Il Ponte sullo Stretto è Cosa Nostra di Catania e Messina
Gli appalti per la realizzazione
del Ponte sullo Stretto erano nelle mire del potente clan mafioso dei
Santapaola-Ercolano di Catania e delle famiglie
alleate di Messina e Barcellona Pozzo di Gotto. A rivelare ai giudici del
Tribunale peloritano le trame criminali per l’affaire del collegamento stabile
Calabria-Sicilia è stato il collaboratore di giustizia etneo Angelo Mascali
inteso Catina, già referente del clan Santapaola per la
zona di Monte Po. Il 12 febbraio scorso Mascali è stato sentito come teste al processo Beta sulle spericolate
operazioni imprenditoriali del gruppo mafioso dei Romeo-Santapoala, legato da
stretti vincoli parentali al potente boss di Cosa Nostra Benedetto “Nitto”
Santapaola.
Rispondendo alle domande dei Pm Liliana Todaro e Fabrizio
Monaco, il collaboratore ha ricordato in particolare un episodio risalente alla
primavera del 1998, quando in un summit all’interno di una palestra sita nel
quartiere catanese di Picanello, presente Pietro Santapaola (nipote messinese
di don Nitto), i rappresentanti mafiosi delle Sicilia orientale si soffermarono
sulla futura gestione degli appalti e dei subappalti per la costruzione del
Ponte. “Mi ricordo un fatto
specifico in cui come gruppo di Catania ci siamo rivolti a Piero ed Enzo Santapaola
e a Ciccio Romeo, di quando si parlava del Ponte di Messina che si doveva fare”,
ha esordito Angelo Mascali. “Ne parlavamo in una riunione in una palestra: ci
sono parecchie entrate, soldi…. Si parrava
ca si dovevano fare le costruzioni di ‘stu Ponte di Messina già. Diciamo
che si stavano individuando chi erano gli appaltatori che stavano facendo
queste cose. Non mi ricordo ora chi erano gli appaltatori, anche perché se ne
occupava Pippo Mirenna”. Originario di Paternò, Giuseppe “Pippo” Mirenna è
stato definito dagli inquirenti come il ministro
dei lavori pubblici di Cosa Nostra della Sicilia orientale, essendosi
occupato e sempre di infiltrazioni criminali negli appalti pubblici. “Della
base principale per le istruzioni degli appalti si occupava lui”, ha aggiunto
il collaboratore. “Quando abbiamo parlato del Ponte sullo Stretto di Messina,
si parlava dell’estorsione, degli appalti e cose, che ci dovevamo rivolgere a
Pippo Mirenna per quanto individuava l’appaltatore. Ora non mi ricordo se ha
nominato l’appaltatore… Si parlava ancora quando iniziava ‘sta cosa, non è che
si sapeva l’appaltatore chi era o chi l’ha preso perché ancora manco ha iniziato. Sempre Mirenna diceva che nella
zona di Messina c’erano molti lavori da fare però erano fra Messina e
Barcellona… Io ho detto a Mirenna poi
parliamo con Enzuccio perché là ci sono i suoi parenti, i figli di Natale Santapaola,
Piero e l’altro fratello, e adesso è pure uscito il cognato di Santapaola,
Ciccio Romeo. A Barcellona c’erano i barcellonesi che si interessavano pure…
Con Pippo Mirenna si parlava di appalti di lavori di tutta la Sicilia , perché
era lui quello che sbrigava tutti i cosi…
”.
Nel corso della sua deposizione Angelo Mascali ha ripercorso
le tappe della sua scalata criminale ai vertici di Cosa Nostra e della sua
controversa collaborazione con le forze dell’ordine (nel 2013 gli è stato
revocato il programma di protezione a seguito di una condanna per reati
commessi insieme ad altri esponenti criminali etnei qualche anno dopo l’avvio
della collaborazione). “Io facevo parte del clan Santapaola che operava nella
città di Catania”, ha dichiarato Angelo Mascali. “Ero dirigente del clan, mi
occupavo sia degli omicidi, delle estorsioni, bene o male di tutto. Non è ca i cuntu l’omicidi di cui mi sono
accusato: 30, 40, non lo so, 50, boh… Poi dal 26 giugno 1998 ho iniziato a
collaborare con la giustizia, fino ad adesso. Nel 2014 sono stato arrestato che
mi hanno trovato un’arma”. Mascali ha confermato di conoscere alcune delle persone
che operavano a Messina, affiliate di fatto al gruppo Santapaola: “Erano il
Ciccio Romeo e i nipoti Enzo e Pietro Santapaola. Loro, per quello che mi
diceva il figlio di Benedetto Santapaola, si occupavano di estorsioni, cose di
Messina. Per la ripartizione degli appalti nella criminalità organizzata erano
loro il riferimento nostro a Messina. Sì, loro erano componenti della famiglia
Santapaola…”.
