Veleni nelle urine dei bambini di Milazzo e della Valle del Mela
Cadmio,
cromo, nickel. E anche un po’ di mercurio. Sono i metalli pesanti che
avvelenano le nuove generazioni di Milazzo e della Valle del Mela, area della provincia
di Messina classificata “ad elevato rischio di crisi ambientale” per la
presenza di un megapolo industriale con tanto di raffineria (dove la notte del
26 settembre si è sviluppato un devastante incendio in un deposito di
carburante), centrale termoelettrica, cogeneratore, acciaieria e altri impianti
tossici ed inquinanti. Due anni fa, uno screening eseguito sugli studenti delle scuole medie
locali dal Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università degli
Studi di Messina diretto dal Prof.
Francesco Squadrito, ha evidenziato la presenza nelle urine di alcuni metalli pesanti altamente tossici per la
salute umana, classificati come distruttori endocrini
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il monitoraggio biologico ha
riguardato 200 alunni di età compresa tra i 12 ed i 14 anni, nati e
vissuti nei comuni di Condrò, Gualtieri Sicaminò, Milazzo, Pace del Mela, San
Filippo del Mela, Santa Lucia del Mela e San Pier Niceto. Per meglio
comprendere il grado di esposizione agli inquinanti ambientali, il personale
dell’Università ha eseguito il biomonitoraggio di un gruppo di studenti della
stessa età residenti nel comune di Montalbano Elicona. “I programmi di
biomonitoraggio risultano utili al fine di raccogliere indicazioni puntuali
sull’effettivo grado di esposizione a sostanze di interesse tossicologico di
gruppi di popolazione opportunamente scelti o di singoli individui”, spiega
l’equipe del prof. Squadrito. “Anziché limitarsi a valutare la parte di
inquinante misurata nell’ambiente che potrebbe penetrare nell’organismo umano,
si dosa direttamente l’inquinante o i suoi metaboliti nell’organismo stesso.
Abbiamo effettuato tutta una serie di attività con i giovani studenti della
Valle del Mela: visita medica; raccolta delle urine (la matrice più usata per
valutare il grado di esposizione ambientale o professionale a sostanze
inquinanti); prelievi ematici per il dosaggio dei metalli pesanti e degli
ormoni tiroidei e sessuali; ecografia pelvica nei maschi e alle ovaie nelle
femmine; ecografia tiroidea”. Arsenico,
cadmio, cromo, mercurio, nickel e vanadio i pericolosi metalli ricercati
nelle urine; il piombo nel sangue.
“Per
quanto riguarda il cromo, purtroppo, dai risultati appaiono chiari i
superamenti del valore di riferimento in quasi tutti i comuni”, denunciano i
ricercatori del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università
di Messina. “Le aree maggiormente esposte risultano essere, in ordine di grado,
quelle di San Filippo del Mela, Santa Lucia del Mela e Milazzo sebbene, per
tutti i comuni monitorati, risultavano esserci in quantità variabile dei
bambini che presentavano superamenti del valore limite, indicato per il cromo
totale”. Mentre la quantità di cromo riscontrata nella popolazione di controllo
di Montalbano Elicona si è attestata leggermente sotto il limite di legge fissato
in 1,5 μg/l, il valore medio nei minori della Valle del Mela è stato di 2,1 μg/l,
con punte massime di 5,1 tra gli alunni di San Filippo, 3,4 a Santa Lucia e 2,3
a Milazzo.
“Per
il nickel, la media dei valori rilevata nei comuni monitorati non supera le concentrazioni
indicate dal valore di riferimento di 3 μg/l ad eccezione di San Filippo del
Mela (6 μg/l)”, aggiunge l’equipe. Sono stati comunque rilevati dei superamenti
del valore soglia del nickel anche in alcuni preadolescenti residenti nei comuni
di Milazzo e Santa Lucia. “Anche i risultati relativi al monitoraggio biologico
del cadmio mostrano purtroppo superamenti per il valore limite di 0,5 μg/l,
indifferentemente in tutti comuni della Valle del Mela. Come per i metalli
precedenti discussi, anche in questo caso il numero di superamenti maggiori
hanno riguardato San Filippo del Mela (1,3 μg/l), Santa Lucia del Mela (1,2 μg/l)
e Milazzo (0,7 μg/l)”. Migliore il quadro sanitario sul mercurio. “Data
l’assenza di attività produttive, come quelle dell’industria delle vernici e
della plastica (vere responsabili delle emissioni di questo inquinante), nei
comuni screenati non riscontriamo alte quantità di dose interna di questo
metallo e nessun bambino monitorato ha presentato dei valori superiore al
limite di riferimento”, scrivono i ricercatori dell’Ateneo peloritano. Quantità di mercurio poco al di sotto del
limite di legge di 1 μg/l sono
state tuttavia riscontrate, nell’ordine, nelle urine degli alunni di San
Filippo, Milazzo, Pace del Mela, Santa Lucia, Gualtieri Sicaminò e San Pier
Niceto. Va inoltre segnalato come uno studio sui metalli pesanti contenuti
nei suoli dell’area di Milazzo, effettuato nel 1997 dal CCR (Centro Comune di Ricerca)
dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA),
aveva inutilmente evidenziato il superamento in alcuni campioni e per alcuni
dei metalli analizzati (cromo, cobalto, rame e zinco) dei limiti di
concentrazione previsti dall’Allegato 1 del D.M. 471/99 per siti destinati ad
un uso residenziale.
