Giulio Regeni. Sei anni senza verità e giustizia
Il Cairo, 25 gennaio 2016. La megalopoli è
ipermilitarizzata, agenti di polizia e soldati sono ovunque, armati. L’ordine è
reprimere in ogni modo eventuali manifestazioni contro il regime del dittatore
Al-Sisi. E’ il quinto anniversario della rivoluzione
egiziana mancata, quella dell’occupazione di Piazza Tahir da parte di centinaia
di migliaia di studenti, lavoratori e disoccupati che 17 giorni dopo avrebbe
costretto alle dimissioni il generale Hosmi Mubarak, alla Presidenza della
Repubblica d’Egitto da oltre trent’anni. Al Cairo è giunto un giovane e
brillante ricercatore italiano, Giulio Regeni. Ha ottenuto un dottorato presso
l’Università di Cambridge; oggetto della ricerca i sindacati indipendenti egiziani. Il 25 gennaio sparirà nel nulla
all’uscita di una stazione della metropolitana. Il corpo di Giulio, seviziato, verrà
rinvenuto il 3 febbraio lungo la strada Cairo-Alessandria, in un
luogo desertico alla periferia della capitale. A pochi chilometri di distanza
c’è una caserma delle forze di sicurezza.
Gli inquirenti non hanno dubbi: si è trattato di un
incidente stradale. Dopo un paio di giorni però si ricredono. E’ stato un
delitto. L’italiano è stato ucciso durante una rapina o, forse, per motivi personali, una presunta relazione
omosessuale o il consumo di stupefacenti. L’1 marzo 2016 una lacunosa relazione
delle autorità forensi egiziane attesterà che Giulio è stato torturato per
sette giorni a intervalli di 10-14 ore
e infine ucciso una decina di ore prima del ritrovamento del corpo. La danza macabra
delle false piste non si arresterà neanche di fronte i rilievi raccolti dagli
inquirenti italiani, sfacciatamente boicottati ed ostacolati dai “colleghi”
egiziani. Non verranno forniti i tabulati telefonici di
interesse nei giorni della scomparsa per “non violare la normativa egiziana
sulla privacy”, né le riprese video della stazione della metropolitana dove il
ricercatore era stato visto l’ultima volta perché incredibilmente
“cancellate”. O manomesse come
ipotizza la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’omicidio Regeni
(presidente l’on. Erasmo Palazzotto), che nella relazione finale annota che “nell’immediatezza
dell’evento, gli egiziani avevano dichiarato di aver visionato i video pur non avendo
riconosciuto il giovane”. (1)
Nonostante i muri di gomma, i depistaggi e le verità di comodo delle autorità del
Cairo, la Procura della Repubblica di Roma riuscirà a dare un’identità ai
presunti responsabili della morte di Giulio e a ipotizzarne il movente. Dopo
l’iscrizione (dicembre 2018) nel registro delle notizie di reato di cinque alti
ufficiali del Dipartimento di Sicurezza Nazionale e dell’Ufficio
investigativo, il 20 gennaio 2021 è depositata la richiesta di rinvio a
giudizio per quattro di essi: il generale Sabir Tariq; i colonnelli Mohamed Ibrahim Athar Kamel e Helmi Uhsam; il
maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Sequestro di persona pluriaggravato, concorso in
lesioni personali gravissime e omicidio, le accuse. “A
seguito della denuncia presentata negli uffici della National Security, da Said
Mohamed Abdallah, rappresentante del sindacato indipendente dei venditori
ambulanti de il Cairo ovest, dopo avere osservato e controllato, direttamente
ed indirettamente, dall’autunno del 2015 alla sera del 25 gennaio 2016, Giulio
Regeni, gli indagati, abusando delle loro qualità di Pubblici ufficiali, lo
bloccavano all’interno della metropolitana e, dopo averlo condotto dapprima
presso il Commissariato di Dokki e successivamente presso un edificio a
Lazoughly, lo privavano della libertà personale per nove giorni”, scrivono i
magistrati della Procura romana. I quattro ufficiali, in concorso con soggetti
allo stato non identificati, sono accusati pure di aver torturato il
ricercatore sino a causarne la morte.
