Biagio Grasso e le relazioni pericolose della borghesia messinese
Imprenditori che non perdono
occasione per fare le scarpe ai propri soci stringendo alleanze più o meno
indigeste con le nuove leve della criminalità mafiosa. Famiglie della buona
borghesia locale che transitano da affare in affare e fallimento in fallimento
senza però perdere il sostegno delle holding bancarie. Spericolate e spregiudicate operazioni
finanziarie per realizzare centri commerciali e complessi immobiliari dal
devastante impatto socio-ambientale. Ambigue figure di commercialisti e
avvocati che pianificano tortuose triangolazioni di denaro per occultare il
marcio di una Messina tutta da bere e da dimenticare. All’ultima udienza del
processo Beta sull’infiltrazione
della “famiglia” Romeo-Santapaola nell’economia legale e illegale peloritana
(12 marzo 2019), il costruttore Biagio Grasso, neocollaboratore di giustizia, è
tornato a parlare di alcune delle trame criminali che lo hanno visto attore e pure
vittima. Tema chiave del lungo esame del teste, il ruolo del professionista
Ivan Soraci, uomo di mezzo tra una certa
Messina multi-imprenditrice e il clan guidato dal boss Vincenzo “Enzo” Romeo, già
condannato in primo grado con rito abbreviato a 15 anni e 2 mesi di reclusione
e da qualche giorno ristretto al 41bis. Ivan Soraci, noto nell’ambiente
Grasso-Romeo come Signor I “per il suo tono nobiliare” è stato incriminato nella
seconda tranche del procedimento Beta
di associazione a delinquere di stampo mafioso, reinvestimento di capitali di
provenienza illecita ed estorsione.
Da barista e pasticcere a imprenditore-costruttore
“Ivan Soraci è stato il mio primo
collegamento con Vincenzo Romeo”, ha esordito Biagio Grasso. “A Soraci lo
conosco dal 2008, 2007 forse pure. Lui era dipendente di un mio ex socio
all’interno della società P & F, il dottore Giuseppe Denaro; era nata anche
una simpatia al principio e ci frequentavamo. All’epoca Denaro gestiva il bar
Irrera a Messina e in questa attività Soraci aveva la funzione di direttore
commerciale; successivamente credo che ha rivestito anche ruoli di
amministratore di società. Ivan Soraci mi presentò Vincenzo Romeo dicendomi che
era il nipote diretto di Nitto Santapaola e che poteva essere interessato a
fare delle operazioni immobiliari su Messina o ad altre che stavo trattando in
quel momento. Soraci mi presentò contestualmente anche Maurizio Romeo, fratello
minore di Vincenzo, come soggetto operativo nel campo immobiliare, in quanto in
quel momento era collaboratore di un’agenzia sul territorio messinese, credo
nella titolarità dell’imprenditore Mancuso, il brand era Gabetti o un altro
marchio nazionale importante. Me lo presenta come persona super corretta,
facente parte di una famiglia importante, la famiglia di riferimento dei
Santapaola, ragazzi seri con cui si poteva anche fare degli affari insieme”.
Secondo il collaboratore di
giustizia, Ivan Soraci e i fratelli Romeo gli chiesero in particolare di agire
congiuntamente per acquisire due società, la Se.Gi. S.r.l. e la Edil Raciti
S.r.l. che aveva in costruzione dodici appartamenti in località Santa
Margherita. “Questo è stato il mio primo approccio con loro e risale agli inizi
dell’anno 2010”, ha spiegato Grasso. “In queste prime due operazioni si era
raggiunto un accordo che i proventi dovevano essere divisi in quattro quote: il
25% io, il 25% Vincenzo Romeo, il 25% Maurizio Romeo e il 25% Ivan Soraci. La
Se.Gi. è stata acquisita attraverso una società di comodo di nome Solea S.r.l.
intestata fittiziamente al dottore Fabio Lo Turco presentatomi da Ivan Soraci e
dai fratelli Romeo come persona di fiducia che poteva coprire per conto nostro
tutto l’assetto societario. Il problema di trovare una terza persona era dovuto
al fatto che i Romeo non volevano essere ricondotti in prima persona a questa
operazione. La stessa cosa Ivan Soraci perché nelle more era ancora
amministratore e credo già di un’altra società sempre facente capo a Giuseppe Denaro.
E per quanto riguarda me invece, volevo restare coperto in quanto avevo delle
problematiche con le banche con la mia società LG Costruzioni S.p.A.. Quindi
sia la Edil Raciti che la Se.Gi S.r.l. furono acquisite attraverso la Solea
S.r.l. per questi motivi. I soldi li abbiamo messi io e Vincenzo Romeo coprendo
le quote anche di Soraci e Maurizio Romeo”.
