I radar di Lampedusa, un crimine ambientale
Radar, ponti radio, antenne
satellitari, sistemi elettronici, centri di spionaggio e intelligence. Sofisticati
dispositivi di guerra puntati contro il Nord Africa e le imbarcazioni di
migranti e richiedenti asilo in fuga dai mille crimini della globalizzazione. Un
mixer micidiale di onde elettromagnetiche che attentano alla salute della
popolazione e alla sopravvivenza della flora e della fauna di un’isola che pur
soffocata dalla militarizzazione, resta una delle più belle del Mediterraneo. Con
la proliferazione a Lampedusa delle infrastrutture belliche e inquinanti, le
normative ambientali e i vincoli paesaggistici, archeologici e idrogeologici sono
spudoratamente violati. Dall’estrema punta occidentale a quella orientale è un
susseguirsi di postazioni d’ascolto e telecomunicazione, centri di raccolta ed
elaborazione dati, tralicci che supportano antenne vecchie e nuove. A Capo
Ponente, dove sono ancora visibili gli sfregi delle piattaforme in cemento
armato che reggevano la maxi-antenna di 190,5 metri della (ex) stazione Loran C
della Guardia Coste Usa, qualche mese fa l’Aeronautica militare ha installato
il radar di
sorveglianza FADR (Fixed Air Defence
Radar) RAT 31-DL, nell’ambito di un programma di ammodernamento
della rete nazionale di telerilevamento. L’impianto è di pertinenza della 134ª Squadriglia
Radar, preposta alla sorveglianza e al controllo dello spazio aereo in ambito
nazionale e Nato e dipendente amministrativamente dalla 4^
Brigata Telecomunicazioni e Sistemi per la Difesa Aerea e l’Assistenza al Volo
e operativamente dal Centro per il controllo aereo di Poggio Renatico (Ravenna).
A pochi metri di distanza dall’impianto
dell’Aeronautica ci sono altri due potenti radar, un GEM presumibilmente inserito nel sistema VTS della Capitaneria di
Porto per il controllo del traffico marittimo e un radar EL-M 2226 prodotto
dall’azienda israeliana ELTA-System. Nella vicina area di
Albero Sole sorge invece la Stazione del 9º Nucleo Controllo
e Ricerca (N.C.R.) dell’Aeronautica Militare, preposta all’individuazione
di tutte le emissioni elettromagnetiche d’interesse strategico e alla
guerra elettronica. La base di oltre 2.900 metri quadri di superficie
ospita un imponente numero di antenne multiformi e le attrezzature di avvistamento
avanzato per intercettare e analizzare le frequenze, le caratteristiche e le
procedure delle trasmissioni radio, vocali e radar “nemiche” e “alleate”. Il 9° N.C.R.
dipende dal Centro Intelligence Interforze di Castel Malnome, Roma, a sua volta
subordinato con la Scuola interforze intelligence-guerra elettronica
(S.I.I./G.E.) al 2° Reparto informazioni e sicurezza dello Stato
maggiore della difesa. I dati intercettati a Lampedusa sono poi inviati per
la loro elaborazione al Reparto Supporto Tecnico Operativo Guerra Elettronica
(Re.S.T.O.G.E.) di Pratica di Mare.
“Ad Albero Sole sono
presenti altri dispositivi elettronici non chiaramente identificabili, tra cui
una cupola che potrebbe ospitare un altro radar”, spiega il fisico sardo
Massimo Coraddu, che per conto dell’Associazione culturale “Askavusa” ha
effettuato un primo censimento delle sorgenti elettromagnetiche di Lampedusa. “Altri
due radar per la sorveglianza costiera si trovano nel vicino sito della Marina militare.
Le caratteristiche tecniche di questi dispositivi non sono note ma nel 2014 la
Marina ne ha proposto la sostituzione con i modelli Gabbiano T200C e RASS CI (Radar
di Scoperta di Superficie), entrambi prodotti da Selex ES,
gruppo Finmeccanica. Il primo modello radar avrà una frequenza di
9.1-9.7 GHz, una potenza media di 215 W e una potenza di picco 3.45 KW. Per il
secondo non sono stati forniti dati tecnici ma in base alle nostre conoscenze è
verosimile che il RASS CI, versione costiera del radar RASS C imbarcato nelle
unità militari, sia molto più pericoloso del Gabbiano T200C.
