Controllori e controllati a braccetto sul Ponte sullo Stretto

Cresce in Parlamento l’indignazione per le ammissioni di Silvio Berlusconi sui «molti sforzi prodigati» dal suo precedente governo per «evitare la partecipazione all’appalto per il Ponte sullo Stretto di Messina di grandi imprese straniere». Dopo l’interpellanza dei senatori dei Radicali Italiani Donatella Poretti e Marco Perduca che hanno chiesto di sapere «in cosa sono consistiti i “molti sforzi” e se le 32 riunioni citate da Berlusconi erano state fatte per arrivare ad un appalto realizzato su misura per le imprese italiane», scende in campo anche il Partito democratico. «Durante il discorso per la fiducia, Silvio Berlusconi si è candidamente auto-accusato di aver pilotato l’appalto per i lavori del Ponte», ha dichiarato Ignazio Marino, membro Pd della Commissione Igiene e Sanità del Senato. «Una piena confessione di illegittimità per aver compiuto una discriminazione, almeno indiretta, nei confronti delle imprese europee, per di più resa di fronte al Senato della Repubblica». Marino ha chiesto l’intervento della Commissione europea per ottenere «chiarimenti rispetto alla violazione della libertà di concorrenza». «Sarebbe inoltre legittimo – aggiunge il parlamentare - che le imprese escluse chiedano il risarcimento del danno subito, ma a pagare dovrebbe essere Silvio Berlusconi e la sua confidenza con l’illegalità e i provvedimenti ad hoc, non tutti gli italiani».
Sulla vicenda sono intervenuti pure i senatori Roberto Della Seta e Francesco Ferrante. Annunciando la presentazione di un’interrogazione e di un esposto alla magistratura, i parlamentari del Pd chiedono all’Unione europea e alla magistratura di «accertare rapidamente se davvero il governo italiano si è reso autore o complice di quello che è a tutti gli effetti un reato». «È già surreale che il “liberale” Silvio Berlusconi si vanti di aver contribuito a violare le regole sulla concorrenza», affermano Della Seta e Ferrante. «È decisamente penoso che lo faccia per difendere un’opera del tutto inutile rispetto all’arretratezza drammatica del meridione in fatto di mobilità, e che costerebbe a tutti i contribuenti svariati miliardi di euro».
Alcune anomalie che avevano caratterizzato l’assegnazione del mega-appalto per il Ponte, erano già state denunciate nel maggio 2005 dallo stesso Roberto Della Seta. «È una gara per modo di dire», commentò l’allora presidente di Legambiente. «Il ritiro di tutte le imprese straniere a proposito delle due offerte presentate dalle cordate Astaldi e Impregilo è un campanello d’allarme sulla fallacità del progetto sia dal punto di vista finanziario che da quello ambientale e geologico. Falsati i costi, sottovalutato l’impatto ambientale, scappate le imprese straniere, l’unica certezza che resta è la stangata sulle Ferrovie dello Stato di 100 milioni di euro l’anno per i prossimi trenta anni».
Quello che aveva più sconcertato della gara per la scelta del general contractor era stato il vorticoso mutamento nelle composizioni delle due grandi cordate d’imprese in corsa per i lavori, registratosi nello spazio di pochi mesi. Nell’associazione temporanea guidata da Impregilo, risultata vincente, erano sparite ad esempio l’impresa francese Vinci, numero uno mondiale del settore delle costruzioni (che pure aveva il 20% delle quote del raggruppamento al momento della sua costituzione nel giugno 2004), e la statunitense Parsons, definita dai manager Impregilo come «l’operatore con le maggiori competenze a livello mondiale nella progettazione e realizzazione di ponti sospesi». Nella cordata a guida Astaldi si era invece verificato l’abbandono della società spagnola Necso Entrecanales Cubiertas, della giapponese Nippon Steal Corporation e delle italiane Pizzarotti Parma e Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna (quest’ultimo in palese conflitto d’interessi con la coop-figlia CMC di Ravenna, “concorrente” in associazione con Impregilo). A dire il vero, nell’aprile 2005 anche un’altra impresa spagnola, Ferrovial Agroman SA, aveva comunicato il proprio ritiro dalla gara del Ponte, ritenendo il progetto, così come proposto, «troppo rischioso dal punto di vista finanziario». Un mese dopo Ferrovial era tuttavia rientrata nella cordata a guida Astaldi, accrescendo la propria quota nell’ATI al 35%, dietro la capofila, ma avanti le italiane Maire Engineering, Vianini Lavori, Grandi Lavori Fincosit e Ghella.