“I distruttori endocrini causano effetti negativi sulla salute di un organismo
intatto o la sua progenie e sono molto pericolosi per via della loro azione a
lungo termine sul sistema endocrino”, afferma il Dipartimento di Medicina
Clinica e Sperimentale dell’Università di Messina. “I distruttori endocrini sono in grado di mimare l’azione degli ormoni
naturalmente secreti dal corpo umano, provocando il deragliamento di molte
normali funzioni fisiologiche. La loro tossicità è stata inizialmente
sottovalutata per il relativamente basso impatto sugli adulti. Tuttavia queste
sostanze hanno un’azione davvero spaventosa sulla vita nello stadio prenatale: sono
in grado di oltrepassare la placenta e giungere indisturbate al feto,
compromettendo gravemente lo sviluppo embrionale. Possono risultare
malformazioni evidenti alla nascita, ma assai più spesso possono portare a
conseguenze non rilevabili fino all’età puberale o adulta”.
Sono
proprio i metalli pesanti come il cadmio, l’arsenico, il piombo, il mercurio, ecc.
ad avere una tossicità per il sistema riproduttivo. “Nella popolazione
femminile causano l’incremento di rischio di aborti spontanei, la morte fetale
intrauterina e parti pretermine, mentre nei maschi inducono oligospermia e
riduzione della motilità degli spermatozoi”, ammonisce l’equipe del prof.
Squadrito. “Esperimenti di laboratorio con animali esposti in stadio embrionale
a concentrazioni significative di distruttori
endocrini causano patologie come sviluppo puberale precoce e precocissimo;
elevato rischio di endometriosi nelle femmine; infertilità e gravidanze
extrauterine; diminuzione della fertilità nei maschi; elevato rischio di
criptorchidismo ed ipospadia (malformazioni dell’apparato genitale maschile)
nonché di tumori (specie all’apparato riproduttivo) in età adulta; malattie
autoimmuni; deficit immunitario; diabete tipo II; deficit cognitivi, limitato
sviluppo cerebrale ed intellettivo, predisposizione alla violenza, patologie
comportamentali”.
Ulteriori
gravi patologie sono generate più specificatamente dai metalli pesanti rinvenuti
in alte concentrazioni nelle urine degli studenti della Valle del Mela, primo
fra tutti il cromo, utilizzato a livello industriale in numerose leghe e nell’acciaio
inossidabile. Mentre i composti del cromo trivalente non sono
normalmente considerati pericolosi per la salute, dal punto di vista biologico i
composti del cromo esavalente (cromati e bicromati) sono ritenuti “molto tossici”. Classificato come cancerogeno per l’uomo (gruppo 1 secondo l’Agenzia Internazionale per la
Ricerca sul Cancro), il cromo esavalente può essere mortale se ingerito
o assorbito anche attraverso la pelle. Questo metallo è responsabile di una lunga serie di
effetti tossici cronici, tra cui congiuntiviti e cheratocongiuntiviti;
dermatiti irritative e ulcerazioni a carico degli arti; laringite cronica,
bronchite, asma; epatopatie e disturbi a carico del tratto gastrointestinale;
rinite ulcerativa, con possibile perforazione del setto nasale. L’esposizione acuta comporta gravi danni a diversi
organi, in particolare fegato e reni, con possibile evoluzione verso la morte.