“Ivan Soraci mi aveva messo
in contatto con il gruppo Santapaola-Romeo per fare questi investimenti e
quindi voleva riconosciuto, come poi è stato, il 25% degli introiti”, ha aggiunto
Biagio Grasso. “Successivamente al blocco della concessione edilizia per la
costruzione al Torrente Trapani, il Soraci è stato il promotore per la
separazione della società e quindi mi ha quasi obbligato a prendere tutte le
quote della Solea S.r.l. riconoscendo un importo di 600 mila euro da dovere
erogare a lui e agli altri due soci, cioè a Vincenzo Romeo e Maurizio Romeo.
Importi che ho cominciato a estinguere con denaro che proveniva dalla società
Else S.p.A. di Milano che nelle more avevo acquisito insieme al costruttore
Carlo Borella. Successivamente sono stato invece costretto a vendere il 33%
delle quote che detenevo attraverso la Carmel S.r.l., fittiziamente intestata a
mio padre che non era a conoscenza di tutte queste vicende. Ho venduto una
quota pari a 220 mila euro, quindi quasi ad un terzo del valore del mercato,
allo stesso Giuseppe Denaro che a sua volta è stato costretto ad acquistare
sotto pressioni e minacce fatte da Ivan Soraci in prima persona e poi da
Maurizio Romeo. Soraci è stato il promotore del dissidio che nasce al principio
con me e i fratelli Romeo e poi si appiana solamente con una parte dei fratelli
Romeo e quindi con Vincenzo Romeo. E nasce soprattutto dal fatto che il Soraci
imputava a me la superficialità nel non aver valutato bene che la concessione
edilizia che era stata rilasciata per la costruzione dei 300 appartamenti al Torrente
Trapani era in fase di revoca. Era palese che la prese come escamotage per pretendere
e ricevere la sua parte di 200 mila euro nella maniera più rapida possibile”.
Stando sempre a quanto
raccontato da Grasso, inizialmente Soraci aveva preteso un risarcimento molto
più esoso, ma il debito era stato poi
ridimensionato dai Romeo. “Vincenzo Romeo, per chiudere in maniera bonaria la
vicenda insieme a me, si era dato un valore complessivo di probabili utili
all’operazione, e quindi di perdite che io dovevo assumere l’onere in quanto
promotore ed esperto del campo, per un valore complessivo di 800 mila euro.
Considerato che un quarto di questa somma era mia, il valore da restituire alle
tre parti corrispondeva a 600 mila euro, 200 mila per quota, a fronte di un investimento
iniziale intorno a 100 mila euro che abbiamo solamente messo io e Vincenzo
Romeo. Ivan Soraci mi ha messo contro i fratelli Romeo in maniera anche
abbastanza pesante già in quella fase. La richiesta è stata fatta all’incirca
dopo qualche mese che avevamo avuto la notifica della sospensione della
concessione edilizia, intorno all’estate del 2010. Successivamente ho
cominciato a trovare la forma per liquidarli e consegnai come prima trance 150
mila euro nell’estate nel 2011 in assegni circolari trasferibili di importo di 5
mila euro, non ricordo se intestati tutti a Fabio Lo Turco e poi girati a terze
persone. Gli assegni erano della Banca di Credito Artigiano di Landriano e
furono tutti quanti regolarmente incassati la maggior parte da soggetti vicini
ai fratelli Romeo e per una parte direttamente da Ivan Soraci e Fabio Lo Turco
che si è prodigato a cambiare le somme e a consegnare i contanti a Soraci e ai
due fratelli Romeo. Specifico che per quanto riguarda questi titoli ci sono gli
atti depositati nel processo che pende a Milano per il fallimento di Else S.p.A..
La consegna degli assegni fu preceduta da incontri che ho avuto con Ivan Soraci
e Maurizio Romeo. Sono venuti due volte a Milano, hanno dormito presso uno
degli alberghi convenzionati con la nostra società dove dormivano i dirigenti
che venivano dalla Sicilia. In una delle ultime volte sono stato anche
minacciato in maniera violenta da Maurizio Romeo ma soprattutto anche da Ivan
Soraci. Ricordo pure il posto: eravamo in via Fabio Filzi, in zona stazione
centrale. Per minacciarmi mi dissero che io sapevo con chi mi ero messo e che
quindi dovevo mantenere l’impegno o altrimenti potevo avere delle conseguenze
abbastanza gravi. Ricordo in particolare che addirittura i due incontrarono
Giuseppe Barbera, che era un consulente della Else S.p.A. nominato da me e
Carlo Borella. E il Barbera mi chiamò abbastanza allarmato dicendo: Guarda, ci sono questi due che hanno un’aria
che non mi piace, ti vogliono venire a trovare presso l’ufficio. Cosa
realmente poi accaduta: sono venuti presso l’ufficio di via Campanini, sono
rimasti lì circa un’oretta e poi siamo usciti fuori a discutere perché la
conversazione si era abbastanza animata”.