Il procedimento ha però
assunto l’aspetto di una vera e propria gara ad ostacoli riservando colpi di
scena e ulteriori e ingiuste sofferenze ai genitori della vittima, Claudio
Regeni e Paola Deffendi. L’udienza preliminare, inizialmente programmata per il
29 aprile 2021, è stata aggiornata per dell’indisposizione di uno dei difensori.
Il successivo 25 maggio il GUP si è pronunciato favorevolmente contro gli
imputati, fissando il processo per il 14 ottobre. Come non detto: all’udienza i
giudici hanno disposto l’annullamento del decreto di rinvio a giudizio in
quanto i quattro ufficiali risultano ancora “irreperibili” perché la
magistratura egiziana non ha fornito gli indirizzi dove risiedono, né ha
concesso ai magistrati italiani di presenziare ai loro interrogatori nonostante
la rogatoria inoltrata il 5 maggio 2019. Il fascicolo è tornato al GUP: nel
corso dell’udienza del 10 gennaio 2022 è stato affidato al Ros dei Carabinieri il compito di individuare gli indagati per
la notifica degli atti. Ci si rivedrà in tribunale l’11 aprile per verificare l’esito degli
accertamenti disposti.
“Giulio Regeni è finito
nell’orbita dell’attenzione di uno Stato che, dall’inizio del 2021, ha
condannato alla pena capitale 51 persone, dopo le oltre 100 condanne a morte
del 2020 e dove, in attesa di giudizio, ci sono decine e decine di detenuti, tra
i quali il cittadino egiziano Patrick Zaki, iscritto al Master in Studi di
Genere presso l’Università Alma Mater di Bologna, che dopo la lunga
carcerazione dovrà rispondere del reato di istigazione
al rovesciamento del governo e della Costituzione per alcuni post
pubblicati nella propria pagina Facebook”, annota amaramente la Commissione
parlamentare d’inchiesta. Crimini e violazioni dei diritti umani sono pane
quotidiano nell’Egitto di Al-Sisi. La polizia e le forze armate si sono
macchiate di efferati delitti. Secondo la
Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf) con sede al Cairo, tra
il 2015 e il 2020 sono stati accertati 2.723 casi di sparizioni forzate (2).
Nonostante i tragici report periodici di Amnesty International e Human Rights
Watch, nessuno partner occidentale ha mai alzato la voce contro il governo
egiziano, fedele alleato nella lotta al “terrorismo internazionale” in un’area,
quella del Mediterraneo orientale e del Canale di Suez, di incomparabile
rilevanza geostrategica.
“Pur conservando l’ingente sostegno
annuale statunitense di circa 3 miliardi di dollari per le Forze Armate
egiziane introdotto e mai abrogato a partire dall’accordo di pace sancito tra
Egitto e Israele nel 1979, il nuovo regime, appena insediatosi nel 2013, ha
potuto anche contare sull’ingente supporto economico di Emirati Arabi Uniti e
Arabia Saudita che nel solo 2013 gli offrirono circa 8 miliardi di dollari in
aiuti”, ricorda la Commissione guidata dall’on. Palazzotto. “Tale supporto,
oltre a stabilizzare il regime, ha inoltre giocato un ruolo cruciale nel
permettere alla leadership egiziana di ignorare sostanzialmente le critiche
occidentali alla rimozione del presidente eletto Morsi e alla severa
repressione ai danni della Fratellanza musulmana seguita al golpe. L’appoggio
ad Al-Sisi di sauditi ed emiratini si inquadra nella volontà di queste due
potenze regionali di contrastare l’ascesa dell’influenza di Turchia e Qatar
nella regione, divenute, soprattutto a seguito dei moti del 2011, i due
principali sponsor delle diramazioni locali della Fratellanza”.
