La nostra missione in Ucraina per dire no alla guerra
“Sarà una guerra lunghissima e il prossimo inverno si vivrà una crisi umanitaria senza precedenti in Ucraina; milioni di cittadini non avranno accesso alle fonti energetiche per scaldarsi e scarseggeranno in vaste aree del paese cibo e medicinali. E il gelo non raffredderà i combattimenti anzi assisteremo all’ennesima drammatica escalation militare, con l’impiego di tecnologie di morte sempre più sofisticate, droni, missili a medio e lungo raggio e la folle minaccia dell’impiego di testate nucleari…”. E’ quanto ci hanno ripetuto diplomatici, rappresentanti di organizzazioni di volontariato, esponenti governativi, i pacifisti e gli obiettori di coscienza, nel corso della nostra missione in Ucraina di inizio ottobre, nell’ambito della Campagna #Stopthewarnow promossa da oltre 170 associazioni della società civile, tra cui Un Ponte Per e Movimento Nonviolento. La Carovana della Pace a Kiev, dopo quella di Leopoli, Odessa e Mykolaiv, ha chiesto l’immediata cessazione dell’invasione russa e l’avvio di negoziati per trovare una soluzione pacifica al conflitto, offrendo un concreto sostegno umanitario alla popolazione civile ucraina a difesa in particolare dei diritti umani e di quei giovani che hanno scelto l’obiezione di coscienza e la resistenza nonviolenta al conflitto.
Quanto accaduto negli ultimi
giorni - l’attentato al ponte di Kerch in Crimea e il devastante bombardamento
missilistico russo contro la capitale e altre importanti città ucraine –
conferma (anzi peggiora) il tragico scenario tracciato dai nostri
interlocutori. No, non si dovrà attendere l’inverno per spingere l’umanità
intera verso il baratro dell’olocausto. E solo papa Francesco e le minoranze degli
“utopisti della pace e del dialogo ad ogni costo” sembrano accorgersene e
dolersene. Di contro a Mosca come a Kiev, a Washington come a Bruxelles,
Londra, Parigi e Roma, la parola d’ordine è Alle
armi, ancora più armi, fino all’annientamento del nemico. Eppure un fragile
spiraglio di luce nell’abisso di un conflitto sempre più globale e totale, esiste.
E lo abbiamo ascoltato e toccato con mano nell’Oasi della Pace del parco di
Kiev, proprio sotto la statua del Mahatma Gandhi che per chissà quale strano segno
del destino è stata regalata dal governo indiano alla popolazione ucraina il 3
ottobre del 2020. E’ la voce di centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi che non
si piegano all’aberrante logica binaria amico-nemico,
che rifiutano le armi e la coscrizione militare e che invocano la costruzione
di ponti di dialogo per una risoluzione giusta e nonviolenta del conflitto.
Sono gli obiettori di coscienza, i disertori, i renitenti alla leva di Ucraina,
Russia e Bielorussia; sono i manifestanti che dal 24 febbraio, a Mosca o San
Pietroburgo, subiscono le brutali cariche della polizia antisommossa e il
carcere per esprimere il proprio dissenso all’aggressione fratricida dell’Ucraina.
E’ con loro e per loro che
dobbiamo tornare in piazza in Italia per provare a fermare questa maledetta
guerra, opponendoci innanzitutto alla cobelligeranza dell’occidente a fianco
del regime Zelensky che ha bandito per decreto ogni possibile ipotesi di
trattativa con alla Russia. Una irresponsabile condivisione di intenti politico-militari,
fatta di invii pluri-miliardari di sistemi bellici, di centinaia di migliaia di
militari schierati nelle Repubbliche baltiche, in Polonia, Romania e Ungheria
per far sentire il fiato addosso a Putin e ai suoi generali (e chi è messo definitivamente
all’angolo, in guerra, può reagire in ogni modo, specie se dotato di armi di
distruzione di massa).