Altrettanto preoccupanti le emissioni del FADR RAT 31-DL installato a Capo
Ponente: operante in
banda D con emissioni da 1 a 2 GHz, questo nuovo radar ha una potenza concentrata
di 84 KW”.
Pericolosi dispositivi emittenti imperversano nella
parte restante dell’isola: si tratta di ripetitori radiotelevisivi
e per la telefonia cellulare, trasmettitori VHF per le comunicazioni in mare e
per quelle aeroportuali, un altro radar per la sorveglianza costiera e
l’intercettazione di imbarcazioni di migranti EL-M 2226 con una potenza non
inferiore ai 250-300 KW, installato dalla Guardia di finanza a Capo
Grecale nell’area affidata in concessione a Telecom. “Dato
il gran numero di sorgenti diverse, tutte di notevole intensità e la piccola
superficie a disposizione, l’isola di Lampedusa presenta una densità molto alta
e del tutto inusuale di emissioni elettromagnetiche”, denuncia il prof. Coraddu.
“Sono state già evidenziate situazioni critiche, duplicazioni di funzioni (si
pensi che sono presenti perlomeno sei radar di sorveglianza costiera da terra)
e non è mai stata fatta una stima della potenza e degli effetti delle
emissioni. Nessuno si è posto il problema delle loro conseguenze per l’ambiente o sugli insetti
impollinatori, sull’avifauna, sui cetacei, ecc. o dei possibili rischi per i
portatori di dispositivi elettromedicali impiantatati. Defibrillatori
e pacemaker sono certificati per resistere a disturbi con una componente
elettrica sino a 10 V/m, mentre gli impulsi di un radar possono raggiungere
migliaia di V/m. La punta occidentale, ad altissima concentrazione di radar,
non è neppure dotata di opportuni cartelli di avviso del pericolo”.
Il prof. Coraddu ricorda che
gli effetti biologici delle esposizioni alle onde elettromagnetiche, per campi
a RF a 10 GHz d’intensità dell’ordine dei 300W/m2 e 300 V/m possono essere
gravissimi (ustioni della pelle, cataratte oculari, ecc.), mentre per intensità
di 1.000W/m2 e 600 V/m gli effetti sono letali (ipertermia e infarto). “Relativamente
alle esposizioni prolungate con campi deboli,
cioè molto al di sotto della soglia oltre la quale si verificano gli effetti
acuti, gli studi in vitro sui tessuti
biologici hanno evidenziato l’insorgenza di anomalie biochimiche
nel funzionamento delle membrane cellulari, del ciclo della melatonina,
dell’ossidazione dei radicali liberi, della copromozione della degenerazione
tumorale, dell’espressione genica”, aggiunge il fisico. “Studi sugli
animali hanno
evidenziato l’insorgenza di tumori, linfomi in particolare, e infertilità (anche
trasmissibile alle successive generazioni). Anche diversi studi epidemiologici rivolti
ai lavoratori del settore delle telecomunicazioni, militari, residenti in
prossimità di ripetitori radio, hanno evidenziato un incremento del rischio di
insorgenza di tumori (leucemia, glioblastoma, linfomi, etc.). Studi recenti sugli
utilizzatori di telefoni cellulari hanno fornito indicazioni inequivocabili
legate alla lateralità di neurinomi e gliomi (tumori del nervo uditivo e del
cervello)”.
