del locale
punto SNAI con sede in Viale Giostra n. 28, di fatto operante anche nella
raccolta delle scommesse con la società All Bets S.r.l. accreditata presso l’Aams
e con la società Paribet tramite la quale lo stesso aggirava la normativa
vigente. La stessa PS aveva quindi evidenziato la pregressa cointeressenza
societaria esistente tra Michele Spina e il Rigano formalizzata attraverso la società
R & S S.r.l. con sede legale nel medesimo indirizzo della Primal; i due,
inoltre, risultavano aver gestito ed amministrato la sala bingo Jack Pot di Messina”. Le indagini hanno
documentato che in seguito Paolo Maria Rigano aveva ceduto l’attività del Bingo
di Piazza Stazione allo Spina per dedicarsi alla gestione delle scommesse
sportive telematiche autorizzate tramite la All Bets in Viale Giostra. “Al
contempo Rigano creava un sito, tramite provider dislocato a Malta, denominato Paribet.com ove convogliava la maggior
parte delle scommesse sportive telematiche raggirando i controlli dei monopoli”,
riportano gli inquirenti peloritani.
Il Super-Bingo di
piazza Stazione e le pizzo
slot-machine
Agli atti del procedimento Beta c’è pure il contenuto di un colloquio intercorso tra Vincenzo
Romeo e M.N.L. in
occasione della programmazione di uno dei viaggi da loro effettuati a Malta, in
cui il Laganà faceva espresso riferimento al Rigano titolare di un ristorante e compare del Romeo stesso. Ancora più rilevante, perlomeno per
comprendere genesi e collusioni del Jack
Pot di Messina, quanto riferito dal costruttore Biagio Grasso il 5 maggio
2018, dopo l’avvio della sua collaborazione con i magistrati. “Michele Spina
aprì il Bingo a Messina, grazie ai sui rapporti con Vincenzo Romeo”, ha
spiegato Grasso. “Il locale era di un tale Piccolo, titolare degli ex
magazzini Piccolo. Il Romeo aveva un rapporto privilegiato con il Piccolo;
infatti sia Romeo che Marano mi proposero di investire per riaprire un Bingo in
città, visto che il Marano poteva aveva la disponibilità di una licenza. Siamo
andati, quindi, a vedere l’ex Bingo, dove si presentò uno dei fratelli Piccolo,
che mi venne presentato dal Romeo, ma l’affare non si concluse. Seppi quindi,
che, proprio per tale rapporto privilegiato tra Piccolo e Romeo, allo Spina era
stato all’epoca concesso il locale del Bingo ad un canone di locazione
conveniente. Il Romeo aveva imposto che all’interno del Bingo gestito da Spina,
i fratelli Lipari aprissero un bar (Antonio e Salvatore Lipari, entrambi
condannati in primo grado al processo
Beta due a dieci anni e otto mesi di reclusione per associazione mafiosa, NdA) e che gli addetti alla sicurezza
fossero collegati al Romeo. In più, al suo interno erano istallate delle
macchinette slot machine, in parte legali e in parte abusive, per come mi
riferì lo stesso Spina, la cui conduzione era riferibile a Vincenzo Romeo ed
alla famiglia Marano. In virtù di questo rapporto con Romeo, Spina mi disse
che, per la gestione della sala Bingo, non pagava l’estorsione alla criminalità
organizzata messinese. Il Bingo successivamente chiuse per vari problemi giudiziari
che ebbe Spina...”. Interrogato dalla Direzione investigativa antimafia il 5
giugno 2018, Biagio Grasso aggiungeva che gli affari del gruppo
Romeo-Santapaola nel settore dei giochi “venivano sfruttati per mascherare
alcune estorsioni, nel senso che veniva imposta la collocazione delle
macchinette presso i locali come una forma di pagamento del pizzo”.
Un mese prima, il collaboratore
Biagio Grasso aveva spiegato agli inquirenti come Spina, Romeo e Marano fossero
ascesi all’Olimpo del gioco-scommesse, anche grazie ai soldi provenienti da
alcuni dei più potenti clan della criminalità organizzata di mezza Italia. “Michele
Spina è un soggetto vicino a Vincenzo Romeo e alla famiglia Santapaola ed ha
gestito la vicenda del bando di Lottomatica attraverso la società Primal”,
esordiva il costruttore milazzese. “Il rapporto tra Spina e Romeo nasce
attraverso Giovanni Marano, come confidatomi da Spina, all’epoca del primo
bando per il rilascio delle concessioni da parte di Lottomatica. Spina, per
partecipare al predetto bando, aveva necessità di ingenti somme di denaro che Romeo,
attraverso i suoi canali riconducibili a soggetti appartenenti alla criminalità
organizzata pugliese e calabrese (Sacra Corona Unita e ‘Ndrangheta), riuscì a raccogliere,
per un ammontare di circa 3 o 3,5 milioni di euro, in parte in contanti…”.
“Vi era un altro soggetto della zona di Agrigento che
aveva aiutato il Romeo a trovare il denaro per aiutare Spina”, aggiungeva
Grasso. “Alcuni punti scommesse dovevano andare anche alla famiglia di Matteo
Messina Denaro; la parte di Messina al Romeo, mentre quella di Catania a
Marano-Spina tramite il Romeo. Il gruppo di società riconducibili allo Spina o ai
prestanome di questi, si aggiudicò il bando, ma, successivamente, le
fideiussioni non vennero accettate ed a quel punto lo Spina è costretto a
restituire le somme raccolte dal Romeo. Il Romeo, a questo punto, viene
presentato come il nuovo proprietario della Primal, garantendo a coloro che
avevano investito il denaro la restituzione delle somme, a fronte delle
difficoltà economiche che aveva avuto lo Spina. Rimane, tuttavia, un debito di
circa 300-350 mila euro, che Spina deve restituire a Romeo. In tale fase, circa
nel 2015, iniziano i rapporti economici tra me e Spina, sollecitati da Romeo,
proprio al fine di facilitare il recupero delle somme che questi vantava dallo
stesso Spina. In un primo momento cerco di intervenire insieme all’avvocato Andrea
Lo Castro per effettuare una sorta di salvataggio economico della Primal, che,
tuttavia, fallisce da lì a poco; successivamente, io e Spina avviamo una serie
di operazioni finanziarie all’estero, precisamente in Africa, nel settore dei
metalli preziosi…”.
Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 3 ottobre 2019, http://www.stampalibera.it/2019/10/03/messina-linchiesta-inedita-le-ludomanie-della-famiglia-romeo-santapaola-c/?fbclid=IwAR276fcFKfzUBVUnK4oFrxsEUT9N0fo_nK7Xjk5FNzKGsYnDAvz8sJwypcU
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