Messina, l’Operazione antimafia Beta e la ferrea legge del cemento
Nuove
verbalizzazioni con nomi “pesanti” quelle rese ai magistrati della Direzione
Distrettuale Antimafia di Messina dal costruttore Biagio Grasso,
neocollaboratore di giustizia e imputato chiave del procedimento Beta sugli affari economici e finanziari
della “famiglia” Romeo-Santapaola. Gli inquirenti hanno depositato al processo apertosi
lo scorso 7 giugno, la trascrizione dell’interrogatorio del 2 febbraio 2018,
quando Biagio Grasso fu invitato a riferire quanto di lui a conoscenza su
alcune operazioni immobiliari in corso a Messina, protagonisti alcuni noti operatori
locali.
“Nulla
so in ordine a recenti operazioni in città da parte degli imprenditori Vincenzo
Vinciullo a Antonino Fiorino”, esordisce Grasso. “Posso soltanto dire che i
lavori di movimento terra del complesso immobiliare della zona ex Macina
saranno effettuati da Giuseppe Mancuso, Daniele Mancuso o aziende a loro
collegate. Tutto il movimento terra riguardante i cantieri di Vinciullo viene
effettuato da Daniele Mancuso. So che il Vinciullo ha un’operazione a Torrente
Trapani. Io e Vincenzo Romeo gli abbiamo proposto di acquisire altra operazione
riguardante la Residenza Immobiliare Srl di Torrente Trapani alto. La
circostanza relativa alla realizzazione
dei lavori di demolizione e ricostruzione nell’area ex Macina da parte di
Daniele Mancuso mi è stata riferita dallo stesso, quando io e Romeo abbiamo
proposto la cessione a Vinciullo di nostre operazioni immobiliari; lui infatti
ci disse che il Vinciullo aveva già in corso di realizzazione molti altri
progetti edilizi… Mancuso del resto faceva lavori anche per conto nostro su
segnalazione di Vincenzo Romeo”.
Un
vero e proprio signore dell’acciaio e del
cemento, Vincenzo Vinciullo. Egli risulta amministratore unico, titolare e
socio di numerose aziende di costruzioni e di import-export di prodotti
siderurgici (Vinci Immobiliare; Rio Verde; Sole Mare; Residence Villa Dante;
Marina di Vulcano; Edil Faro; Maré Costruzioni; Edileg; Dott. Enzo Vinciullo
& C; Idea 2000; Immobiliare 4V srl; Archimede Residence). Le imprese di Vinciullo
hanno realizzato di tutto e di più da una parte all’altra della città: villette
a schiera in riva al mare in località
Rodia; residence di lusso in località Margi, Torre Faro; i palazzoni “Manzoni”
in pieno centro, “San Michele” sullo svincolo di Giostra e “Villa Nunzia” nel
Viale Regina Margherita; il grande e brutto residence “Archimede” a due passi
dall’ingresso autostradale di Boccetta; i complessi “I Gabbiani” sulla Panoramica e “Marè”
a Santa Margherita, ecc.. L’ultimo “gioiello” è “La Nuova Macina”, proprio
il complesso edilizio menzionato dal collaboratore Biagio Grasso: villette con
giardino, locali commerciali e ampi parcheggi di fronte al Lago Grande di
Ganzirri, nell’area che ha ospitato per decenni uno dei ritrovi più “cari” ai
messinesi (ristobar, pizzeria, discoteca, ecc.). Una forza costruttrice
inarrestabile quella di Vinciullo; solo una volta, nel 2012, gli fu soffiato in
extremis l’affaire degli ex “Magazzini
generali” nella centralissima via Vittorio Emanuele, zona porto, che
l’Amministrazione Comunale intendeva cedergli nonostante fosse gravata dal pignoramento
di alcuni creditori dell’ente locale.
