Guerra in Ucraina. L’obbedienza non è più una virtù
Dal 26 settembre al 3 ottobre 2022 una folta delegazione di attiviste/i
italiani guidata dalla Ong Un Ponte Per e dal Movimento Nonviolento, si è
recata in Ucraina per chiedere l’immediata cessazione dell’invasione russa, l’avvio
di negoziati per trovare una soluzione pacifica al conflitto e offrire un
sostegno alla società civile ucraina impegnata nel supporto umanitario e nella
difesa del diritto all’obiezione di coscienza e alla resistenza nonviolenta. La
Carovana della pace a Kiev è
stata realizzata nell’ambito della campagna #StoptheWarNow promossa da oltre 175 associazioni, che ha già
assicurato l’invio di 32 tonnellate di aiuti umanitari nelle zone devastate
dalla guerra, l’evacuazione di oltre 300 profughi e l’organizzazione di attività
di volontariato a favore delle vittime innocenti. Una occasione per
confrontarsi, osservare, capire.
L’ombra funesta dell’olocausto mondiale. La
sanguinosa guerra fratricida in Ucraina sta spingendo l’umanità intera alla
guerra nucleare. Nelle cancellerie occidentali non vuole rendersene conto nessuno.
Alle armi! Alle armi! è il folle
grido collettivo mentre la politica generale, le organizzazioni del mondo del
lavoro, le chiese, assistono alla immane carneficina scimmiottando slogan e
comportamenti da hooligan degli stadi di calcio. Solo papa Francesco avverte la
tragicità di questi giorni e lancia accorati appelli perché sia perseguita la
via della ragione e del dialogo tra le parti combattenti. E, con lui,
l’arcipelago dei NoWar…
Dal 26 settembre al 3 ottobre 2022 una folta
delegazione di attiviste/i italiani guidata dalla Ong Un Ponte Per e dal Movimento
Nonviolento, si è recata in Ucraina per chiedere l’immediata cessazione
dell’invasione russa, l’avvio di negoziati per trovare una soluzione pacifica
al conflitto e offrire un sostegno alla società civile ucraina impegnata nel
supporto umanitario e nella difesa del diritto all’obiezione di coscienza e alla
resistenza nonviolenta. La Carovana della
pace a Kiev è stata realizzata nell’ambito della campagna #StoptheWarNow
promossa da oltre 175 associazioni, che ha già assicurato l’invio di 32 tonnellate
di aiuti umanitari nelle zone devastate dalla guerra, l’evacuazione di oltre
300 profughi e l’organizzazione di attività di volontariato a favore delle
vittime innocenti.
“Dopo le precedenti Carovane a Leopoli,
Odessa e Mykolaiv, abbiamo raggiunto la capitale Kiev per costituire reti e stringere
accordi di partenariato con tutti quei soggetti, laici e religiosi, che si
pongono il problema della convivenza tra diversi, del rispetto del pluralismo
linguistico e culturale, del sostegno anche psicologico alle vittime della
violenza”, spiegano gli organizzatori. “Di fronte alla guerra non si può essere
meri spettatori”, aggiunge don Renato Sacco, consigliere nazionale di Pax
Christi, tra i partecipanti alla Carovana. “Stavolta però desideriamo esplicitare
maggiormente l’aspetto politico. Questa marcia apre solchi e nuovi orizzonti
per rendere visibile chi non ha avuto fino ad oggi l’opportunità di comparire
in tv: gli obiettori di coscienza e chi ha scelto di non imbracciare il fucile.
In Italia se parli di pace sei deriso; in Ucraina o in Russia sei processato.
La pace è un mosaico e non può esserci solo una voce, quella di chi cede alla
logica delle armi”.
La delegazione di #StoptheWarNow ha scelto l“Oasi
della Pace” del parco-giardino di Kiev per esprimere la solidarietà a favore degli
obiettori di coscienza sotto processo o indagati dalla Procura Generale ucraina
con l’accusa di “alto tradimento”. Il meeting promosso con il Movimento
Pacifista Ucraino ha avuto come momento chiave un flash mob sotto la statua del Mahatma Gandhi donata due anni fa dal
governo indiano al popolo ucraino.