Ovviamente pure l’Italia si
è guardata bene a non irritare le autorità egiziane, nonostante le gravi
responsabilità nell’omicidio Regeni. La scelta di tutti i governi è stata
quella del doppio binario: da una parte, sotto la crescente pressione
dell’opinione pubblica che invoca verità e giustizia, è stata chiesta piena
collaborazione alle indagini; dall’altra, però, sono stati tenuti aperti i
canali di interscambio politico, economico e militare. “A partire dal 2018, le
relazioni bilaterali tra i due Paesi hanno subito una nuova evoluzione
iniziando un lento processo di normalizzazione testimoniato dalla ripresa di
visite ad alto livello che hanno ingenerato un equivoco destinato a segnare una
soluzione di continuità gravida di conseguenze per gli sviluppi del caso Regeni”,
lamenta la Commissione d’inchiesta. Nonostante il crollo dei flussi turistici,
i dati forniti dall’Istituto per il commercio estero evidenziano che la lieve
flessione delle esportazioni italiane nel biennio 2018-19 è già “ampiamente
rientrata” nel 2020 nonostante la crisi pandemica. E nei primi sette mesi del
2021 si è registrato un aumento del 62% delle esportazioni e del 12% delle
importazioni rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
A determinare la necessità
di mantenere stabili le relazioni con l’Egitto, l’interesse per le sue fonti
energetiche e la sua dirompente domanda di sistemi d’arma. “L’ENI gioca un
ruolo da protagonista nell’economia egiziana, a partire dall’approvvigionamento
energetico garantito dal giacimento di gas naturale di Zohr”, scrive la
Commissione, ricordando come il 14 gennaio 2019 ha preso il via al Cairo l’Eastern Mediterranean Gas Forum, promotori
Egitto, Israele, Cipro, Italia, Grecia, Giordania e Autorità Nazionale
Palestinese, per coordinare le politiche energetiche nel Mediterraneo orientale
a partire dallo sfruttamento degli idrocarburi e degli impianti di
rigassificazione (GNL) sulla costa egiziana. Nell’ultimo anno e mezzo l’amministratore delegato di ENI, Claudio Descalzi,
si è recato tre volte al Cairo per incontrare personalmente Al-Sisi. Gli esiti sono stati
lusinghieri. Il 15 giugno 2021 il gruppo italiano ha firmato con l’Egyptian General Petroleum Corporation (EGPC)
un accordo che estende sino al 2036 le concessioni di gas nelle aree di Meleiha
e Meleiha Deep, nel deserto occidentale egiziano. Una ventina di giorni dopo
l’ENI ha concordato con altre due compagnie statali di verificare
la fattibilità di produrre idrogeno in Egitto. (3)
Alla vigilia di Natale c’è stato infine l’accordo tra ENI ed EGPC per una
campagna esplorativa petrolifera nel Golfo di Suez e nel Delta del Nilo con
investimenti “non inferiori ad un miliardo di dollari”. (4)
Anche l’esportazione dei
sistemi d’arma all’Egitto è stato oggetto di approfondimento da parte della
Commissione Parlamentare d’inchiesta sull’omicidio Regeni. “Già all’indomani
del colpo di Stato dell’estate 2013 che avrebbe portato al potere il generale
Al-Sisi, l’Italia si era uniformata alle indicazioni del Consiglio dei ministri
degli esteri dell’UE volte a limitare le esportazioni di armi leggere
utilizzabili a scopi repressivi”, ricorda la Commissione. “Negli anni
immediatamente successivi alla morte di Giulio Regeni, le esportazioni in
genere si riducono significativamente; negli ultimi anni invece, anche in sintonia
con l’evoluzione in sede europea, l’Italia ha ripreso ad esportare armamenti
verso l’Egitto in modo rilevante come mostrano le ultime relazioni al
Parlamento (2019-2020)”. Dati alla mano, mentre nel biennio 2016-17 il valore
della armi esportate si era ridotto a 7 milioni di euro rispetto ai 37 milioni del
2015, nel 2018 l’export si è attestato a 69 milioni (in massima parte radar di
avvistamento terrestre), per esplodere nei due anni successivi: 871 milioni nel
2019 e 991 milioni nel 2020, collocando così l’Egitto al primo posto dei paesi
destinatari delle esportazioni italiane di sistemi di guerra.