A Lampedusa tutti gli impianti
di radio telecomunicazione, le installazioni radar e le postazioni per le
guerre elettroniche sorgono all’interno di aree naturali istituite e protette dalle
normative europee, nazionali e
regionali. Per
il suo notevole interesse naturalistico-ambientale, la rarità e rilevanza di
alcune delle specie vegetali e animali ospitate, l’intero territorio delle
isole di Lampedusa e Linosa (12.715 Ha) è stato classificato nel 2005 come ZPS - Zona a protezione Speciale con il codice ITA040013
Arcipelago delle Pelagie-Area marina e terrestre. Il 67,81% del territorio dell’isola
di Lampedusa (comprese le aree più densamente militarizzate di Capo Ponente –
Albero Sole e Capo Grecale) e l’isolotto di Lampione, per una superficie di
1.397,42 Ha, è classificato invece come SIC - Sito d’importanza comunitaria con
il codice ITA040002 Isola di
Lampedusa e Lampione. Le infrastrutture militari che occupano la parte più
occidentale dell’isola sorgono infine a meno di 400 metri in linea d’area dalla
Riserva naturale orientata istituita nel maggio 1995 dall’Assessorato
Territorio e Ambiente della Regione Sicilia. Con un’estensione di circa 320
ettari, la Riserva protegge buona parte della costa meridionale di Lampedusa, dall’incomparabile
bellezza e ricca di grotte e calette (tra le più note Cala Pulcino e l’Isola
dei Conigli, quest’ultima zona
di deposizione delle uova della tartaruga Caretta
caretta). Un ampio tratto di mare circostante l’isola di Lampedusa (da
Punta Galera, verso ponente, fino alla punta a nord di Cala Pisana, compresi
Capo Ponente e Capo Grecale) è inserito infine nell’Area
Marina Protetta Isole Pelagie, istituita con decreto
ministeriale del 21 ottobre 2002 e la cui gestione è affidata al Comune.
“Lampedusa rappresenta un
ambiente insulare unico in tutto il Mediterraneo, con un patrimonio naturalistico
estremamente interessante, da un punto di vista biogeografico, per la presenza
di aspetti faunistici e floristici
tipici dell’areale nord-africano”, riporta l’Istituto Superiore per la
Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA). “La forma di vegetazione prevalente
nell’isola è la gariga-steppa, costituita da asfodeli, asteracee e distese di Scilla
marittima. Una forma più matura di gariga (con euforbia, lentisco, macchia
della seta, camedrio) è presente nei Valloni, dove sopravvivono anche alcuni
preziosi individui superstiti dell’antica macchia: ginepro fenicio, carrubo e
rari oleastri”. Nell’isola sono ancora presenti habitat di particolare
interesse conservazionistico come ad esempio le praterie sottomarine di
Posidonia, le stazioni lungo le scogliere dell’endemico Limonium lopadusanum,
le formazioni di Thero-Brachypodietea,
con presenza di specie endemiche o rare come Daucus lopadusanus, Filago cossyrensis,
Diplotaxis scapola, Allium lopadusanum, Allium hirtovaginatum, Linaria. Tra gli endemismi della flora,
i botanici segnalano altresì
la Dianthus rupicola, distribuita sulle scogliere dell’isola; la Suaeda
pelagica, che forma piccoli nuclei nei substrati marnoso-argillosi, lungo
il tratto occidentale costiero dell’isola; la Oncostema dimartinoi,
presente in maniera sporadica in tre diverse stazioni dell’isola.
Di
rilevante importanza pure l’esistenza di specie endemiche delle isole del
Canale di Sicilia o dell’area del centro del Mediterraneo, come ad esempio Elatine
gussonei, Hypericum aegypticum, Plantago afra, Caralluma europea (una
pianta nordafricana presente in Europa solo a Lampedusa e nella Spagna meridionale), Centaurea acaulis (specie
che cresce spontaneamente in Nord-Africa).
“Molti taxa sono fortemente minacciati perché costituiscono dei popolamenti
davvero esigui, o perché crescono in corrispondenza di habitat vulnerabili”,
rileva il Piano di Gestione dell’area SIC-ZPS
delle Isole Pelagie elaborato nel 2008 da Legambiente in qualità di ente gestore della
Riserva naturale di Lampedusa. Sempre Legambiente rileva come le “emergenze
floristiche” nell’isola siano ben 95; tra i taxa vegetali endemici, rari e
minacciati, 23 sono classificati come “vulnerabili”; 22 sono in “pericolo
moderato”; una purtroppo “estinta” (Bryum
rubens).