“La presenza dei pacifisti
italiani a Kiev ha aperto solchi e nuovi orizzonti rendendo visibile chi ha
scelto di non imbracciare il fucile e non ha avuto fino ad oggi l’opportunità
di comparire in tv”, ha dichiarato don Renato Sacco, consigliere nazionale di
Pax Christi, tra i partecipanti alla Carovana. “In Italia se parli di pace sei
deriso; in Ucraina o in Russia sei processato. La pace è un mosaico e non può
esserci solo una voce, quella di chi cede alla logica delle armi”. Con l’acutizzarsi dei combattimenti si sono perà pesantemente
aggravate le condizioni di sicurezza per i giovani ucraini che si rifiutano di
partecipare alle azioni belliche. “Dall’inizio dell’invasione russa, in Ucraina
vige la legge marziale e il divieto di lasciare il Paese per tutti gli uomini
tra i 18 e i 60 anni; allo stesso tempo è stata decretata la sospensione del
diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare, tra l’altro
riconosciuta solo per meri motivi religiosi”, ci ha spiegato Juri Sheliazhenko,
segretario esecutivo del Movimento Pacifista Ucraino. I provvedimenti sono
stati stigmatizzati da Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento,
anch’egli partecipante alla Carovana per la pace a Kiev. “La sospensione del diritto alla obiezione di
coscienza in Ucraina rappresenta una totale violazione del diritto umanitario
internazionale”, spiega Valpiana. “La Commissione delle Nazioni Unite sui
diritti dell’uomo ha esplicitato che il diritto all’obiezione di coscienza non
può essere compresso per ragioni legate alla sicurezza nazionale. L’Ucraina deve
rispettare questo principio, per questo esortiamo il governo di Kiev a
smettere di perseguitare gli obiettori al servizio militare”.
Membro del Consiglio d’Europa e candidata a fare ingresso nell’Unione
europea, in tema di obiezione di coscienza l’Ucraina avrebbe dovuto conformarsi agli standard europei
e internazionali e a quanto deliberato dalla Corte europea per i diritti umani.
Le denunce di tanti giovani ucraini testimoniano invece un tragico scenario di
repressione e violazioni. Per questo a Kiev,
alla vigilia del 2 ottobre,
giornata internazionale della nonviolenza, come partecipanti alla Carovana
della pace abbiamo formalmente rilanciato la campagna promossa da IFOR
(International Fellowship of Reconciliation), Ufficio
Europeo per l’Obiezione di Coscienza e War Resisters’ International per chiedere
all’Unione europea di garantire il diritto d’asilo agli obiettori e ai
disertori russi, bielorussi e ucraini. Una protezione umanitaria che fu
assicurata dal governo italiano durante la guerra in ex Jugoslavia, trent’anni
fa.
Come siciliani siamo chiamati a uno sforzo ulteriore, a difesa del
territorio e contro la sua dilagante trasformazione in piattaforma di
distruzione e morte. Dalla base di Sigonella decollano quotidianamente droni e
pattugliatori USA e NATO per svolgere nel Mar Nero o ai confini di Crimea e
Bielorussia provocatorie missioni di intelligence e individuazione di obiettivi
russi da colpire. Secondo il Pentagono le informazioni raccolte da questi
velivoli hanno avuto una rilevanza strategico-militare per pianificare ed
eseguire le controffensive ucraine perlomeno pari se non superiore a quella dei
sistemi bellici “donati” alle forze armate di Kiev da Washington e dagli
alleati occidentali.
Il coinvolgimento diretto dell’Isola è del tutto ignoto ai siciliani. Rifiutare
la guerra e solidarizzare con le vittime innocenti impone anche il recupero del
ruolo della Sicilia quale Ponte di pace e
dialogo interculturale tra i popoli. E dobbiamo farlo subito, prima che sia
inevitabilmente tardi e l’isola-portaerei possa fare da bersaglio della follia
atomica dei novelli dottor Stranamore del Cremlino o della Casa Bianca.
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