Il caso più emblematico tra le persecuzioni
giudiziarie contro obiettori e disertori è certamente quello del giornalista
Ruslan Kotsaba, “reo” di aver diffuso diversi appelli contro la guerra, alcuni
già nel 2014, l’anno in cui divampò il conflitto nella martoriata regione del
Donbas. All’epoca Kotsaba dovette scontare quasi
due anni di carcere per un video in cui invitava a rifiutare l’arruolamento
nell’esercito. Il 19 luglio scorso il giornalista è stato rinviato nuovamente a
giudizio per aver espresso la propria contrarietà alla guerra russo-ucraina.
Con
l’acutizzarsi dei combattimenti si sono pesantemente aggravate le condizioni di
sicurezza per i giovani ucraini che si rifiutano di partecipare alle azioni
belliche. “Dall’inizio dell’invasione russa del 24 febbraio, in Ucraina vige la
legge marziale e il divieto di lasciare il Paese per tutti gli uomini tra i 18
e i 60 anni; allo stesso tempo è stata decretata la sospensione del diritto
all’obiezione di coscienza al servizio militare, tra l’altro riconosciuta solo
per meri motivi religiosi”, spiega Juri Sheliazhenko, segretario esecutivo del
Movimento Pacifista Ucraino. I provvedimenti sono stati stigmatizzati da Mao
Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento, anch’egli partecipante alla
Carovana per la pace a Kiev. “La sospensione del
diritto alla obiezione di coscienza in Ucraina rappresenta una totale
violazione del diritto umanitario internazionale”, spiega Valpiana. “La
Commissione delle Nazioni Unite sui diritti dell’uomo ha esplicitato che il
diritto all’obiezione di coscienza non può essere compresso per ragioni legate
alla sicurezza nazionale. L’Ucraina deve rispettare questo principio, per
questo esortiamo il governo di Kiev a smettere di perseguitare gli
obiettori al servizio militare”.
Membro
del Consiglio d’Europa e candidata a fare ingresso nell’Unione europea, in tema
di obiezione di coscienza l’Ucraina avrebbe dovuto conformarsi agli
standard europei e internazionali e a quanto deliberato dalla Corte europea
per i diritti umani. Le denunce di tanti giovani ucraini testimoniano invece un
tragico scenario di repressione e violazioni. Quattro mesi fa Un Ponte Per ha
reso nota la lettera ricevuta da due giovani originari
di Dnipro, lei laureanda in medicina e operatrice sulle ambulanze come
assistente medico, lui ex ufficiale militare. “Tutti gli ucraini
maggiorenni e molte ucraine sono intrappolate/i nel paese come prigioniere/i, e
non possono esercitare il diritto all’obiezione di coscienza in maniera legale”,
raccontano i due ragazzi. “Inoltre, sia la legge ucraina – inasprita negli
ultimi mesi – che il giudizio sociale sono univoci verso chi si rifiuta di
combattere. Chi rifiuta il servizio militare è chiamato traditore della
patria e viene perseguitato in tutto il territorio ucraino. Questa
situazione riflette il grado di polarizzazione della nostra società e rinchiude
in una gabbia noi, le persone a noi care e migliaia di giovani in Ucraina. Nel
frattempo il nostro governo soffia sul fuoco del nazionalismo e sulle
differenze insormontabili tra noi e la Russia. L’obiettivo di chi è al potere è
ottenere la vittoria militare, non quello di preservare il maggior numero di
vite umane”.
“Secondo
la legge ucraina in tempo di guerra, le donne con una formazione medica sono
obbligate a servire con le forze armate”, prosegue la missiva. “Per me tutto
ciò è inaccettabile, contraddice i miei ideali e le mie convinzioni. Mi rifiuto
di essere coinvolta in spargimenti di sangue tra due paesi, a causa
dell’incapacità dei due governi di venirne a capo. L’unica cosa accettabile per
la mia coscienza è lasciare l’Ucraina e chiedere asilo in un paese dove potrò
continuare a studiare per salvare vite umane. Lo stesso vale per il mio
fidanzato: ha prestato servizio per un anno e mezzo, poi ha abbandonato
l’esercito perché troppe cose contrastavano con le sue idee: era depresso,
oppresso dai giudizi altrui, dalla disciplina eccessiva e dall’arroganza
diffusa. Nonostante questo è stato costretto a tornare in servizio, contro la
sua volontà, come riserva militare…”.