Fu comunque un esodo più che provvidenziale quello delle imprese internazionali e del grande consorzio della Lega Coop, non fosse altro perché permise di ridimensionare i dubbi di legittimità e regolarità sull’intero iter concorsuale. La francese Vinci, ad esempio, stando alle risultanze dell’inchiesta Brooklin sul tentativo delle grandi organizzazioni mafiose nordamericane di riciclare 6 milioni di dollari nella costruzione del Ponte, era stata «avvicinata» dai faccendieri legati al boss Vito Rizzuto, alla vigilia della gara per il general contractor. «Il gruppo Rizzuto», scrivono i magistrati di Roma nell’ordinanza di custodia cautelare contro i prestanome del potente clan italo-canadese, «più che puntare a vincere direttamente la gara, aveva come priorità l’obiettivo di entrare in contatto con le altre ditte concorrenti e con altri grossi imprenditori edili, proponendosi come soggetto in grado di finanziare nella sua interezza l’opera e conseguentemente ottenere la gestione economica della stessa». «L’associazione che è sicura di poter realizzare, in tutto o in parte, i lavori del Ponte – aggiungono i magistrati - prende contatti diretti o indiretti con gli altri partecipanti; in particolare: con Vinci (che fa parte dell’ATI Impregilo), Bouygues (che fa parte dell’ATI Strabag–Risalto poi ritiratasi dalla gara), nonché con la società Fincosit in ATI con Astaldi». Il comportamento di Vinci ha pure lasciato parecchio scontenti i dirigenti del gruppo Astaldi, che giurano aver sottoscritto un «accordo in esclusiva» con il colosso francese proprio in vista della realizzazione del Ponte.
Conflitti d’interesse e cointeressenze tra controllori e controllati nell’affaire del Ponte furono ampiamente documentati dall’allora capogruppo in Commissione Trasporti, Anna Donati, parlamentare dei Verdi-Unione. In un’interrogazione presentata subito dopo l’ufficializzazione del general contractor (novembre 2005), l’onorevole Donati sollevò forti dubbi sulla regolarità del procedimento e sull’“indipendenza” di giudizio della commissione incaricata a valutare le offerte in gara. In particolare, l’ingegnere danese Niels J. Gimsing, membro della commissione aggiudicatrice, aveva fatto parte dal 1986 al 1993 della commissione internazionale di esperti per la valutazione del progetto di massima del Ponte sullo Stretto; Gimsing aveva inoltre lavorato ininterrottamente dal 1983 al 1998 come consulente dell’organizzazione governativa danese per la progettazione e la supervisione lavori dello Storbelt East Bridge, il lungo ponte sospeso tra le isole di Zealand e Funen (Danimarca). Coincidenza vuole che il Ponte di Storbelt sia stato progettato dalla società di consulenza Cowi di Copenaghen a cui l’associazione d’imprese guidata da Impregilo ha affidato l’elaborazione progettuale del Ponte di Messina. «L’ingegnere Gimsing avrebbe dovuto pertanto astenersi dal partecipare alla Commissione di gara per l’affidamento del general contractor, anche perché l’amministratore delegato d’Impregilo, Alberto Lina, era stato dal 1995 al 1998 presidente di Coinfra, la società dell’IRI che aveva partecipato come fornitore alla realizzazione dello Storebelt East Bridge, insieme a Cowi, e quindi aveva collaborato direttamente con il professionista danese», affermò Anna Donati.