L’ex uomo di vertice del gruppo di fuoco di Monte Po ha
ricordato come in occasione dell’incontro a Picanello in cui si parlò del
Ponte, fu affrontato pure il tema della guerra in corso tra gli affiliati al
clan Santapaola-Ercolano e la cosca dei “carcagnusi” guidata da Santo Mazzei, neoalleata
dei corleonesi di Totò Riina e
Leoluca Bagarella. “Si parlava di uccidere una persona, si trattava di Aldo La
Rocca, il rappresentante di Caltagirone della famiglia Santapaola; era il mio
padrino quando mi hanno fatto uomo d’onore”, ha dichiarato Mascali. “Aldo La
Rocca lo dovevamo uccidere per gli stretti rapporti con Vito Vitale che era a
capo dei corleonesi e per fronteggiare quella strategia che avrebbe portato
alla eliminazione degli esponenti della famiglia Santapaola. Praticamente lo
volevamo uccidere perché aveva interrotto i rapporti con noi. Nel 1998 mi avevano
portato a Palermo da Vito Vitale per dirci di uccidere il figlio di Benedetto
Santapaola, Enzo Santapaola, il nipote di Santapaola, insomma di eliminare la
famiglia Santapaola e portare il nome
di Santo Mazzei. A parrari cu Vito
Vitale mi ci ha portato Aldo La Rocca, Ciccio Riela e Massimo Vinciguerra. Salvatore
Chiavetta, il cognato di mio fratello Salvatore, mi ha invece accompagnato fino
a un distributore di benzina nella Catania-Palermo….”.
“Quando sono ritornato a Catania ho parlato allora sia con
Maurizio Zuccaro, sia con Enzo Santapaola, sia con altri componenti della
famiglia e allora ho deciso di uccidere le tre persone che mi avevano portato a
Palermo. Quando si è deciso, io, mio fratello e altre persone abbiamo ucciso a
Massimo Vinciguerra che era dirigente del clan Mazzei. Poi dovevamo uccidere
Riela e Aldo La Rocca. Arrivato il momento, lo mando a dire a Enzo Santapaola di
Messina e a Piero, ma mi dicono di non
tuccari a Aldo La Rocca con tramite il barcellonese… Allora gli ho detto no, questo qua ha tradito la famiglia Santapaola,
si doveva uccidere perché già avevamo ucciso il fratello di Riela, però in quel
momento mi è stato dato un blocco dal figlio di Santapaola dicendomi che poi scinneva o Piero o Enzo Santapaola a
Catania per parlare insieme. Invece poi hanno arrestato a tutti e non si è
potuto fare più niente”.
Pur tra qualche non
ricordo, Angelo Mascali ha confermato alla dottoressa Liliana Todaro che la
decisione di eliminare La Rocca fu esplicitata al messinese Pietro Santapaola
proprio in occasione del summit nella palestra di Picanello del 1998. “L’incontro
è avvenuto poco prima del giugno, mese in cui venni arrestato”, ha riferito. “Alla
riunione oltre a me e a Piero Santapaola, presero parte Vincenzo Santapaola ed
altre persone; c’era pure il figlio di Benedetto Santapaola, mio fratello,
Giuseppe Lanza, Maurizio Zuccaro. Se non ricordo male c’era pure Nicola Maugeri…
Si parlava di uccidere i componenti dei Mazzei; si parlava di uccidere al più
presto possibile Aldo La Rocca e di tante cose…”. Angelo Mascali ha poi
confermato il contenuto di un verbale d’interrogatorio reso il 3 dicembre 1998
alla Procura di Catania. “All’incontro a Picanello ho spiegato a Piero
Santapaola come erano andate le cose ed egli si fece convinto della bontà della
nostra idea di eliminare il La Rocca; ci disse che avrebbe riferito tutto a suo
zio Ciccio Romeo, il quale non aveva potuto prendere parte alla nostra riunione
perché eccessivamente controllato dalle Forze dell’ordine di Messina. In quella
occasione Piero Santapaola ci disse che egli e suo zio Ciccio Romeo stavano
aspettando che Vincenzo, figlio di Natale, ultimasse di scontare la semilibertà
per meglio organizzarsi come gruppo nella provincia di Messina”.
“Io conosco Vincenzo Santapaola da ragazzino, poi l’ho perso
di vista”, ha aggiunto Mascali. “Conoscevo la buonanima di suo padre, Natale,
che ci piacevano i cavalli. Con mio padre si conoscevano. Poi l’ho rincontrato
al carcere di Messina, nel 1987-88 (…) Quando è stato che i barcellonesi hanno
mandato a dire di non toccare Aldo La Rocca, perché poi viene Piero… Ci ‘u spiega Pieru, mi diceva Enzo Santapaola,
il figlio di Benedetto, io ho avvertito la necessità di parlare con Piero Santapaola.