“Quella
dermica è una fondamentale via d’esposizione al nickel, anche se la principale
via d’assorbimento resta quella respiratoria per inalazione di polveri
contenenti composti di nickel relativamente insolubili o gas e aerosol derivanti
da soluzioni contenenti nickel”, spiega il Dipartimento di Medicina Clinica. Fumi
e polveri di solfuro di nickel sono considerati cancerogeni; molti altri
composti di questo metallo sono sospetti cancerogeni. In letteratura vengono descritti effetti tossici
soprattutto a carico dell’apparato respiratorio e disfunzioni renali oltre che
irritazione della pelle ed ipersensibilità da contatto. “Il cadmio, invece, è
biopersistente e, una volta assorbito da un organismo, rimane in esso per molti
anni (nell’ordine di decine per gli uomini) prima di venire espulso; numerosi
sono gli studi effettuati nei topi, che correlano la diminuzione del peso
testicolare con alti livelli di cadmio”, si aggiunge. “La fonte principale di
emissione è legata alla fabbricazione e all’industria di riciclo e smaltimento
delle batterie di nickel/cadmio, inoltre si disperde nell’ambiente in seguito
all’incenerimento dei rifiuti”. Sia il cadmio che i suoi composti sono tossici perfino
a basse concentrazioni. Un’esposizione acuta alle polveri di cadmio pari a
5 mg/m³ è letale in circa 8 ore; esposizioni pari a 1 mg/m³ possono
invece dare una tossicità rilevante a livello dell’albero respiratorio, con
dispnea, tosse, febbre e astemia. Le polveri e i fumi di cadmio sono inoltre
chiamati in causa come induttori di enfisema e carcinoma polmonare. L’ingestione
di alimenti contaminati con cadmio può provocare invece diarrea, nausea, vomito
e disidratazione. Una volta
assorbito, il cadmio si lega ai globuli rossi e alle proteine plasmatiche per
poi accumularsi principalmente nel fegato e nei reni. Nei soggetti cronicamente
sovraesposti al metallo sono stati riscontrati anche osteoporosi, osteomalacia,
calcolosi delle vie urinarie, anemia ferrocarenziale per riduzione
dell’assorbimento del ferro, epatopatia.
Durante l’azione di biomonitoraggio nella Valle del
Mela, l’Università di Messina ha pure effettuato il dosaggio di una serie di ormoni:
nei maschi il testosterone e nelle ragazze l’LH
(ormone che agiste sull’apparato riproduttivo femminile stimolando la
formazione del corpo luteo e la secrezione del progesterone) e l’FSH (nelle ovaie stimola la formazione dei
follicoli e la secrezione degli estrogeni). Inoltre è stato effettuato il
controllo su tutto il campione di popolazione degli ormoni tiroidei T3 (triiodotironina), T4 (L-tiroxina) e TSH (l’ormone
tireotropo che agisce sulla tiroide e stimola la produzione dei T3 e T4). “I
dosaggi ormonali non hanno evidenziato differenze significative con gli
standard di riferimento utilizzati nella pratica clinica, anche comparandoli
con lo stadio dello sviluppo puberale dei soggetti in età adolescenziale”,
affermano i ricercatori. “Anche i dosaggi degli ormoni sessuali non si
discostano dagli standard clinici di riferimento, comparati con le ecografie e
lo sviluppo puberale dei ragazzi”.
Onde
eseguire un controllo più completo, l’equipe del prof. Squadrito ha proceduto infine
con gli esami ecografici pelvici, testando sia lo stato delle ovaie che dei
testicoli per correlarli, successivamente, con i dosaggi ormonali. “Lo stato
ovarico e follicolare delle bambine non si discosta dai normali standard
clinici di riferimento per quell’età”, si legge nel report finale. “Mentre per
quanto riguarda la media del volume testicolare, come si evince dai risultati
ecografici comparati con quelli ottenuti nei bambini controllo, risulta essere significativamente ridotta”. Nel corso di
queste indagini ecografiche, in 31 soggetti maschi monitorati, si sono poi riscontrate
una serie di alterazioni morfologiche dell’apparato riproduttore: 16 cisti
epidimali; 8 varicocele; 5 idrocele; 2 cisti testicolari. Un risultati indubbiamente
più che sconfortante.
“L’introduzione e l’attivazione di programmi di
biomonitoraggio relativi all’esposizione ad inquinanti ad elevata persistenza
ambientale, che tendono a bioaccumularsi e che siano rilevanti sul piano
tossicologico, è legata alla possibilità di fornire elementi conoscitivi per i
processi decisionali sulle priorità delle azioni di risanamento ambientale”, concludono
i ricercatori del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università
di Messina. “I siti inquinati e le popolazioni ivi residenti dovrebbero essere
selezionati come oggetto di programmi di sorveglianza epidemiologica. L’analisi
integrata dei flussi informativi e le indagini di monitoraggio biologico e
ambientale, da effettuare su base periodica, rappresentano uno strumento
rilevante attraverso cui implementare adeguate politiche di protezione e
prevenzione”. Nella Valle del Mela, però, la politica è o collusa o sorda o
assente. E la popolazione resta sola, disinformata e indifesa di fronte gli
ecomostri del capitale e del profitto transnazionale.
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