Pur
dichiarando di sconoscere la portata degli affari imprenditoriali di Vincenzo
Vinciullo, il costruttore-collaboratore Biagio Grasso ha ammesso di averlo conosciuto
personalmente. “Vorrei riferire di un episodio raccontatomi da Vincenzo Romeo
che riguarda un omicidio commesso da Aldo Ercolano, cugino del Romeo, durante
un pranzo al quale era presente anche l’imprenditore messinese Vincenzo
Vinciullo e nel corso del quale si discusse di affari che riguardavano un’acciaieria
di nome Megara che successivamente si è trasformata in altra denominazione
sociale”, ha verbalizzato Grasso nell’interrogatorio condotto dai magistrati
antimafia peloritani, il 10 gennaio 2018. “Il Romeo mi raccontò questo episodio
per dirmi che il Vinciullo sapeva perfettamente lo spessore criminale della
famiglia Romeo-Santapaola e che non avrebbe certamente rifiutato la proposta
che noi volevamo fargli di acquisire alcune operazioni che eravamo intenzionati
a cedere, tra cui quella relativa a Fondo Fucile, la cubatura di Torrente
Trapani e Viale Italia. Infatti io ed il Romeo ci recammo presso
l’abitazione-ufficio del Vinciullo sita nei pressi della Panoramica a Messina,
unitamente a Gianni Doddis, quest’ultimo cognato di Daniele Mancuso e vicino al
clan Romeo. Voglio precisare che il Doddis mi fece presente di essere capo
elettore per la zona di Gravitelli di Emilia Barrile, Presidente del Consiglio
comunale di Messina. Al Vinciullo abbiamo proposto di acquistare le operazioni
sopra riferite ma lui si è riservato di valutare. Mi risulta che il Vinciullo
sia anche agente generale per la zona di Messina di una acciaieria di Catania,
credo si tratti di Acciaierie Siciliane, per il quale riceve una percentuale”.
Secondo
il collaboratore, dunque, il gruppo criminale di riferimento, quello dei
Romeo-Santapaola, avrebbe tentato di trasferire al Vinciullo una parte
consistente dei propri investimenti immobiliari, in particolare quelli relativi
agli alloggi di Fondo Fucile destinati all’Amministrazione comunale di Messina
nell’ambito del progetto di risanamento dell’area e il trasferimento delle
cubature di alcuni insediamenti abitativi dal Torrente Trapani, ad alto rischio
idrogeologico, a un’ex area industriale della centrale via Salandra, progetto
da cui si sperava di ottenere notevoli profitti finanziari.
L’intenzione di Biagio
Grasso e Vincenzo Romeo di coinvolgere nei propri affari il potente signore
dell’acciaio e del cemento era emersa nel corso di alcune intercettazioni
ambientali del novembre 2014 (va comunque rilevato che Vinciullo non risulta
tra gli indagati dell’Operazione Beta).
Come riportano i Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale (ROS) di
Messina nella loro informativa di reato del 7 settembre 2015 e da cui è
scaturita l’operazione antimafia Beta,
“nelle conversazioni intercettate tra gli indagati il 20 novembre, ulteriori
ansie, venivano esternate dal Romeo per la mancata monetizzazione degli
investimenti in corso, che determinava una concreta difficoltà a poter
contribuire alle contingenti esigenze economiche della famiglia Ercolano colpita
da cospicui sequestri patrimoniali”. Nella stessa giornata, infatti, alcuni
esponenti del clan Ercolano-Santapaola erano stati arrestati nell’ambito dell’Operazione Caronte della DDA di Catania
sull’infiltrazione criminale nel settore della navigazione marittima e delle
cosiddette “autostrade del mare”. “Romeo e Grasso discutevano dell’eventualità
di vendere a terzi le iniziative imprenditoriali in atto, tra le quali quella
per la realizzazione di molti appartamenti a Messina, precisamente in località Fondo
Fucile”, annota il ROS. Il costruttore di origini milazzesi, in particolare,
era stato intercettato mentre chiedeva a Romeo se era riuscito “ad avere con
Vinciullo l’appuntamento diretto di faccia con lui”. “Sì, io con lui
l’appuntamento ce l’ho per dire ci sono
pure i pro e i contro... perché lui quando vado io sanno io sono questo, hai capito? E già
minchia dice come mai? Poi già domani
esce un giornale, tanto, dice allora per dire è indagato…”, rispondeva Romeo. “Devi stare attento per questa cosa,
perché appena domani vado, parliamoci chiaro, fanno quel ragionamento…. Certo,
ammettiamo, domani lo chiamo, dice minchia vuoi vedere ah ... siccome lo sanno…”.