Messo alle strette, il
giorno dopo Biagio Grasso si recò presso la banca di Landriano a ritirare due
carnet di assegni. “Consegnai i titoli in un ristorante sempre adiacente alla
zona di via Campanini in acconto alla maggiore somma di 600 mila euro”, ha
specificato. “La società intestataria del conto era la ITC S.r.l., che era la
controllante della Else S.p.A. ed era intestata a Ciro Maraniello e Roberto
Forliano, due soggetti con cui avevamo fatto un accordo per mettere a
disposizione la società per l’acquisizione della Else S.p.a. in liquidazione.
Gli assegni sono stati firmati dall’amministratore della ITC Forliano, e
consegnati trasferibili a Maurizio Romeo e Ivan Soraci. Se non ricordo male essi
erano intestati a Fabio Lo Turco per evitare che venissero incassati da persone
che non conoscevo, però potrebbe pure essere che siano stati lasciati in bianco
su richiesta loro. In tutto erano trenta assegni da 5 mila euro e sono stati
tutti incassati. Alcune somme pervennero a Giovanni Marano che era un
personaggio in società con Vincenzo Romeo nel settore giochi. Altri vennero
incassati da un altro personaggio sempre vicino a Vincenzo Romeo che ha
un’azienda che ripara e produce biliardi, Tommaso Spampinato, che ci ha messo
in contatto con alcuni clan della zona della Calabria. Tra le persone che li
hanno incassati c’erano un tale Giovanni Parlagreco, soggetto sempre nel campo
settore giochi e Tommaso Arria pure settore giochi vicino a Vincenzo Romeo. Gli
assegni erano in verità per un importo di 4.980 euro; li ho fatti per qualche
decina di euro in meno, perché superato i 5 mila diventavano non trasferibili e
quindi non potevano essere incassati da terze persone. Per giustificare contabilmente
questa movimentazione economica dentro l’ITC non ricordo se ho creato qualche
partita chiaramente fittizia nei confronti di Fabio Lo Turco…”.
Il
controverso affaire del Parrino
dell’Irrera
Ovviamente per Ivan Soraci e
i fratelli Romeo la partita con Biagio Grasso non si era chiusa, così subito
dopo tornarono a incalzare il costruttore perché estinguesse il debito nei loro confronti. “In quel
periodo il Soraci diceva che aveva delle problematiche finanziarie dovute a dei
debiti che aveva fatto il fratello e che doveva dargli una mano e che quindi non
poteva aspettare più questi soldi, gli servivano”, ha aggiunto il collaboratore.
“Soraci era uno dei bracci destri di Giuseppe Denaro, gli gestiva anche i
rapporti con i fornitori ed era anche amministratore di una delle società,
forse la Irrera 1910. Pertanto era a conoscenza anche delle attività che aveva
il Denaro e quindi lo era pure del fatto che io ero comproprietario insieme a
Denaro e all’ingegnere Giuseppe Puglisi della P & F S.r.l. che aveva un
terreno edificabile commerciale a Villafranca Tirrena acquistato da una società
che aveva in gestione la liquidazione del territorio dove sorgeva l’ex Pirelli”.
“Considerato che una parte
di questo terreno era già stato venduto per circa un milione e centomila euro alla
ditta Eurospin per la costruzione di un supermercato, Soraci era anche a
conoscenza del valore che poteva avere quest’area. Ragion per cui, mi
convocarono e da qui in poi iniziò una pressione esasperata al fine di farmi
decidere di vendere questa quota. Cosa che io, pensando che non trovassero
nelle more un acquirente, acconsentii. Mentre in realtà loro già avevano in
mente di proporre l’operazione a Giuseppe Denaro, il quale non era in quel
momento nelle condizioni finanziarie di acquistarle. Era un mio socio e ci
raffrontavamo spesso, quindi sapevo che aveva anche delle difficoltà per altre
situazioni. In quel periodo Giuseppe Denaro aveva avuto un problema
fallimentare in società che comunque gestiva insieme ai fratelli. Un fallimento
dovuto a degli investimenti che il fratello maggiore aveva fatto in Sardegna
per un cantiere nautico, se non ricordo male era il Terranova come brand, dopo
di che avevano altre difficoltà economiche, almeno questo è quello che diceva
lui, il Denaro”.