A contribuire al boom del 2020
la vendita alla Marina di due fregate
multimissione FREMM (classe Bergamini),
ammodernate ed equipaggiate nel cantiere navale
di Muggiano-La Spezia da Fincantieri S.p.A., gruppo controllato
per il 71,6% dalla Cassa Depositi e Prestiti. Le unità, consegnate lo scorso anno, hanno una lunghezza di 144 metri,
possono raggiungere una velocità di 27 nodi e un’autonomia di crociera massima
di 6.800 miglia e sono armate “con i più moderni sistemi da combattimento
globale e tecnologici”, come spiegano i manager di Fincantieri: cannoni
Leonardo da 127/64 mm e Super Rapido da 76/62 mm, missili superficie-aria MBDA
SAAM ed Aster, ecc.. Operazione inconsueta ed eccezionale
quella del trasferimento delle due unità all’Egitto. “Il 7 giugno 2020 una
telefonata del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte al Presidente Al-Sisi
mette al centro i temi della stabilità regionale, con particolare riferimento
alla necessità di un rapido cessate il
fuoco e ritorno al tavolo negoziale in Libia”, annota la Commissione
d’inchiesta. “Pochi giorni prima, il 28 maggio, era stata trattata in Consiglio
dei ministri un’informativa relativa alla vendita delle FREMM. Quel Consiglio
dei ministri aveva iniziato la discussione per poi aggiornarsi sul tema all’11
giugno successivo, preliminarmente al rilascio dell’autorizzazione da parte
dell’UAMA (l’Autorità nazionale per il controllo sull’esportazione di armi, nda)”. Ad agosto arrivava l’Ok
definitivo del Governo.
Al Cairo si muoveva invece l’ambasciatore
Giampaolo Cantini. Come riferito dalle autorità
egiziane nel settembre 2020 il diplomatico s’incontrava con il ministro per la
Produzione militare Mohamed Ahmed Morsi per favorire la cooperazione con le
industrie italiane. “Nel corso dell’incontro un invito è stato anche rivolto
alle delegazioni tecniche italiane a visitare le aziende di produzione militare
egiziane per conoscere le capacità tecnologiche e umane e favorire la
collaborazione per la produzione di attrezzature, software, ecc.”, aggiunge il
governo egiziano. L’appello era colto al volo soprattutto da Fincantieri e Leonardo
SpA con la sponsorizzazione di EDEX -
Egypt Defence Expo, l’esposizione internazionale delle industrie
di guerra prevista inizialmente al Cairo nel febbraio 2021 e rinviata per la
pandemia a fine novembre. Della kermesse, inaugurata da Al-Sisi, Fincantieri
è stata Headline Sponsor forse con la
speranza di chiudere la trattativa per la fornitura di altre
quattro fregate e di una ventina di pattugliatori d’altura. Leonardo, holding in
mano per il 39% al Ministero dell’Economia e delle finanze, si è presentata ad EDEX reduce della maxi-commessa di
871,7 milioni di euro per la fornitura di 32 elicotteri da trasporto e combattimento alle forze
armate egiziane. Attraverso la partecipata MBDA, Leonardo ha pure venduto all’Egitto
numerosi missili superficie-aria VL-MICA per la Marina e i missili a lungo
raggio SCALP per i cacciabombardieri dell’Aeronautica. (5)
A EDEX 2021 c’erano anche altre importanti
realtà industriali come la Federazione delle Aziende
Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza (AIAD), Elettronica
S.p.A., Intermarine e
IVECO Defence Vehicles. Quest’ultima, con sede a Bolzano, produce carri armati
e veicoli blindati, e nel 2018 avrebbe consegnato agli egiziani alcuni mezzi MUV
4×2 per il trasporto di personale militare. Qualche mese prima della commessa,
un rapporto di Amnesty International sulle armi francesi
utilizzate dalla polizia egiziana aveva denunciato che il 27 luglio 2013, contro
i lavoratori e gli studenti che manifestavano all’Al-Azhar
University del Cairo, i
reparti delle forze speciali avevano impiegato mezzi da trasporto e veicoli