Sul
numero di giovani ucraini che hanno scelto l’obiezione alla guerra non ci sono
dati certi, mentre le autorità di Kiev mantengono il massimo riserbo sui
procedimenti penali avviati contro i renitenti alla coscrizione militare. “Ci
troviamo di fronte a un fenomeno che coinvolge migliaia di giovani ucraini”,
avverte Mao Valpiana. “Nel 2021 erano 1.600 gli obiettori in servizio civile
alternativo nel paese e oltre 5.000 le richieste di obiezione da esaminare.
Sono più di un centinaio invece i giovani obiettori sottoposti a persecuzioni
giudiziarie e con il giro di vite decretato dal governo dopo l’aggressione
russa, le pene sono state elevate a 5-10 anni di
reclusione”.
A metà settembre le Chiese
evangeliche in Germania hanno reso pubblico uno studio sui coscritti al servizio militare fuggiti da Russia,
Bielorussia ed Ucraina. “Non esistono indicatori statistici ufficiali, tuttavia
è possibile fare una stima approssimativa sul loro numero”, riporta lo studio. “L’istituto
di statistica ufficiale russo Rosstat ha reso noto che almeno 420.000 persone
hanno lasciato la Russia nel primo semestre del 2022. I principali paesi
di destinazione sono Georgia (100.000), Turchia (100.000), Armenia (50.000), ma
ci sono anche Serbia (30.000), Montenegro, le Repubbliche baltiche, il
Kazakhstan o Israele (17.000)”.
Per ciò
che riguarda invece l’Unione europea, dal gennaio al giugno 2022 sono state
presentate 4.660 richieste di asilo da parte di cittadini con passaporto russo,
tra essi 1.600 uomini di età compresa tra 18 e 60 anni e che dunque possono
essere richiamati in servizio militare attivo. “Relativamente alla Bielorussia,
l’organizzazione nazionale Nash Dom, costretta ad operare dall’esilio in
Lituania, ha potuto fare solo una stima dei cittadini bielorussi che sono
riusciti a fuggire in Lituania e Georgia: rispettivamente 2.000 e 20.000 uomini
soggetti allo svolgimento del servizio militare”, aggiungono le Chiese
evangeliche.
Sono
invece milioni i cittadini ucraini che hanno attraversato la frontiera dopo
l’invasione russa del 24 febbraio 2022. Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite
per i rifugiati (UNHCR) a metà settembre risultavano registrati nell’Unione
europea 4.040.000 rifugiati. In Russia si sarebbero diretti altri 2.600.000 cittadini
con passaporto ucraino; l’istituto Rosstat indica che nel primo semestre
dell’anno, 60.000 di essi avevano ottenuto il diritto a risiedere
“temporaneamente” nel territorio della federazione russa. “Abbiamo stimato che
nei paesi dell’Europa occidentale quasi l’8% circa dei rifugiati ucraini sono
uomini di età compresa tra i 18 e i 60 anni; pur considerando che solo il 50%
di essi potrebbe essere obbligato a svolgere il servizio militare, sono almeno
145.000 quelli che hanno lasciato l’Ucraina per rifugiarsi nei paesi Ue (35.000
nella sola Repubblica Ceca)”, conclude il report delle Chiese evangeliche.