Il senso di quelle parole viene
chiarito nel corso della conversazione del giorno successivo, quando Grasso e
Romeo si soffermano ancora sul
procedimento penale che aveva visto coinvolto il mafioso catanese Vincenzo
Ercolano. “Romeo
rappresentava a Grasso di non temere le conseguenze di un’eventuale
carcerazione bensì il fatto di non essere nelle condizioni, in quel particolare
momento storico, di garantire particolari ricchezze alla propria famiglia nel
caso in cui ciò fosse avvenuto, a causa dello stallo del momento a tutti gli
investimenti effettuati con il complice (ed in merito sottolineava di non aver
fortunatamente investito denaro proveniente dalla cassa della famiglia mafiosa
di Catania)”, riportano gli inquirenti. “Tu mi credi io questa mattina non sono
andato a cercare a nessuno per non sbagliare niente, per evitare io non ci sono
andato da Vinciullo”, riferiva Romeo. “Perché io da Vinciullo potevo andarci oggi
... in qualunque veste anche se c’ho il morto dentro ci rido ... se gli devo
piangere gli piango .... però in base alle situazioni io sono arrivato in un
momento per dire io... Biagio... non mi sta più bene ... non perché per dire
tipo ho buttato la spugna…”.
“Romeo
appariva estremamente spaventato dall’eventualità di un suo imminente arresto,
che qualora si fosse verificato, gli avrebbe precluso la possibilità di
sostenere la sua famiglia con le
attività illecite gestite fino a quel momento”, spiega il ROS dei Carabinieri. “Ed
anche la possibilità di interloquire con altri affermati imprenditori edili
locali, che in altri momenti avrebbero potuto accondiscendere alle richieste
del sodalizio operando in sua vece attraverso credenziali societarie pulite, erano in quel periodo di forte
pressione investigativa in grosse difficoltà per dare ausilio senza correre il
rischio di rimanere, a loro volta, coinvolti nelle maglie della rete
giudiziaria”.
L’ipotesi
del sodalizio criminale di proporre l’affare al costruttore Vinciullo veniva così
rinviata a tempi migliori. “In proposito, il Romeo sottolineava di poter
contare in qualsiasi momento della collaborazione di tale imprenditore ma di
non volerne approfittare per evitare di creargli difficoltà nel caso in cui
fosse stata eseguita una misura cautelare patrimoniale nei suoi confronti”,
aggiunge il ROS. “E’ necessario a questo punto un
breve approfondimento idoneo a comprendere che le indicazioni fornite dal
rappresentate della diramazione messinese di Cosa Nostra catanese riguardo alla disponibilità dell’imprenditore
Vinciullo, collimano con i datati esiti delle attività investigative realizzate
in Sicilia da diverse articolazioni del ROS confluite nell’attività
investigativa denominata Sfinge-Grande
Oriente, inerenti alla ricostruzione delle dinamiche associative che
avevano caratterizzato l’articolazione nissena di Cosa Nostra nel periodo successivo alla cattura del rappresentante
provinciale Madonia Giuseppe, nonché i rapporti tra la predetta consorteria, il
vertice del governo regionale di Cosa Nostra
(rappresentato, dopo la cattura di Salvatore Riina e Leoluca Bagarella, da
Bernardo Provenzano) e le analoghe strutture esistenti nelle altre province
siciliane. Tale attività, che aveva investito le Procure Distrettuali Antimafia
di Caltanissetta, Catania, Messina e Palermo si era avvalsa anche degli esiti
del rapporto di natura confidenziale
intercorso tra il colonnello dei carabinieri Michele Riccio, già in servizio
presso il ROS di Genova, e Luigi Ilardo, cugino di Giuseppe Madonia, a sua
volta già condannato per il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso,
con l’accusa di essere il rappresentante provinciale dell’articolazione nissena
di Cosa Nostra, fino alla sua morte
(avvenuta in data 10 maggio 1996)”.
Proprio nell’ambito del “rapporto confidenziale” intercorso tra
l’ufficiale dell’Arma e il mafioso nisseno, quest’ultimo aveva esibito diverse
missive utilizzate nel 1994 per comunicare direttamente con il superlatitante
Bernardo Provenzano, “tra le quali alcune attinenti alla regolamentazione dei
pagamenti delle estorsioni a Cosa Nostra
da parte della ditta Acciaierie Megara di Catania; controversie che avevano
coinvolto diverse persone quali Domenico Vaccaro, Francesco Tusa, Nicolò Greco,
Leonardo Greco e Vincenzo Vinciullo, gestore di fatto dell’azienda - ed in relazione alle quali Ilardo
aveva richiesto l’intervento di Provenzano”.