Nell’isola
sono state censite oltre 700 specie d’insetti con la
presenza di numerosi endemismi (14 solo tra i Coleotteri) e di specie tipiche
od esclusive del Nord Africa. Una sola la specie individuata appartenente
alla classe degli Anfibi, nove ai Rettili e otto ai Mammiferi. Tra i Rettili in
“pericolo critico” sono stati classificati la Tartaruga caretta, il Colubro dal
cappuccino algerino, il Colubro lacertino orientale e lo Psammodromo algerino; a
“più basso rischio” il Rospo smeraldino nordafricano. Studiosi e ambientalisti lamentano
pure che nell’arcipelago delle Pelagie si sono verificati nel tempo alcuni
fenomeni di estinzione, come ad esempio la scomparsa della Foca monaca e, più
recentemente, della Tartaruga di Hermann. Tra i mammiferi, in pericolo
d’estinzione c’è il Coniglio selvatico; specie “vulnerabili” sono il Miniottero
e il Ferro di cavallo maggiore; “a più basso rischio” il Topolino domestico, il
Vespertilio maggiore, il Pipistrello albolimbato, il Ratto nero e il Mustiolo.
Per la particolare posizione nel
Mediterraneo e la vicinanza al continente africano, Lampedusa e Linosa ricoprono
un’importanza strategica per il
rifugio e la sosta temporanea di numerosi uccelli migratori. Le due isole sono classificate come IBA (Important Bird Areas, Aree importanti per gli uccelli) in quanto
offrono ospitalità a specie
minacciate a livello globale e a un numero particolarmente alto di uccelli migratori.
La stessa istituzione della Zona a
protezione speciale nell’arcipelago risponde alla necessità di rispettare la cosiddetta “Direttiva
Uccelli” dell’Unione europea a tutela e conservazione dell’avifauna rara o
minacciata e del suo habitat naturale.
Solo
a Lampedusa sono state censite 161 specie di Uccelli. “La maggioranza di quelle osservate
nelle Pelagie è migratrice, in buona parte transahariana, cioè svernante a sud
del Sahara e nidificante in Europa”, documenta Legambiente Sicilia. “Questi
uccelli, in primavera, iniziano il lungo viaggio attraverso i due continenti (…)
È stato messo in evidenza in più occasioni quale importante ruolo svolgono le
piccole isole del Mediterraneo per la conservazione dell’avifauna europea; esse
infatti sono una specie di trampolino di lancio, spesso tappe obbligate, in cui
gli uccelli migratori sostano semplicemente per trascorrere le ore del giorno,
in attesa di riprendere il viaggio nelle ore notturne o per recuperare energie,
facendo accrescere il loro strato adiposo sottocutaneo, sfruttando le risorse
che trovano”. Tra le specie più significative presenti,
elencate negli allegati della “Direttiva Uccelli”, ci sono la Berta maggiore mediterranea (Calonectris diomedea) che nidifica
nell’isola di Linosa con una colonia stimata in circa 10.000 coppie (pari a
oltre il 60% della popolazione italiana e a oltre il 20% della popolazione
europea) e, con una piccola popolazione anche a Lampedusa e Lampione; la Berta
minore mediterranea (Puffinus yelkouan), la cui popolazione globale,
endemica nel Mediterraneo centrale e orientale, si sta riducendo in modo
critico e che nidifica a Lampedusa
in tutta l’area costiera prospiciente Capo Grecale; l’Uccello delle tempeste mediterraneo (Hydrobates
pelagicus melitensis), di cui è stata accertata la presenza di una
colonia in una grotta. Tra
le specie nidificanti a Lampedusa e Linosa, è stata registrata una preoccupante
diminuzione del Marangone
dal ciuffo (ormai poche coppie nidificano nelle falesie sotto Albero Sole), del Falco della regina (la colonia di Lampedusa è stimata intorno a 35-40 coppie),
del Barbagianni (una
piccola popolazione stabile di 1-3 coppie a Cala Galera e a Capo Grecale) e
dell’Occhiocotto, la cui popolazione delle Pelagie è
