I tentacoli del Ponte sul centro d’eccellenza dell’Ateneo di Messina
I neolaureati dell’area dello Stretto non si erano mai illusi che con il Ponte avrebbero trovato stabile occupazione, ma certo non potevano immaginare che con l’avvio dei lavori sarebbero stati scippati dell’unica infrastruttura creata in ambito locale a sostegno di attività imprenditoriali giovanili innovative. Venerdì 10 settembre, nel cuore del Polo scientifico di Papardo dell’Università di Messina, andrà in scena l’ultima beffa dei Signori del Ponte. Un’intera palazzina dell’Ateneo, realizzata con i fondi della legge 208 del 1998 riservati «agli interventi di promozione, occupazione e impresa nelle aree depresse», destinata a fare da “Incubatore” di 46 aziende di giovani imprenditori e ricercatori universitari, sarà convertita nei “Nuovi Uffici Direzionali del Ponte”. Vi s’insedieranno la società concessionaria Stretto di Messina, Eurolink (il consorzio general contractor per la progettazione e i lavori), il gruppo statunitense Parsons Transportation (impegnato nel “project management” dell’opera). Il cambio di destinazione delle finalità d’uso dell’incubatore mai nato avverrà con un “protocollo d’intesa” che l’Università di Messina firmerà alla presenza del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Altero Matteoli e del plenipotenziario Pietro Ciucci, commissario straordinario del Ponte e presidente ANAS e della Stretto Spa.
L’evento, in verità, era stato programmato per il 10 luglio scorso, ma alla vigilia della dismissione dei locali ci si rese conto che per la fretta si erano bypassati alcuni delicati passaggi burocratici. Non fu sufficiente la convocazione, qualche ora prima della firma del protocollo, del Senato Accademico e del Consiglio d’amministrazione dell’Università per approvare congiuntamente la bozza d’accordo. Matteoli annullò il suo viaggio a Messina e si decise di posticipare il tutto di un paio di mesi. Il Rettore, Francesco Tomasello, non ha mai nascosto di essere stato tra coloro che più hanno caldeggiato la concessione dello stabile ai Signori del Ponte. «Io considero il Papardo un’area fortemente strategica. Chi fa polemica per aver prestato l’incubatore d’impresa ad Eurolink mi fa solo sorridere. Lasciarlo come testimonianza di opera incompiuta sarebbe stato meglio?», ha commentato Tomasello, che in precedenza aveva ottenuto una proroga dell’incarico di dodici mesi al termine dell’ultimo mandato come rettore, nonostante una richiesta di rinvio a giudizio e due provvedimenti di sospensione dall’incarico per due mesi, ordinati dal Tribunale di Messina nell’ambito di un’inchiesta su un presunto concorso “pilotato”.
Che si tratti dell’ennesima “cattedrale nel deserto” o di un’“opera incompiuta” è assai discutibile, specie se si scorrono i documenti progettuali e le valutazioni degli stessi organi accademici. Le finalità dell’incubatore di contrada Papardo, concesso in uso a Sviluppo Italia Sicilia, puntavano all’«offerta di spazi ai giovani per esprimere la propria capacità d'impresa in una città poco competitiva» e «all’ospitalità di spin-off industriali derivanti dalla ricerca scientifica». Nonostante i ritardi nel decollo della struttura, nella “Relazione sui risultati delle attività di ricerca, di formazione e di trasferimento tecnologico nell’anno 2008”, l’Università degli Studi rifocalizzava la propria attenzione al «crescente interesse dell’Ateneo messinese per il tema del trasferimento tecnologico e della creazione di nuove imprese, nell’ambito di un ampliamento e rafforzamento delle interazioni già esistenti con il sistema produttivo». Nel sottolineare l’esistenza di cinque imprese sostenute dall’Ateneo nei settori dell’elettronica, high-tech, scienza della separazione, la Relazione annunciava il «completamento» dell’incubatore, che finalmente potrà offrire «possibilità concrete di promozione al territorio nel quale l’Università opera, e in generale a coloro, potenziali imprenditori, che ne facciano richiesta».