leggeri di produzione IVECO. L’uso di
blindati di produzione italiana da parte della polizia per reprimere le manifestazioni popolari
del giugno 2018 è stato documentato dalla Lega francese per i
Diritti Umani, dall’Observatoire des armements e
dall’Istituto del Cairo di Studi sui Diritti Umani pure. Alla
fiera delle armi non poteva mancare una delle maggiori produttrici al mondo di
armi da fuoco leggere, la Fabbrica d’Armi Pietro Beretta S.p.A. di
Gardone Val Trompia (Brescia), fornitrice di pistole e fucili per le forze
armate e di polizia egiziane. Secondo l’Osservatorio permanente sulle armi
leggere OPAL di Brescia, solo nel 2014
il governo italiano ha autorizzato la vendita al Cairo di oltre 30 mila pistole, soprattutto del
modello “Beretta 92FS”. “Per
anni l’Italia è stato l’unico paese dell’Unione europea che, dalla presa del
potere del generale Al-Sisi, ha inviato armi utilizzabili per la repressione
interna”, ha commentato il ricercatore Giorgio Beretta. (6)
Capitolo
a parte quello delle relazioni tra le forze armate italiane e quelle egiziane. Ascoltato
dalla Commissione d’inchiesta sul caso Regeni, il ministro Lorenzo Guerini ha inteso
precisare che lo Stato Maggiore della difesa “ha provveduto a rarefare” le
visite, gli scambi di personale e le attività addestrative congiunte con
l’Egitto, “escludendo, già a partire dal 2017, quelle di potenziale attenzione
mediatica soprattutto per la controparte, quelle di alto valore operativo con
il coinvolgimento di assetti pregiati, intelligence e forze
speciali…”. Il supposto raffreddamento
è smentito però dalle note emesse dalle autorità militari. Nel settembre 2018, ad
esempio, mezzi e reparti dell’Esercito italiano sono stati impegnati in una
complessa esercitazione aeronavale e terrestre nell’Egitto nord-occidentale (Bright Star), accanto alle forze armate
egiziane e USA e di quelle di due imbarazzanti partner mediorientali, l’Arabia
Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, impegnati allora come adesso a bombardare la
popolazione civile in Yemen. Tre mesi più tardi unità navali di
Egitto, Regno Unito ed Italia (la fregata missilistica Carabiniere specializzata nella lotta anti-sommergibile) hanno
condotto un’esercitazione in acque nazionali egiziane. Secondo lo
Stato Maggiore del Cairo osservatori
militari italiani hanno presenziato all’esercitazione aero-navale Medusa tenutasi nel Mediterraneo nel
dicembre 2020, presenti Egitto, Grecia, Francia e Cipro.
Il 20 maggio 2021 due fregate, l’egiziana “Al-Galala” e la “Carlo Margottini” della Marina
italiana hanno preso parte ad un’esercitazione a largo della città di
Alessandria. “Le unità hanno affrontato un rapido avvicinamento con lanci di
trappole esplosive e hanno effettuato un’operazione d’intercettazione marittima
su una nave sospetta”, scrive lo Stato Maggiore italiano. L’addestramento ha coinciso
con la prima uscita operativa della nave egiziana della classe FREMM consegnata
da Fincantieri a fine 2020. Dal 16 al 28 maggio 2021, nel Canale di Sicilia, unità
da guerra di Italia ed Egitto sono state impegnate con altri 11 paesi
nell’esercitazione Phoenix Express,
sotto la direzione di US Africom, il comando per le operazioni delle forze
armate USA nel continente africano, e del comando delle forze navali Usa in
Europa e Africa di stanza a Napoli. (7) Ufficiali
dell’Esercito hanno partecipato invece all’edizione 2021 di Bright Star (2-17 settembre), svoltasi
ancora una volta nella regione nord-occidentale dell’Egitto, insieme alle forze
armate di Stati Uniti, Arabia Saudita,
Emirati Arabi; Bahrain, Iraq, Kuwait, Giordania, Pakistan, Sudan, Marocco,
Tunisia, Kenya, Nigeria, Tanzania, Cipro, Francia, Grecia, Regno Unito e Spagna.