I barcellonesi ci hanno mandato a dire di fermare un poco la situazione perché non vonnu che ci toccu ad Aldo La Rocca,
praticamente lo difendevano. Lo hanno mandato a dire con Piero Santapaola, se
non mi ricordo male era stato il barcellonese Gullotta (Pippo Gullotti,
reggente della famiglia del Longano Nda).
Io però a lui non lo conosco, non l’ho mai visto in vita mia. Gullotta si era
messo come un paciere, tramite Piero Santapaola. Loro a Catania non ci potevano
scendere, così forse ci veniva più facile con Piero. Quando i barcellonesi
mandarono a dire che loro potevano garantire per Aldo La Rocca, Vincenzo Santapaola,
figlio di Benedetto, organizzò un incontro con Piero, al fine di chiarire allo
stesso che il La Rocca era indifendibile. Noi se lo vedevamo u mmazzavumu uguale, non ci interessava mancu dei barcellonesi… Poi però a La
Rocca non lo abbiamo ammazzato perché era in galera. Poi ni attaccanu tutti assiemi, e comu fazzu a mmazzallu?...”.
All’ultima udienza del processo Beta ha deposto pure il fratello dell’ex reggente di Monte Po,
Sebastiano Mascali, anch’egli affiliato al clan Santapaola dal 1982 fino al 1998
e successivamente collaboratore di giustizia. “Ho conosciuto Vincenzo Santapaola,
nipote di Benedetto Santapaola, quello di Messina”, ha dichiarato. “L’ho
conosciuto in carcere a Messina, a Gazzi, dopo che fui arrestatu pi na rapina a una banca qua a Messina nel 1986, mi
sembra. Se non mi ricordo male ora, era attaccato
lui per un omicidio ca ao mazzatu a unu
fora, non lo so, un omicidio che avevano fatto loro. In carcere con questo
Vincenzo Santapaola parlavamo no chiu e
non menu, lui si dichiarava sempre innocente, poi non lo so se era vero o
no. Ho pure conosciuto il fratello Piero Santapaola, i messinisi niautri i chiamavumu, picchì iddi non stavunu a Catania,
stavunu a Messina. Io Piero l’ho conosciuto fuori, non in carcere, picchì Piero era minorenne, se non
sbaglio, così il fratello Vincenzo mi diceva. Credo che l’ho conosciuto nel ’97,
mi sembra che era sì, ’97 o ’98 nei principi,
ca poi fummu arrestati, dopo un paio di mesi”.
Anche Sebastiano Mascali ha confermato la partecipazione di
Pietro Santapaola al summit nella palestra di Picanello dove si parlò degli
appalti del Ponte sullo Stretto e dell’intenzione di assassinare il boss del
calatino Aldo La Rocca. “A Piero l’ho incontrato in una riunione na vota intra na palestra ca a Catania,
ficiumu na riunioni cu il figlio di Benedetto Santapaola. C’era, se non mi
ricordo male, Santo La Causa, Maurizio Zuccaro, Antonio Motta, io, e poi c’era
mio fratello Angelo Mascali e Nuccio Cannizzaro. Na palestra di Picanello ci ni funnu tanti riunioni là; si parlava
di tante cose là, di fare omicidi, di fare estorsioni… Eravamo tutti riuniti
gli uomini d’onore. A queste riunioni nella palestra a Piero Santapaola l’ho
visto una volta sola, dopo non l’ho visto più. Però prima a Piero l’ho visto
che era imputato con noi nell’Orsa
Maggiore, però na nautra iaggia, iddu
era na nautra cella singola, e noi
eravamo in un’altra cella, però sulu c’era ciao ciao, non più di tanto. Dopo
tanti anni lo vedo fuori quannu iddu
è uscito pure. Na palestra ci siamo
salutati affettuosamente con questo braccio, con un bacio comu facevumu cu tutti pari”.