E’ stato possibile
riscontrare che in quegli anni Filippo Denaro, fratello di Giuseppe, ricopriva
il ruolo di amministratore e socio della Terranova Yacht S.r.l. di
Porto di Lavagna, Genova, società produttrice di imbarcazioni di lusso con cantieri in Liguria e a Crotone. Nel febbraio
2006 la Terranova Yacht aveva inoltre concluso nella città sarda di Porto Torres l’acquisizione dell’area in
cui erano stati ospitati i Cantieri del Tirreno. Successivamente Filippo
Denaro aveva abbandonato il settore della cantieristica concentrando i suoi interessi
in altri settori produttivi. Nominato vicepresidente di Confcommercio Messina
nel luglio 2013, il mese dopo ricevette dal Gip del Tribunale di Messina l’ordine
di sequestro dei beni a seguito di un’inchiesta sul procedimento fallimentare della
Grasso Filippo & figlio S.r.l., società operante nella vendita al dettaglio di
articoli di profumi con esercizi commerciali a Messina, Catania e Milazzo, di
cui era stato amministratore delegato dal maggio 1999 al marzo 2003 il fratello
Giuseppe Denaro. Il sequestro fu poi
annullato l’anno successivo dal Tribunale del Riesame. Filippo Denaro ha
ricoperto sino a poco tempo fa la carica di procuratore della Irrera 1910
S.r.l. la società
titolare dell’omonimo prestigioso ritrovo bar-pasticceria di Messina di cui è stato “direttore commerciale” Ivan Soraci (Irrera
1910 è controllata quasi per intero dalla GDH S.r.l. dell’immancabile fratello
Giuseppe; nel settembre 2015 la società ha ottenuto dal Cda del Teatro Vittorio
Emanuele di Messina l’affidamento in concessione – con trattativa privata - del
servizio ristoro nei locali del teatro per cinque anni, poi revocata). A
Filippo Denaro è infine riconducibile l’Antica Pasticceria Irrera
S.r.l., società gemella di Irrera 1910, oggetto sociale la produzione ed
esportazione di pasticceria fresca e gelateria, il servizio catering, ecc.,
rilevata dall’imprenditore nel 2009 e attualmente controllata per il 98% dalla
figlia Daria Denaro e per il 2% da Antonina Salvatrice Santisi, coniuge di
Giuseppe Denaro ed ex assessora ai servizi sociali del Comune di Messina.
Coincidenza vuole che amministratore dell’Antica Pasticceria Irrera dal
febbraio 2008 al settembre 2011 è stato proprio Ivan Soraci, erroneamente
indicato da Biagio Grasso come ex amministratore di Irrera 1910.
Nonostante le non
soddisfacenti condizioni finanziarie, alla fine Giuseppe Denaro “fu obbligato” ad
attivare un mutuo presso la Banca di Crotone poi trasformata in Banca
dell’Emilia Romagna. “La sede di questa banca è in via Tommaso Cannizzaro
angolo via La Farina, accanto l’entrata dell’hotel Royal”, ricorda Biagio
Grasso. “Denaro attivò lì un prestito di 220 - 250 mila euro e obbligarono a me
a vendere ed a lui ad acquistare. Di queste somme si è creato fittiziamente
anche lì un debito che non ricordo se poi è stato registrato in contabilità o
meno nei confronti di Fabio Lo Turco. Le somme transitarono direttamente a Lo
Turco e poi furono girate a Maurizio Romeo, Vincenzo Romeo e Ivan Soraci, con
una parte che è stata riconosciuta a Fabio Lo Turco di dieci o ventimila euro,
me lo disse Vincenzo Romeo, per avere fatto questo servizio. In particolare
ricordo che in una delle volte che sono sceso giù a Messina, convocai una
riunione; all’epoca ero in buoni rapporti con l’avvocato Andrea Lo Castro in
quanto era uno dei miei legali, e gli chiesi di prestarmi la sua sala riunioni
perché non volevo fare l’appuntamento nei miei uffici perché temevo per la mia
incolumità. Siamo nel periodo antecedente ai rapporti stretti che poi ho avuto
con Vincenzo Romeo, non eravamo ancora soci io e lui, e quindi avevo anche un
po’ di timore di quest’ultimo. A questa riunione abbiamo partecipato io,
Vincenzo Romeo, Ivan Soraci e Romeo Maurizio, mentre Andrea Lo Castro non ha
partecipato a questa vicenda. In quell’occasione il Soraci in primis mi ha
detto: A me non importa, l’impegno lo
devi mantenere. Ti vendi o la casa di Portorosa o una delle tue barche, oppure
ti vendi la quota della P & F. Diciamo che anche lì i due fratelli
Romeo appoggiavano questa idea per cui ho capito che non avevo ulteriore scelta,
e quindi ho detto: Va bene, se Denaro è
nelle condizioni di acquistare, io pur di chiudere questa partita, fate in modo
di farlo acquistare e vi prendete i soldi. Così sono stato costretto a
vendere la mia quota della P & F per 220 mila euro. Giuseppe Denaro attivò
il mutuo creando anche degli attriti fra me e l’ingegnere Giuseppe Puglisi con
cui ero in ottimi rapporti, che era completamente all’oscuro di tutto e che mi
disse: Come mai stai vendendo la quota a Giuseppe
Denaro? Ho detto: Guarda, io purtroppo
sono nelle condizioni che poi ti dirò e quindi devo venderla”.