ritenuta di particolare
interesse faunistico per la sua specifica colorazione e il singolare verso di
richiamo. Gli studiosi classificano a “rischio d’estinzione” pure altri uccelli
come l’Albanella reale, la Gru e il Falco pescatore; “in pericolo critico” la Forapaglie,
il Mignattino alibianche e il Mignattaio; “in pericolo” l’Occhione, il Falco di
palude, la Ghiandaia marina, il Gabbiano roseo, il Cormorano, la Beccaccia, la
Bigia grossa, la Volpoca, la Pettegola, “vulnerabile” il Piro piro piccolo, la
Marzaiola, la Sgarza ciuffetto, l’Albanella minore, il Colombo selvatico, il
Falco pellegrino, il Lodolaio, il Gabbiano corallino, il Gabbiano comune, la
Salciaiola, il Nibbio bruno, la Monachella, il Pecchiaiolo e il Baccapesci; “a
più basso rischio” il Martin pescatore, il
Rondone maggiore, il Rondone pallido, l’Airone cenerino, l’Airone rosso, il
Gufo comune, il Succiacapre, il Fratino, il Corriere piccolo, la Cicogna
bianca, la Quaglia, l’Ortolano, il Grillaio, la Balia del collare, il Cavaliere
d’Italia, il Tarabusino, l’Averla capirossa, il Codirossone, l’Assiolo e la Magnanina
sarda.
Un’ampissima
letteratura ha accertato i pesantissimi impatti dell’elettromagnetismo
sull’avifauna eppure sono proprio le aree dell’isola scelte per la
nidificazione e la sosta in cui sono proliferate a dismisura le fonti di
emissione di onde elettromagnetiche, in buona parte di origine militare. Il Piano di
Gestione del SIC-ZPS delle “Isole Pelagie” di Legambiente (redatto, tra gli
altri, dall’allora direttrice della riserva naturale e odierna sindaca di
Lampedusa e Linosa, Giuseppina Nicolini) nel paragrafo dal titolo Infrastrutture
e detrattori ambientali aveva già rilevato come “il territorio del SIC è
attraversato da una serie di linee elettriche ad alta, media e bassa tensione e
dai cavi sospesi della linea telefonica, infrastrutture con un forte impatto
paesaggistico e che sono causa di mortalità per collisione e/o elettrocuzione
per l’avifauna (per i rapaci e, a Lampedusa, anche per la Berta minore). “Le palificazioni
– aggiunge Legambiente - sono concentrate lungo il perimetro orientale e nelle
aree del SIC più urbanizzate, tuttavia attraversano anche zone più vulnerabili,
come la Via Ponente, che costituisce il limite nord del perimetro della riserva
naturale, dove elettrodotti e linee telefoniche seguono la strada per tutta la
sua lunghezza per servire le strutture militari presenti ad Albero Sole e Capo
Ponente…”. Sempre Legambiente segnala che “l’impianto di pubblica illuminazione
del Belvedere di Albero Sole e del contiguo impianto Telecom, è causa di disturbo
e di impatti sulle colonie di uccelli nidificanti sulle falesie”; altrettanto
“forte” l’impatto esercitato dai cavi sospesi su aree contigue alla ZPS, in
particolare a Capo Grecale e nella fascia costiera orientale, nella zona di
Mare Morto e Cala Francese. “A Capo Grecale sorge l’impianto di trasmissione
Telecom”, rileva il Piano di Gestione; “la presenza di una fonte luminosa fissa
molto prossima alla falesia può rivelarsi potenzialmente dannosa per tutte
quelle specie ornitiche che sono attive di notte o che nidificano sulla falesia
sottostante e fanno ritorno al nido dopo il tramonto”. Sempre a Capo Grecale,
dove è poi entrato in funzione il radar israeliano anti-migranti della Guardia
di finanza, è presente pure una stazione dell’ENEA per la ricerca sui
cambiamenti climatici. “La presenza di uno strumento per lo studio dei venti
che emette costantemente un suono intermittente può ritenersi fonte di
inquinamento acustico per l’avifauna nidificante e migratoria presente sulla
falesia prossima all’edificio”, conclude Legambiente.