Sebastiano Mascali ha pure confermato di aver conosciuto in
carcere anche il messinese Francesco “Ciccio” Romeo. “Lui se non mi sbaglio è
cognato di Benedetto Santapaola, era imputato con noi con l’Orsa Maggiore, no processu do clan di
Santapaola; con lui si parlava di cose banali, di caccia, non si parlava
più di tanto…”, ha aggiunto. Poi il racconto sul conflitto tra i santapaoliani
e gli ex affiliati passati nelle file dei carcagnusi
e dei corleonesi di Vito Vitale. “Con
Aldo La Rocca ci furono tanti problemi… c’era Pippo Intelisano, andava a
Palermo a parlare con Vito Vitale quannu
era latitanti e poi un giorno Vitale mannau
a chiamari a mia con mio fratello, però abbiamo deciso di andarci o io o lui
perché tutti e due assieme non ci andavamo mai, perché questi uccidevano gente macari solo per uno sguardo… Ci dissi a me frati o ci vai tu o ci iemmu,
cussi videmu e poi videmu chi volunu e ci è andato solo mio fratello Angelo (…) Con Vito Vitale si parlava di fare
il clan di Mazzei, di livari a
famiglia Santapaola e noi poi ci siamo ribellati tutti e abbiamo fatto altri para di omicidi. Ad Aldo La Rocca la ‘omo mazzari a poi dopu, perché era d’accordu chi palermitani. La Rocca però
era sostenuto da Vito Vitale che era contrario all’uccisione. Favorevole ad
Aldo La Rocca c’era puru ‘u barcellonese
(Pippo Gullotti, Nda), io non l’ho
conosciuto mai, però dice ca si
ncuntravunu, era rappresentante di Cosa Nostra a Barcellona. Contrario all’omicidio
c’era pure Massimo Vinciguerra che poi è stato ucciso da noi personalmente, era
un altro uomo d’onore del clan Mazzei, do
carcagnusu. A Massimu Vinciguerrra,
u purtammu a casa mia direttamenti e ‘u
ffucammu intra… Poi c’era pure quello dei camion, Francesco Riela, abbiamo
ammazzato a so frati per sbaglio, aomo ammazzari a lui e ammazzamu a so frati.
Era il ’98, tre-quattro mesi prima ca
facevunu ca l’arresti, picchì già sapevumu noi da una informazione dei
Carabinieri dei ROS di Palermo che c’erano un gruppo che venivano arrestati, non
di preciso chi, però sapevumu che erumu
noi. Poi c’è stato il blitz ed io e mio fratello Angelo siano stati
arrestati. Avevamo avuto una soffiata dei ROS di Palermo è già u sapevumu ca c’erunu l’arresti, no ni aiutammu a fari l’omicidi,
chiossai ni facevumu e megghiu era na du periodu…”.
Il teste Sebastiano Mascali ha spiegato ai Pm peloritani che
il clan catanese aveva la piena disponibilità della palestra di Picanello per i
summit perché i più stretti congiunti del boss Santapaola erano amici dei
proprietari. “La palestra apriva al pubblico, se non mi ricordo male, alle
dieci e mezza o a mezzogiorno. Noi ci andavamo di mattina perché non c’era
nessuno e c’era attipu na saletta, ni
inficcavumu là perché stavumu attenti pe microspii picchì na du periodu l’aomo
truvatu da tutti i parti, nelle macchine, a tutti i parti e ci stavamo sempre
attenti, perciò di fatti poi ficiumi tri, quattru voti dà, poi non ci siamo
andati più e siamo andati na autri posti. Di fattu poi i microspii ca c’erunu
veramenti, ci laono misu i Carabinieri de ROS, che poi le abbiamo trovate pure,
ne citofoni di casa, di tutto l’avevumu misi…”.
Anche Sebastiano Mascali si è soffermato sulla
presenza del messinese Pietro Santapaola agli incontri di Picanello. “Quando ci
incontrammo nella palestra facemmo presente a Piero quale era la nostra
posizione e lo stesso si mostrò propenso ad accogliere la nostra richiesta,
affinché i barcellonesi non prendessero le difese di Aldo La Rocca. Ricordo che
raccomandammo a Piero di farsela alla
larga, ma con Piero vi sono state altre riunioni a Catania in cui si
discusse degli appalti di Messina. A tale incontro ricordo che prese parte
anche Pippo Mirenna, c’era lui picchì
si parlava di appalti, di Messina, perché se ne occupava lui… Poi si misunu a parlare fra di loro, picchì niautri non ni occupavumu d’appalti,
io personalmente no, facevumu omicidi
nuautri sulu e basta, di autri cosi non ni interessavumu. Ricordo che
quando io e Piero Santapaola fummo liberati dal carcere, Piero riprese ad
occuparsi di fatti attinenti l’organizzazione per il settore degli appalti. Con
Pippo Mirenna si occupavano loro. Mirenna era un affiliato al clan nostro, si
occupava di cose di appalto, di tutti i fatti… Quannu nasciu ‘u spitali Garibaldi di Catania noi abbiamo preso u guatu di soddi…”.
Articolo pubblicato in Stampalibera.it il 9 marzo 2019, https://www.stampalibera.it/2019/03/09/il-pentito-mascali-al-processo-beta-il-ponte-sullo-stretto-e-cosa-nostra-di-catania-e-messina/?fbclid=IwAR0Q-ADtkoO02YslrlbGqj0jA4oNetg9sMVGj7-_uB6lYy8wHrJC8cPNR2M
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