“Il Soraci, vantandosi
dell’amicizia con i Santapaola, mi ha detto: Siamo andati lì. Il soprannome di Denaro era il Parrino, il prete in italiano. Dice: Abbiamo preso il Parrino e l’abbiamo obbligato in maniera perentoria
stavolta a comprare. Perché ci sono stati diversi approcci che hanno avuto
con loro, anche perché Ivan Soraci nelle more, a dir sua, avanzava circa 80
mila euro di una liquidazione dovuta ad un’ulteriore assunzione che aveva avuto
in un’altra società di Denaro, credo in riferimento ad un supermercato nella
zona Maregrosso… Questo credito di 80 mila euro, a dir loro, si trattativa di
un trattamento di fine rapporto, il TFR”. La veridicità del racconto del
collaboratore di giustizia è comprovata in questo caso dal fatto che Giuseppe
Denaro è stato socio unico e presidente del consiglio d’amministrazione della
Miper S.r.l., società a capo di una rete di supermercati tra Messina e
Roccalumera con sede legale in via Maregrosso (la società è stata cancellata
nel giugno 2008 per incorporazione in SMA S.p.A.).
I
giochi di prestigio del commercialista P.
Secondo Biagio Grasso,
Giuseppe Denaro fu dunque pesantemente minacciato dal gruppo Soraci-Romeo. “Io
non ho mai assistito a queste vicende, però me lo disse sia Denaro diverse
volte e me lo confermarono sia Maurizio Romeo che Vincenzo Romeo, nonché Ivan Soraci
anche in maniera abbastanza soddisfatta”, ha spiegato. “Realmente pensavo che
Denaro non si facesse intimorire più di tanto. Avevo avuto questa impressione
prima, ecco perché ero tranquillo e acconsentii immediatamente a dire: Okay, se Denaro è d’accordo, vabbè, cosa
devo fare? Lo vendo… Però invece a riscontro di quello che mi diceva
Soraci, i fratelli Romeo che l’avevano minacciato in maniera violenta, questo
si concretizzò nel fatto che Denaro, pur di acquistare, si accollò un ulteriore
debito addosso. Giuseppe Denaro questa sua quota non se la voleva comprare, non
era nelle condizioni di comprarla. Aveva problemi anche ad accendere il mutuo. L’ingegnere
Puglisi mi chiamò per questa vicenda perché il Denaro gli disse che aveva
bisogno dell’ipoteca sul terreno o delle quote della società o di una
fideiussione, non ricordo la forma tecnica finanziaria che era stata richiesta
dall’istituto, per accendere e quindi avere il mutuo. Così Denaro è poi riuscito
ad avere i 200 e passa mila euro per l’acquisizione della quota. L’ingegnere
Giuseppe Puglisi era l’amministratore della società, anche se non era a
conoscenza, almeno da parte mia, dei miei collegamenti con la criminalità. Non
lo ricordo se gli specificai realmente chi erano i fratelli Romeo”.
Materialmente la cessione della
parte del terreno di Villafranca Tirrena in mano a Biagio Grasso avvenne a fine
2011. “Per questa operazione la quota è stata ceduta alla GDH S.r.l., una
società sempre che fa capo a Giuseppe Denaro”, ha aggiunto il collaboratore. “La
quota che è stata venduta era detenuta dalla Carmel S.r.l. intestata
fittiziamente a mio padre e mia madre. La società invece proprietaria era la P
& F S.r.l., che era partecipata dai fratelli Denaro in diverse quote per il
loro 33%, il 33% dalla Carmel e il 33% dall’ingegnere Puglisi come persona
fisica o con un’altra società sempre facente capo a lui. Si è trattata di
un’operazione che mi ha penalizzato per due ordini di motivi. Se valutiamo
solamente il terreno dove c’era un progetto già depositato presso il Comune di
Villafranca per la realizzazione di un grosso centro commerciale che
corrispondeva al doppio della metratura della parte che avevamo venduto ad
Eurospin, il valore di mercato si doveva aggirare intorno a 600 mila euro.
Mentre io sono stato costretto a venderlo per 220. Dal canto suo Giuseppe
Denaro fece un affare: anche se costretto, lo acquistò ad un prezzo totalmente
stracciato rispetto al valore di mercato. E’ chiaro che dapprima il Soraci glielo
propose anche come necessità di recuperare i soldi nei miei riguardi, ma allo
stesso tempo come affare dovuto al fatto che obbligavano me a vendere ad un
prezzo molto inferiore”.