C’è un ultimo aspetto che
evidenzia forse più di petrolio, armi e war games certa ipocrisia delle classi
dirigenti italiane in tema di difesa dei diritti umani e del diritto
internazionale: il rimpatrio forzato e la loro consegna alle forze di polizia del
Cairo di centinaia di cittadini egiziani, “immigrati illegali” in Italia dopo la
fuga dalle repressioni e dallo stato di miseria prodotto dalle dissennate
politiche economiche del regime Al-Sisi. Dalle delibere emesse dalla Direzione
centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero
dell’Interno, è possibile accertare che nel periodo compreso tra metà marzo e
fine agosto 2021 sono stati effettuati nove voli di “riammissione” di egiziani
destinatari di provvedimenti di espulsione, con un u evidente dispendio di
risorse finanziarie e umane, 652.290 euro per le spese di noleggio degli aerei
e un migliaio di agenti per le operazioni di vigilanza e accompagnamento. (8)
Le inaccettabili procedure del Viminale sono state
stigmatizzate da Mauro Palma, Garante nazionale delle persone private di
libertà, in una recente intervista. “Sono
252 i cittadini egiziani rimpatriati al 15 settembre del 2021 e l’Egitto figura
come terza destinazione per ordine di grandezza dopo Tunisia e Albania”, ha
dichiarato Palma. “I rimpatri in Egitto sono stati 748 dal 2018 al 2020, così stiamo
parlando di mille persone, in meno di quattro anni”. (9) Nel
2018 il Garante aveva espresso in una relazione al Parlamento forti perplessità sull’opportunità di
organizzare voli di rimpatrio forzato verso Paesi che come l’Egitto non hanno
istituito un organismo nazionale di prevenzione della tortura o di altri trattamenti
degradanti, e/o che non hanno firmato il Protocollo OPCAT alla Convenzione contro la tortura adottato
dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 2002. Sono trascorsi poco più di tre anni e siamo di
fronte ad un’escalation di espulsioni e “riammissioni” di persone che rischiamo
di finire nei giorni danteschi delle carceri egiziane. L’ultima deportazione
risale allo scorso 9 ottobre: con un volo da Roma Fiumicino al
Cairo, previo scalo a Bari Palese, sono stati deportati “circa 20/40” migranti egiziani
“scortati da 80/110 operatori di polizia”. Costo del noleggio dell’aereo 90.400
euro. E pagano sempre e solo i contribuenti italiani.
Note
(1) La Relazione della Commissione
Parlamentare di Inchiesta sulla morte di Giulio Regeni può essere scaricata
da https://www.questionegiustizia.it/data/doc/3079/commissione-parlamentare-giulio-regeni.pdf
(2) https://www.ec-rf.net/3509/
(4) https://www.agoravox.it/Eni-ed-Egitto-nuovo-accordo-da.html
(7) http://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2021/05/fregata-italiana-in-egitto-per-i-giochi.html.
Articolo pubblicato in Pagine Esteri il 25 gennaio 2022, https://pagineesteri.it/2022/01/25/primo-piano/giulio-regeni-sei-anni-senza-verita/?fbclid=IwAR3GslD-YqinofU-5KM-GqxiY4ByiONzXE5Mv3f5fpzfQC6C8QRMMGqEdVA
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