La riconversione pontista dell’infrastruttura destinata all’imprenditoria giovanile non ha scandalizzato nessuno all’interno dell’asfittico mondo universitario dello Stretto. Solo l’economista Guido Signorino, docente della facoltà di Scienze Politiche, si è rivolto al Senato Accademico con una lettera aperta. «L’utilizzo di spazi per finalità non previste dall’atto di concessione dell’incubatore ne rappresenta una violazione», afferma Signorino. «È ovvio che Eurolink e società collegate non presentano alcuna caratteristica idonea a consentire loro di diventare ospiti-beneficiari della struttura. Non possono essere considerate “imprese nascenti” e non abbisognano di alcun “accompagnamento al mercato” da chicchessia. Inoltre, la durata dell’utilizzo dei locali non appare commisurata ai limiti indicati nell’atto di concessione. La permanenza nell’incubatore era definito in 36 mesi, eccezionalmente prorogabili fino a 60, in modo da generare un flusso continuo di imprese nuove e innovative. I lavori per il Ponte avranno invece una durata minima di sei anni».
A rendere più amaro il sapore della beffa, l’evidenza che nessuna delle società di costruzioni che compongono l’ATI per i lavori del Ponte ha sedi o filiali nell’area dello Stretto (alcune sono, anzi, straniere) e che sono tutte di antica formazione e nella titolarità di corporation e gruppi azionari di rilevanza nazionale (famiglie Benetton, Gavio e Ligresti per Impregilo, società capofila Eurolink). Ancora più insostenibile dal punto di vista formale ed etico, la concessione dei locali universitari al Parsons Transportation Group che seguirà la progettazione definitiva del Ponte di Messina. Colosso statunitense del settore ingegneristico, Parsons ha sede in California e filiali in oltre 80 paesi del mondo. Si tratta di una delle società chiave del complesso bellico industriale statunitense. In Iraq sono stati affidati a Parsons contratti per svariati milioni di dollari per la ricostruzione di decine d’infrastrutture civili e militari. Parsons Transportation Group, che per il regime di Saddam Hussein aveva realizzato il ponte “14 luglio” sul Tigri e una megacentrale elettrica, è stato pure contrattato dal Corpo d’Ingegneria dell’Esercito USA per lo «sminamento e la distruzione di armi» ed il recupero delle maggiori reti petrolifere e dei gasdotti iracheni. Per conto dell’US Air Force, il gruppo Parsons ha riabilitato le infrastrutture della base di Taji, una delle più importanti aree operative delle forze armate della coalizione alleata.
«Ancora una volta il bene comune viene calpestato per lasciare spazio a chi fa profitti senza rischiare nulla», dichiara Gino Sturniolo della Rete No Ponte. «L’affaire sintetizza il corollario del Ponte sullo Stretto: operazioni basate sulla sottrazione di spazi pubblici, sulla negazione di vere prospettive occupazionali alle giovani generazioni in nome degli interessi privati e dei contractor più attivi nei teatri di guerra internazionali». Sturniolo ricorda che la Rete si è più volte mobilitata contro l’Incubatore del Ponte e che continuerà a farlo anche nei prossimi giorni. «Questa struttura deve restare a sostegno dei progetti dei giovani laureati ma riteniamo pure che vadano favorite quelle iniziative ad alta innovazione e sostenibili dal punto di vista ambientale. Non condividiamo cioè la visione tutta spinta sul “mercato” e le “imprese profit”. Molte esperienze internazionali sono meglio puntate verso incubatori accademici preposti all’accompagnamento, formazione, ricerca e sostegno delle cosiddetta “economia solidale” (no profit, cooperativismo, ecc.). Perché queste esperienze funzionano con esito mentre a Messina falliscono miseramente e l’Università abdica al proprio ruolo guida a favore dei colossi d’argilla del capitalismo made in Italy?».