“Giuseppe Puglisi acconsentì
a questa operazione principalmente perché glielo chiesi io: realmente eravamo
arrivati ad un punto non più sostenibile con Ivan Soraci soprattutto e poi i
fratelli Romeo a ruota. Dissi a Puglisi che dovevo del denaro a questi soggetti
e quindi di aiutarmi a fargli acquistare la porzione di terreno a Denaro. Gli
ho detto: Ho dei problemi, devo chiudere
la vicenda, ragion per cui vedi se puoi dare anche questo assenso per agevolare
Denaro all’acquisizione”. Però, come ho detto prima, non ricordo
assolutamente se gli ho detto a chi facevano capo i due fratelli Romeo. Per
quanto riguarda invece Giuseppe Denaro, in quel momento è stato pienamente
cosciente perché le pressioni e le minacce che ha avute, le ha avute da Ivan Soraci
utilizzando anche il nome del clan Santapaola attraverso il nipote Maurizio
Romeo. Ivan Soraci si approfittò della pressione e quindi della minaccia dovuta
all’appartenenza dei germani Romeo alla famiglia dei Santapaola per
l’acquisizione della mia quota, mettendo anche sul banco il fatto che doveva
avere 80 mila euro da Denaro”.
Ottenuto il finanziamento
dalla Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Giuseppe Denaro acquisì la quota Grasso
dell’immobile di Villafranca Tirrena. “I soldi furono inviati a Fabio Lo Turco
attraverso la cessione di credito che la Carmel S.r.l. aveva comunicato a GDH
in virtù di un debito che praticamente era inesistente”, ha spiegato Grasso. “Fabio
Lo Turco poi, non so in che maniera, attraverso carte prepagate, conti
correnti, ecc. fece in modo da ripartire in parti uguali, tranne una quota che
rimase a lui, che mi disse Vincenzo Romeo successivamente, era di dieci o
ventimila euro per questo servizio, e li fece arrivare ai tre, ai germani Romeo
e a Ivan Soraci. So che il mutuo fu pagato per pochissime rate e poi, a
conferma del fatto che Denaro aveva grosse difficoltà di liquidità in quel
momento, andò in incaglio e quindi fino alla data del mio arresto, 6 luglio
2017, qualche mese prima, non era stato estinto. La banca aveva minacciato di
procedere, però non so se poi è andata avanti o meno la pratica. Alla fine la società
di Denaro e Puglisi ebbe anche un danno da questa vicenda, perché in virtù del
fatto che la società proprietaria aveva avallato la società acquirente,
chiaramente non pagando ed essendo firmataria della garanzia, andò in centrale
rischi, in allarme”.
“Fabio Lo Turco come persona
di fiducia di Ivan Soraci e dei fratelli Romeo è stato messo in campo per poter
gestire il denaro che doveva arrivare da Giuseppe Denaro”, ha aggiunto il
costruttore. “Anche perché io avevo detto loro che movimenti in contanti non
gliene facevo, e quindi hanno detto: Okay,
allora trova la forma di fare arrivare i soldi a Fabio Lo Turco e poi noi con Lo
Turco sappiamo come fare arrivare i soldi nelle nostre casse. A quel punto
io insieme al commercialista Benedetto Panarello che in quel momento era il
consulente della Carmel S.r.l., abbiamo creato un debito fittizio nei confronti
di Fabio Lo Turco, però non so se è rimasta traccia agli atti della società o
meno, anche se ritengo che negli atti della GDH deve esserci assolutamente,
appunto perché doveva giustificare il passaggio dei soldi, dove il dottore
Denaro inviava le somme per l’acquisto della quota a Fabio Lo Turco in virtù della
cessione del credito che la mia società Carmel S.r.l. aveva fatto nei confronti
di quest’ultimo”.
Il commercialista Benedetto Panarello
era stato presentato a Grasso nel 2011 dal costruttore Carlo Borella, in
occasione dell’acquisizione della Else S.p.A. di Milano. “Da quel momento lui ha
gestito buona parte delle società che io avevo su Messina e anche fuori”, ha dichiarato
Grasso. “Ci contattavamo anche via email; lui utilizzava la Co. Professional che
era la società intestata alla moglie ma realmente gestita da lui. Il consulente
è stato interpellato al fine di creare un documento credibile che potesse in
qualche maniera non essere soggetto a problemi di ispezioni e non essere in
nessun modo revocato. Quest’operazione borderline è stata congeniata in modo da
giustificare la cessione di credito a Fabio Lo Turco, ma allo stesso tempo non
si voleva rimanere in qualche misura in debito nei confronti di Lo Turco.
Carmel S.r.l. doveva creare nei confronti di Biagio Grasso un pagamento che
andasse a Fabio Lo Turco. Come? Solea S.r.l. era proprietaria al 100% di Fabio
Lo Turco. Questi vende le quote della Solea a Biagio Grasso per 220 mila euro.