Nella
lettera del luglio 1994, il boss di Corleone aveva risposto
di essere “intervenuto personalmente per dirimere la controversia; che a tal
fine ne aveva parlato con Francesco Tusa dal quale aveva appreso che il di lui
suocero, Greco Leonardo, aveva definito personalmente la questione,
discutendone dapprima con l’interessato, Vincenzo Vinciullo, gestore di fatto
dell’azienda, e poi con la famiglia di
Catania; di
avere parlato inoltre, su richiesta del Tusa Francesco, con il fratello del di
lui suocero, Greco Nicolò, il quale aveva raccolto le lamentele del Vinciullo.
Questi aveva manifestato la sua disponibilità a liquidare le pendenze pregresse con una somma forfettaria ed a riprendere per
il futuro i pagamenti, a condizione che gli fosse indicata una persona di
riferimento a Catania”.
“Alla luce di quanto sopra – concludono i ROS di Messina
nell’informativa Beta - pare
estremamente interessante che il predetto, a distanza di più di vent’anni,
venisse nuovamente preso in considerazione per risolvere alcune problematiche
connesse alla gestione degli investimenti imprenditoriali riservati da un rappresentante della medesima organizzazione
criminale che in accordo con Provenzano Bernardo aveva mediato a metà degli
anni ’90 il pagamento di ingenti somme di denaro a titolo estorsivo a Cosa
Nostra”.
Prima di Biagio Grasso c’era
già stato un altro importante costruttore peloritano a soffermarsi sulla figura
del Vinciullo, Antonino Giuliano, anch’egli “collaboratore” di giustizia dopo
l’arresto per le contestate contiguità con Michelangelo Alfano, l’imprenditore
originario di Bagheria, vicino a Leonardo Greco, per decenni rappresentante di
Cosa nostra a Messina. Il 23 marzo 2006, deponendo a un processo in corso a
Catania, Antonino Giuliano ammise di conoscere “molto bene” il Vinciullo.
“Veniva in ufficio da me, eravamo assieme sempre, alla villa a Rometta più
avanti di quella di Michelangelo Alfano”, esordì il costruttore. “Vinciullo
aveva rapporti con Alfano per lavori e si mettevano d’accordo come era la
prassi là a Messina. Non si bisticciavano, però alla fine la parola era sempre
quella di Alfano. Non è che Vinciullo può fare 30 appartamenti e si può guadagnare,
i soldi sempre di Alfano uscivano. Vinciullo, insomma, costruiva con i soldi di
Alfano (…) Vinciullo conosceva il
costruttore Giostra perché facevano lavori. A Messina tutte le grosse imprese
sono questi qua, Vinciullo, Giostra, Pergolizzi, i lavori cioè se li dividevano
loro. Perciò io che lavoravo in subappalto, per forza li devo conoscere. Anche perché
ci sono le carte di Vinciullo, di cose che mi dava, i preventivi, e anche lui
voleva fare una società con me e alla fine il mio avvocato mi disse non la fare, perché questo appena ti capita
nelle mani, che tu sei più piccolo di lui, scompari…”.
Nel corso della deposizione,
Giuliano si soffermò pure sui presunti “rapporti” di Vinciullo con alcuni
funzionari del Comune di Messina. “Vinciullo non aveva problemi con la pubblica
amministrazione perché pagava, perché dovevamo fare un lavoro assieme, a me non
mi approvavano il progetto, lui dice All’urbanistica,
a tutti i posti ci penso io, dice, tu
non devi fare niente. Telefono io qua, non ti preoccupare. E telefonò una
volta all’ufficio da me al Comune al dirigente e gli disse non ci sono problemi”. Non ci sarebbero stati problemi, sempre secondo
Giuliano, anche sul fronte giudiziario. “Vinciullo mi diceva che aveva buoni
rapporti con i magistrati. Tutte le cose che aveva, tutte le cause penali, le
cose che faceva, gliele risolvevano…”.
Va comunque precisato
che dagli atti del procedimento Beta finora disponibili non si ha notizia di
indagini avviate nei confronti di Vincenzo Vinciullo a seguito delle
dichiarazioni del collaboratore Biagio Grasso. Inoltre, per Vinciullo non è
stato celebrato alcun processo in conseguenza delle confidenze fatte da Luigi
llardo al colonnello Riccio o delle dichiarazioni rese agli inquirenti dal
costruttore Antonino Giuliano.
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