Prima di autorizzare
all’interno di un Sito d’interesse comunitario o di una Zona a protezione
speciale qualsiasi intervento che può compromettere la conservazione di habitat
e specie, sarebbe obbligatoria la cosiddetta valutazione di incidenza, anche se però non dovrebbe essere consentita
la “realizzazione di impianti di illuminazione esterna, elettrodotti e linee
telefoniche” o la “collocazione di torri eoliche e impianti fotovoltaici”. A
Lampedusa sino ad oggi è accaduto diversamente, purtroppo, e non è chiaro chi e
come dovrebbe far rispettare vincoli e divieti specie con le forze armate o le
società della telefonia cellulare. Altrettanto negativo è l’impatto del
processo di militarizzazione sull’importante
e ricco patrimonio archeologico dell’isola (anche di origine
preistorico), rilevato grazie alle campagne di scavi condotte a partire del 1985.
“Il sistema dei siti archeologici presenti non soltanto all’interno del
perimetro del SIC/ZPS, ma più in generale nell’intera isola, è stato di fatto
probabilmente stravolto dalla realizzazione delle istallazioni militari (in particolar
modo nella parte occidentale dell’isola) e, soprattutto, dalla realizzazione di
strutture edilizie abusive, che hanno di fatto contribuito significativamente
alla riduzione del patrimonio archeologico esistente e visibile”, sottolinea
Legambiente nel suo Piano di Gestione.
Le zone di interesse archeologico, in particolare Capo Grecale, sono state
sottoposte a vincolo paesaggistico con
“divieto della modificazione dell’assetto territoriale senza preventivo
nullaosta della dalla Soprintendenza ai Beni Culturali ed Ambientali di Agrigento”,
ma anche in questo caso non è dato sapere in che modo sia stata autorizzata
l’installazione di radar e ponti radio. Dal punto di vista paesaggistico e
archeologico ancora più grave è la vicenda riguardante il dammuso “Casa Teresa”
ubicato nei pressi del Vallone della Forbice, a meno di cento metri dalla
stazione di spionaggio del 9º Nucleo Controllo e Ricerca dell’Aeronautica
Militare di Albero Sole e a 600 metri dagli impianti radar sorti nella ex area
Loran di Capo Ponente. Costruzione funzionale alle attività agricole, il
dammuso si diffuse a Lampedusa nella seconda metà del XIX secolo; quello di “Casa Teresa” è il più antico e tra i più rilevanti ed articolati per
dimensione e tipologia. Dopo essere stato acquisito nel 1994 dalla Regione Siciliana,
esso è stato oggetto di in terminabili e onerosi lavori di restauro ed
allestimento museale e di un “piano di recupero arboreo” del prospiciente giardino
con elementi vegetali appartenenti alla flora autoctona dell’isola. Attualmente
a “Casa Teresa” sono in corso lavori migliorativi con finanziamento del Fondo
Europeo Sviluppo Regionale (asse III 2007-2013) per complessivi 362.900 euro
(la data di consegna dei lavori da parte dell’impresa SCR Srl di Agrigento doveva
essere il 7 aprile scorso). Impossibile comprendere la compatibilità di un
museo-guardino contiguo al filo spinato che delimita alcune delle installazioni
militari nazionali e Nato top secret
più rilevanti nel Mediterraneo, pericolosissime fonti di inquinamento
elettromagnetico. La località di Albero Sole è infine sottoposta a vincolo
idrogeologico ai sensi del Decreto Regio n. 3267 del 1923, ancora vigente e “qualsiasi
intervento o movimento di terra che possa compromettere la stabilità del territorio,
deve essere sottoposto a nulla osta dell’Ispettorato Ripartimentale delle
Foreste di Agrigento”. Di terra ne è stata movimentata tanta ad Albero Sole,
come innumerevoli sono stati gli interventi infrastrutturali per realizzare e
potenziare negli anni gli impianti di guerra di Aeronautica e Marina. Chissà se
adesso che monta nell’isola la protesta contro radar e antenne qualcuno vorrà
fornire le copie di autorizzazioni e nullaosta ai cittadini e alle associazioni
locali…
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