Qui faccio un piccolo inciso in riferimento alla sopravalutazione quote, perché
il capitale sociale uninominale della Solea era 15 mila euro. Se Fabio Lo Turco
avesse ricevuto 220 mila euro faceva una plusvalenza di 205 mila euro. Quindi,
per chiarire questo punto, Benedetto Panarello cosa dice? Approfittiamo della sopravalutazione quote, che generalmente si apre e
si chiude entro giugno di ogni anno, paghiamo la tassa fissa, non mi
ricordo se il 3 o il 10%, e quindi anche
dal punto di vista di tassazione Lo Turco è a posto. Allora Grasso acquista
le quote da Fabio Lo Turco, ma non ha i soldi per pagare. Cosa fa? Interviene
Carmel, per conto di Biagio Grasso paga le quote a Fabio Lo Turco che incassa
220 mila euro. Panarello alla fine dice: L’unica
cosa da sistemare è il rapporto tra Biagio Grasso e la Carmel S.r.l.,
quindi è una cosa che rimane in famiglia e si deve chiarire in famiglia…”.
Quel
veliero-fantasma carico di coca che doveva approdare a Portorosa
Nel corso della sua
deposizione del 12 marzo, Biagio Grasso ha sostenuto che Ivan Soraci gli aveva
pure richiesto una collaborazione per portare a termine un traffico di
stupefacenti sulla rotta sud America-Sicilia. “Precedentemente alla vicenda Carmel,
Ivan Soraci mi aveva contattato per un altro affare abbastanza illecito
presentandomi un soggetto di nome Gianfranco con il soprannome Canaccio o Canazzo, una cosa di questo tipo”, ha dichiarato. “Mi presentarono poi
una persona che aveva a dir loro in transito un veliero proveniente dal sud
America con diversi centinaia di chili sostanze stupefacenti. Avevano bisogno
un porto di appoggio per il veliero e siccome Ivan Soraci era a conoscenza dei
miei stretti rapporti con Carmelo D’Amico, capo boss del clan di Barcellona, e
con Tindaro Calabrese, capo boss del clan di Mazzarrà Sant’Andrea, mi disse se mi
potevo mettere a disposizione e parlare con loro per fare entrare questo
veliero a Portorosa e dargli un posto sicuro dove potere scaricare gli
stupefacenti. Loro sapevano che se ci fosse stato l’appoggio di questi due clan
in quel territorio dove in quel momento la facevano da padrone, Portorosa
poteva essere una location ideale per organizzare con calma l’arrivo della
barca e quindi la successiva vendita della sostanza stupefacente. Per questo mi
avrebbero riconosciuto una percentuale importante sulla vendita. A me e quindi
al clan di Barcellona avrebbero riconosciuto un tot al chilo, un X abbastanza
importante. L’episodio accadde poco prima della costituzione della Solea e
quindi credo a fine 2008, inizi 2009. All’incontro gli ho detto: Guarda, prima di parlare con D’Amico voglio
sapere se questa cosa è vera o meno. Allora mi fecero incontrare in zona
Venetico Marina, nel litorale tirrenico, questo signore di accento prettamente
romano. Andammo a casa sua perché aveva dei problemi di salute abbastanza seri
e questo signore confermò quanto detto da quel tale Gianfranco e da Ivan Soraci,
e mi disse che la barca era già in transito e vicina alle coste dell’Europa e
quindi aveva necessità di avere il porto di attracco nel più breve tempo
possibile. Al che contattai Carmelo D’Amico il quale però mi diede picche e mi
disse che era troppo rischioso e che non poteva mettere a disposizione i suoi
uomini e tanto meno la sua organizzazione per questa operazione. Fui costretto
a dir loro che non se ne faceva niente e proseguirono per affari loro”.
“Carmelo D’Amico fu
interpellato perché Ivan Soraci sapeva del rapporto di collaborazione che
avevamo in quanto il D’Amico in quel periodo era anche proprietario insieme ad
un’altra persona di una società di calcestruzzo e quindi mio fornitore in
lavori abbastanza importanti, e quindi avevamo un rapporto quotidiano. Con
Carmelo D’Amico avevo un tipo di rapporto sia personale sia d’affari, in quanto
lui era consocio di una società denominata Map S.r.l. che mi ha fornito milioni
di euro di calcestruzzo in lavori che avevo io in quel periodo nella zona
tirrenica. Ho costruito ad esempio il centro commerciale di Milazzo e D’Amico
ha partecipato alla costruzione del complesso con forniture di calcestruzzo per
più di un milione di euro. Nell’ambito di questo lavoro, al principio ho avuto
un furto di tutta una serie di attrezzature che poi ho scoperto che sono state
fatte da un soggetto vicino sempre al clan dei barcellonesi, e in virtù di
questo, rivolgendomi a D’Amico, le ho ritrovate nell’arco di ventiquattrore. Sostanzialmente
poi ho lavorato con la protezione dei barcellonesi”. Grasso ha ricordato che a
presentargli l’allora boss del Longano era stato il pregiudicato Antonino Merlino,
anche lui facente parte del sodalizio mafioso barcellonese, poco prima del suo
arresto per la condanna definitiva come esecutore dell’omicidio del giornalista
Beppe Alfano. “Con Carmelo D’Amico ho pure gestito alcune vicende sempre in
campo imprenditoriale che hanno favorito il clan dei barcellonesi”, ha riferito.