Intanto si riaccendono i riflettori sull’iter organizzativo che condurrà alla firma del protocollo Università-società Ponte del 10 settembre. Ai preparativi della kermesse con il ministro Matteoli è prevedibile che collaborerà direttamente l’ANAS, azionista di maggioranza della Stretto di Messina Spa, esattamente come avvenuto due mesi fa in occasione della prima fallita inaugurazione del General Office. Allora, numerosi mezzi ed operai ANAS furono impiegati in opere di scerbatura all’interno del Polo universitario di contrada Papardo. Una vicenda approdata in Procura grazie ad un esposto-denuincia della Confederazione Unitaria di Base (CUB) di Messina. «Risorse preziose come quelle dell’ANAS non vengono impiegate per finalità proprie dell’Ente ma per l’abbellimento di aiuole in aree non di propria pertinenza», scriveva la CUB. “Questa organizzazione sindacale non può esimersi dal rappresentare alle Autorità competenti fatti che si ritengono fortemente lesivi degli interessi prioritari della collettività ai quali troppo spesso vengono anteposti interessi di pochi singoli individui. Tutto ciò premesso, chiediamo di perseguire e punire i soggetti ritenuti responsabili per tutte le ipotesi di reato previste e ravvisabili alla luce di quanto esposto e documentato». Di quella denuncia si è persa ogni traccia.
L’evento, in verità, era stato programmato per il 10 luglio scorso, ma alla vigilia della dismissione dei locali ci si rese conto che per la fretta si erano bypassati alcuni delicati passaggi burocratici. Non fu sufficiente la convocazione, qualche ora prima della firma del protocollo, del Senato Accademico e del Consiglio d’amministrazione dell’Università per approvare congiuntamente la bozza d’accordo. Matteoli annullò il suo viaggio a Messina e si decise di posticipare il tutto di un paio di mesi. Il Rettore, Francesco Tomasello, non ha mai nascosto di essere stato tra coloro che più hanno caldeggiato la concessione dello stabile ai Signori del Ponte. «Io considero il Papardo un’area fortemente strategica. Chi fa polemica per aver prestato l’incubatore d’impresa ad Eurolink mi fa solo sorridere. Lasciarlo come testimonianza di opera incompiuta sarebbe stato meglio?», ha commentato Tomasello, che in precedenza aveva ottenuto una proroga dell’incarico di dodici mesi al termine dell’ultimo mandato come rettore, nonostante una richiesta di rinvio a giudizio e due provvedimenti di sospensione dall’incarico per due mesi, ordinati dal Tribunale di Messina nell’ambito di un’inchiesta su un presunto concorso “pilotato”.
Che si tratti dell’ennesima “cattedrale nel deserto” o di un’“opera incompiuta” è assai discutibile, specie se si scorrono i documenti progettuali e le valutazioni degli stessi organi accademici. Le finalità dell’incubatore di contrada Papardo, concesso in uso a Sviluppo Italia Sicilia, puntavano all’«offerta di spazi ai giovani per esprimere la propria capacità d'impresa in una città poco competitiva» e «all’ospitalità di spin-off industriali derivanti dalla ricerca scientifica». Nonostante i ritardi nel decollo della struttura, nella “Relazione sui risultati delle attività di ricerca, di formazione e di trasferimento tecnologico nell’anno 2008”, l’Università degli Studi rifocalizzava la propria attenzione al «crescente interesse dell’Ateneo messinese per il tema del trasferimento tecnologico e della creazione di nuove imprese, nell’ambito di un ampliamento e rafforzamento delle interazioni già esistenti con il sistema produttivo». Nel sottolineare l’esistenza di cinque imprese sostenute dall’Ateneo nei settori dell’elettronica, high-tech, scienza della separazione, la Relazione annunciava il «completamento» dell’incubatore, che finalmente potrà offrire «possibilità concrete di promozione al territorio nel quale l’Università opera, e in generale a coloro, potenziali imprenditori, che ne facciano richiesta».
La riconversione pontista dell’infrastruttura destinata all’imprenditoria giovanile non ha scandalizzato nessuno all’interno dell’asfittico mondo universitario dello Stretto. Solo l’economista Guido Signorino, docente della facoltà di Scienze Politiche, si è rivolto al Senato Accademico con una lettera aperta. «L’utilizzo di spazi per finalità non previste dall’atto di concessione dell’incubatore ne rappresenta una violazione», afferma Signorino. «È ovvio che Eurolink e società collegate non presentano alcuna caratteristica idonea a consentire loro di diventare ospiti-beneficiari della struttura. Non possono essere considerate “imprese nascenti” e non abbisognano di alcun “accompagnamento al mercato” da chicchessia. Inoltre, la durata dell’utilizzo dei locali non appare commisurata ai limiti indicati nell’atto di concessione. La permanenza nell’incubatore era definito in 36 mesi, eccezionalmente prorogabili fino a 60, in modo da generare un flusso continuo di imprese nuove e innovative. I lavori per il Ponte avranno invece una durata minima di sei anni».