Come se ciò non bastasse, Terrelibere.org rilevò che lo stesso Gimsing aveva pure ricoperto il ruolo di membro della commissione aggiudicatrice dei lavori per il Ponte “Stonecutters” di Hong Kong. A firmare il progetto, tra gli altri, lo studio Flint & Neill Partnership (Gran Bretagna), il cui titolare è risultato essere l’ingegnere Ian Firth, altro componente della commissione per la scelta del general contractor del Ponte di Messina. Firth aveva pure fatto da consulente per la concessionaria pubblica Stretto Spa nella redazione dei documenti tecnici di gara. Co-progettista dello “Stonecutters”, il Cowi Consulting Engineers and Planners AS, studio d’ingegneria controllato dal gruppo danese Cowi, proprio quello che ha firmato l’elaborato del Ponte sullo Stretto per Impregilo e socie. Ulteriore consulenza progettuale per l’infrastruttura di collegamento ad Hong Kong fu fornita dalla società statunitense Maunsell AECOM, il cui project engineer è tale John Cadei, uno dei membri della commissione per l’aggiudicazione della gara per il Project Management Consultant (PMC) del Ponte di Messina.
Il PMC avrà il compito di svolgere le attività di controllo e verifica della progettazione definitiva, esecutiva e della realizzazione dell’opera da parte del general contractor «al fine di assicurare il rispetto degli standard di qualità, dei tempi e dei costi previsti per la realizzazione del Ponte sullo Stretto». Un compito delicatissimo, dunque, attribuito, con una spesa di circa 150 milioni di euro, agli statunitensi del Parsons Transportation Group.
Peccato che anche la gara del Project Management Consultant sia stata caratterizzata da inattesi forfait e anomalie varie. Alla prequalifica, Parsons Transportation Group si era presentato insieme alla società d’ingegneria italiana Tecnimont. Nel luglio 2005, Tecnimont fu tuttavia ceduta dal gruppo Edison alla Maire, la holding a capo di Maire Engineering associatasi con Astaldi per la gara per i lavori del Ponte. L’operazione finanziaria fu stigmatizzata ancora una volta da Anna Donati, che in una nota denunciò «l’ennesimo caso in cui controllore e controllato verrebbero ad essere rappresentati dallo stesso gruppo societario». «Così la società Maire che ha acquisito Tecnimont - affermava la parlamentare - sarà in gara come Maire per il general contractor e come Tecnimont per il Project Management. Per dirla in altre parole essa concorre sia per la progettazione e realizzazione del Ponte nella cordata Astaldi, sia per l’incarico bandito dalla società Stretto di Messina per la vigilanza delle due attività. In caso di successo della Maire Engineering in entrambe le gare, ci troveremmo nella condizione di un controllore che dovrà controllare se stesso». Il casus belli fu tuttavia risolto in extremis: prima della ufficializzazione delle offerte, Tecnimont gettò la spugna, e l’(ex) socia Parsons poté aggiudicarsi senza ulteriori polemiche il bando PMC.
Restano però intatte le ambigue trame tra controllori e controllati all’ombra del Ponte. Il gruppo statunitense ha ricoperto accanto a Steinman International, il ruolo di advisor per l’approfondimento degli aspetti tecnici del progetto di massima della mega-opera tra Scilla e Cariddi; inoltre, la casa madre “Parsons” era entrata in un primo tempo a fianco di Impregilo nell’ATI che si è poi aggiudicata i lavori. Dalla fine del 2000, Impregilo e Parsons Trasnsportation Group risultano pure partner nella realizzazione del megatunnel ferroviario che attraversa la città di Seattle (USA). Gli ingegneri di Steinman International e di Parsons Transportation hanno pure lavorato alla progettazione del Ponte di Storebealt, congiuntamente allo studio Cowi. E il gruppo danese contrattato da Impregilo per l’EcoMostro di Messina rientra pure nell’elenco dei progettisti dello Stonecutters Bridge di Hong Kong, accanto a John Cadei, membro della commissione che ha assegnato il PMC del Ponte al gruppo Parsons. L’ennesimo valzer tra i soliti “ignoti” al banchetto di gala in scena sullo Stretto.

Commenti

  1. C'è una parola da correggere: Nippon Steel, non "Steal"!
    Saluti da Giuliano

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