“In alcune estorsioni fatte ad un altro mio collega che aveva dei lavori presso
il consorzio ASI di Messina, ho gestito per conto del clan sia la corruzione di
funzionari sia alcuni quattrini che l’imprenditore doveva versare al clan”.
“Con i Romeo di quella
iniziativa di droga se n’è parlato successivamente quando la conoscenza con loro
si è concretizzata”, ha aggiunto il collaboratore. “Ne parlai con Vincenzo
Romeo, però non erano delle attività in cui avevano interesse, con cui volevano
fare interessi. Si è parlato solamente del fatto che il Soraci aveva questa
tipologia di contatti e se ne parlò anche successivamente negli anni 2015, 2016
quando già il Soraci non era più in ottimi rapporti con Vincenzo Romeo. Quest’ultimo
mi aveva detto che Ivan Soraci rischiava di essere arrestato da qui a breve
perché era rientrato in giri collegati allo spaccio di sostanze stupefacenti. Di
questa vicenda era a conoscenza pure Maurizio Romeo, però, ripeto, loro erano
contrari a questa tipologia di investimenti (…) Mi risulta inoltre che il
Soraci deteneva per conto del gruppo diverse armi corte, 9 millimetri e 7 e 65,
però non ne sono sicuro. Me lo disse lui stesso e in un episodio specifico
assistenti ad una telefonata che ha ricevuto Vincenzo Romeo in mia presenza da
un soggetto che diceva che il Soraci era intervenuto su una vicenda che lo
interessava armato e quindi egli si lamentava. Gli disse: Il tizio si è presentato armato, volendo rappresentare la sua autorità
in quanto vicino a te. Al che Vincenzo Romeo andò su tutte le furie
dicendomi che lui non era autorizzato a muoversi con le armi ma solamente a
detenerle e non utilizzarle. Dopo accadde che lo rimproverò in maniera
abbastanza violenta. Io però materialmente di armi in uso no, non le ho viste”.
Biagio Grasso ha
concluso la sua deposizione rivelando una vicenda verificatasi dopo il suo
arresto nell’abito dell’operazione antimafia Beta. “Intorno all’ottobre del 2017, io ebbi un colloquio con mio
padre presso il carcere di Rebibbia dove ero detenuto e lui mi disse che aveva
ricevuto una visita di carattere perentorio da Ivan Soraci. Mio padre è una
persona anziana, quindi non è andato lì armato o roba del genere, però con
minaccia velata gli disse di contattare la professoressa Simona Agger a cui
avevo chiesto la cortesia di intestarsi temporaneamente la Procoim S.r.l.,
dicendogli di tornare le quote a Gaetano Lombardo, che è altro soggetto che in
quel momento faceva parte del sodalizio e che aveva detenuto le quote della
Procoim S.r.l. antecedente all’ulteriore passaggio fatto alla professoressa
Agger. Gli disse così di dirle che le somme investite dal gruppo erano tutte
quante presso i cantieri dove questa società era proprietaria e quindi doveva
ritornare queste quote indietro a Gaetano Lombardo, persona di fiducia dei
Romeo e anche mia per un certo periodo, per rientrare nel possesso della Procoim
S.r.l., proprietaria dei 64 alloggi in costruzione in località Villaggio
Aldisio, Messina, via Chinigò, nonché proprietaria per tutta una serie di atti
che erano stati fatti del terzo lotto del terreno che era rimasto presso il
complesso La Residenza al Torrente Trapani. Di questo contatto con Soraci mio padre
me ne parlò nel colloquio che ho avuto pochi giorni prima del mio trasferimento
al carcere di Arezzo. Lui chiaramente era abbastanza preoccupato perché già per
la vicenda della P & F sapeva che Ivan Soraci era direttamente collegato al
clan per cui eravamo stati arrestati e quindi facente parte in maniera diretta,
solo che era rimasto fuori dalla prima retata. Quindi in ogni caso sapeva che
si muoveva anche per quelle persone. Nelle more io in ogni caso già avevo
espresso a mio padre che volevo collaborare con la giustizia, cosa che avevo
cominciato a fare già dal 20 di luglio 2017 presso il carcere San Vittore. Per la
visita e la maniera in cui si è presentato il Soraci e considerato anche il
fatto che avevo cominciato a collaborare con la giustizia, avevamo paura di
ritorsioni anche nei confronti dei miei familiari…”.
Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 25 marzo 2019, http://www.stampalibera.it/2019/03/25/biagio-grasso-e-le-relazioni-pericolose-della-borghesia-messinese-le-dichiarazioni-del-pentito-nellultima-udienza-del-processo-beta/
Commenti
Posta un commento