A rendere più amaro il sapore della beffa, l’evidenza che nessuna delle società di costruzioni che compongono l’ATI per i lavori del Ponte ha sedi o filiali nell’area dello Stretto (alcune sono, anzi, straniere) e che sono tutte di antica formazione e nella titolarità di corporation e gruppi azionari di rilevanza nazionale (famiglie Benetton, Gavio e Ligresti per Impregilo, società capofila Eurolink). Ancora più insostenibile dal punto di vista formale ed etico, la concessione dei locali universitari al Parsons Transportation Group che seguirà la progettazione definitiva del Ponte di Messina. Colosso statunitense del settore ingegneristico, Parsons ha sede in California e filiali in oltre 80 paesi del mondo. Si tratta di una delle società chiave del complesso bellico industriale statunitense. In Iraq sono stati affidati a Parsons contratti per svariati milioni di dollari per la ricostruzione di decine d’infrastrutture civili e militari. Parsons Transportation Group, che per il regime di Saddam Hussein aveva realizzato il ponte “14 luglio” sul Tigri e una megacentrale elettrica, è stato pure contrattato dal Corpo d’Ingegneria dell’Esercito USA per lo «sminamento e la distruzione di armi» ed il recupero delle maggiori reti petrolifere e dei gasdotti iracheni. Per conto dell’US Air Force, il gruppo Parsons ha riabilitato le infrastrutture della base di Taji, una delle più importanti aree operative delle forze armate della coalizione alleata.
«Ancora una volta il bene comune viene calpestato per lasciare spazio a chi fa profitti senza rischiare nulla», dichiara Gino Sturniolo della Rete No Ponte. «L’affaire sintetizza il corollario del Ponte sullo Stretto: operazioni basate sulla sottrazione di spazi pubblici, sulla negazione di vere prospettive occupazionali alle giovani generazioni in nome degli interessi privati e dei contractor più attivi nei teatri di guerra internazionali». Sturniolo ricorda che la Rete si è più volte mobilitata contro l’Incubatore del Ponte e che continuerà a farlo anche nei prossimi giorni. «Questa struttura deve restare a sostegno dei progetti dei giovani laureati ma riteniamo pure che vadano favorite quelle iniziative ad alta innovazione e sostenibili dal punto di vista ambientale. Non condividiamo cioè la visione tutta spinta sul “mercato” e le “imprese profit”. Molte esperienze internazionali sono meglio puntate verso incubatori accademici preposti all’accompagnamento, formazione, ricerca e sostegno delle cosiddetta “economia solidale” (no profit, cooperativismo, ecc.). Perché queste esperienze funzionano con esito mentre a Messina falliscono miseramente e l’Università abdica al proprio ruolo guida a favore dei colossi d’argilla del capitalismo made in Italy?».
Intanto si riaccendono i riflettori sull’iter organizzativo che condurrà alla firma del protocollo Università-società Ponte del 10 settembre. Ai preparativi della kermesse con il ministro Matteoli è prevedibile che collaborerà direttamente l’ANAS, azionista di maggioranza della Stretto di Messina Spa, esattamente come avvenuto due mesi fa in occasione della prima fallita inaugurazione del General Office. Allora, numerosi mezzi ed operai ANAS furono impiegati in opere di scerbatura all’interno del Polo universitario di contrada Papardo. Una vicenda approdata in Procura grazie ad un esposto-denuincia della Confederazione Unitaria di Base (CUB) di Messina. «Risorse preziose come quelle dell’ANAS non vengono impiegate per finalità proprie dell’Ente ma per l’abbellimento di aiuole in aree non di propria pertinenza», scriveva la CUB. “Questa organizzazione sindacale non può esimersi dal rappresentare alle Autorità competenti fatti che si ritengono fortemente lesivi degli interessi prioritari della collettività ai quali troppo spesso vengono anteposti interessi di pochi singoli individui. Tutto ciò premesso, chiediamo di perseguire e punire i soggetti ritenuti responsabili per tutte le ipotesi di reato previste e ravvisabili alla luce di quanto esposto e documentato». Di quella denuncia si è persa ogni traccia.
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