Da Kiev, alla vigilia del 2 ottobre, giornata internazionale della
nonviolenza, i partecipanti alla Carovana della pace hanno formalmente
rilanciato la campagna promossa da IFOR (International Fellowship of
Reconciliation), Ufficio Europeo per l’Obiezione di Coscienza
e War Resisters’ International per garantire protezione e asilo agli
obiettori e ai disertori russi, bielorussi e ucraini coinvolti nell’attuale
guerra nella regione. “Con una petizione indirizzata alla Presidente della
Commissione europea Ursula von der Leyen, al Presidente del Consiglio europeo
Charles Michel e alla Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, un
centinaio di associazioni internazionali hanno chiesto di aprire le frontiere
Ue a chi si oppone alla guerra mettendo a rischio la propria persona”, spiega Daniele
Taurino del Movimento Nonviolento. “Come società civile italiana chiediamo al
governo di assicurare agli obiettori ucraini, russi e bielorussi la protezione
umanitaria che fu assicurata durante la guerra in ex Jugoslavia. Costoro
rappresentano tutte le nostre speranze per superare la violenza e far prevalere
la pace”. Già in aprile i Giuristi democratici avevano invitato il governo
italiano a realizzare corridoi umanitari per gli obiettori di coscienza ucraini
e russi, mentre la parlamentare di Manifesta Doriana Sarli aveva presentato
un’interrogazione al ministro degli esteri Luigi Di Maio, non ottenendo però risposta.
Ed è ancora sul fronte “interno”, quello
italiano, che i NoWar pensano di
dover moltiplicare gli sforzi nei prossimi mesi. “Dobbiamo coordinarci,
lavorare insieme, porre l’attenzione sulla nonviolenza e l’obiezione alla
guerra”, aggiunge don Renato Sacco. “Dobbiamo richiamare l’attenzione politica
sui corpi civili di pace, chiedere che vengano investite risorse finanziarie in
questa prospettiva. Dobbiamo rimettere al centro dell’attenzione un’economia di
pace mentre oggi è solo di guerra e si discute solo di nuovi investimenti per
le armi. Questo riguarda anche il mondo cattolico: bene che ci sia papa Francesco,
ma tutti i settori della chiesa devono riscoprire la nonviolenza. Dobbiamo promuovere
riflessioni e studi, offrire risorse umane e soldi a favore della difesa civile
e non violenta e della risoluzione pacifica dei conflitti”.
Non è stato casuale che prima di raggiungere Kiev, la Carovana della Pace è
stata ospite dell’università degli studi della città di Chernivtsi, in Bukovina, la
regione sud-orientale dell’Ucraina che nel corso degli ultimi cento anni ha
fatto parte prima dell’impero austro-ungarico, poi del regno di Romania e
ancora dopo dell’URSS. Nello straordinario scenario architettonico del centro
accademico progettato a fine ‘ottocento dall’architetto Josef Havka (già area residenziale del vescovo della Chiesa
greco-ortodossa e oggi patrimonio Unesco), gli attivisti italiani hanno avuto
l’opportunità di confrontarsi con un centinaio tra docenti e studenti di
Chernivtsi sul conflitto in Ucraina, gli interventi di interposizione pacifica,
il peacebuilding e la risoluzione nonviolenta
dei conflitti. E ci si è lasciati con l’auspicio di rafforzare la partnership
tra l’università della Bukovina e le ONG e le università italiane, istituendo
un Corso interdisciplinare di studi per la pace.
“La nonviolenza è strada politica della pace”,
conclude don Renato Sacco. “Gli eroi moderni sono coloro che non uccidono e
ripudiano la guerra. Per questo dobbiamo fare in modo di promuovere tutte le forme
di obiezioni: da quella conto gli eserciti a quella contro le banche armate, mettendosi
a fianco di quei lavoratori come i portuali di Genova che si rifiutano di
prestare la propria opera a favore della guerra e del riarmo. Dobbiamo ripensare
l’obiezione fiscale per proporre magari l’opzione
fiscale, perché ognuno possa decidere cosa può essere fatto delle proprie
imposte. E dobbiamo ripensare il concetto stesso della difesa. I soldi non vanno
spesi per sistemi di distruzione e morte come ad esempio i cacciabombardieri
F-35 ma per assicurare la vera difesa,
quella dei territori ad esempio, dalle alluvioni, dalle frane, ecc. Il 2023 sarà
un anno importante perché ricorreranno due anniversari. Il 60° dell’enciclica
di papa Giovanni Pacem in terris e il
centenario della nascita di don Lorenzo Milani. L’obbedienza, non è più una
virtù…”.
Articolo pubblicato in Le Siciliane, Casablanca, n. 74, settembre-ottobre 2022
Commenti
Posta un commento