Scuole armate e militarizzazione dell’istruzione in Italia
Introduzione
E
la Buona Scuola va alla guerra…
Dove va la scuola italiana?
Alla guerra… Contemporaneamente alla progressiva privatizzazione e
precarizzazione del sistema educativo, si assiste ad un soffocante processo di
militarizzazione delle istituzioni scolastiche e degli stessi contenuti
culturali e formativi. Come accadeva ai tempi del fascismo, le scuole tornano
ad essere caserme mentre le caserme si convertono in aule e palestre per formare lo studente-soldato votato
all’obbedienza perpetua. Nelle scuole di ogni ordine e grado si sperimentano
comportamenti, percorsi e curricula del tutto subalterni alle logiche di guerra
e agli interessi politico-militari e geostrategici interalleati, complici
innanzitutto i governi che si alternano alla guida del Paese, gli inamovibili
burocrati del Ministero dell’Istruzione e i dirigenti reclutati ormai solo se
rigidi osservanti del pensiero neoliberista e militarista imperante.
Gli esempi sono infiniti
anche se del tutto sottovalutati dall’opinione pubblica e dagli stessi
educatori ed insegnanti, per lo più disattenti o forse anche normalizzati dai disvalori imposti nella
società italiana dalle dissennate logiche del mercato. Così accade che alle
città d’arte, ai musei e ai siti archeologici, presidi e docenti preferiscano
sempre più le visite alle basi Usa e Nato “ospitate” in Italia in barba alla
Costituzione o quelle alle caserme, agli aeroporti, ai porti militari, alle
installazioni radar e alle industrie belliche. Non c’è giorno che gli studenti
non vengano chiamati ad assistere a cerimonie e parate militari, alzabandiera,
conferimenti di onorificenze a presunti eroi di guerra. Ci sono poi le
molteplici attività didattico-culturali affidate a generali e ammiragli docenti (dalla lettura ed
interpretazione della Costituzione, all’educazione ambientale e alla salute,
alla lotta alla droga e alla prevenzione dei comportamenti classificati come
“devianti”, bullismo, cyberbullismo, ecc.); i cori e le bande di studenti e soldati; gli stage “formativi” su
cacciabombardieri, carri armati, sottomarini e fregate di guerra; l’alternanza
scuola-lavoro a fianco dei reparti d’élite delle forze armate o nelle aziende
produttrici di armi di distruzione di massa. A ciò si aggiunge la progressiva
trasformazione delle stesse strutture scolastiche a fini sicuritari con
l’installazione di videocamere agli ingressi e nei corridoi e la proliferazione
di dispositivi elettronici identificativi e di controllo sociale (tornelli ai
portoni, l’obbligatorietà per studenti e docenti ad indossare badge,
l’illegittima imposizione all’uso del rilevatore elettronico delle presenze del
personale educativo, ecc.). In un vero e proprio clima di caccia alle streghe e
criminalizzazione generale, questori e prefetti ordinano le incursioni delle
forze di polizia all’interno delle aule con perquisizioni a tappeto e cani
antidroga sguinzagliati a sniffare zaini, giacche e cappotti. Proliferano
altresì i divieti di assemblea e delle attività autogestite degli studenti e i
locali scolastici vengono dichiarati off-limits in orario pomeridiano, mentre
viene minacciata l’azione penale e civile contro ogni forma di occupazione. A
concorrere al rafforzamento del processo di militarizzazione del sistema
scolastico l’approvazione di leggi che hanno conferito ai presidi poteri
illimitati e istituzionalizzato gerarchizzazioni e discriminazioni tra gli insegnanti;
la precarizzazione de iure e de facto della figura e delle funzioni del
docente; il dilagante esautoramento degli organi collegiali; l’uso
indiscriminato dei procedimenti amministrativi contro il personale della scuola
disobbediente e il riconoscimento ai dirigenti di poter esercitare
contestualmente il ruolo di inquirente, pubblico ministero e giudice nei
contenziosi con i dipendenti.
In queste pagine ci
limiteremo a descrivere le modalità con cui la scuola italiana sta abdicando
alle sue funzioni educative e formative delle nuove generazioni: consentire
alle forze armate di occupare ogni sfera della didattica per fini ideologici
assolutamente in contrasto con i valori su cui si dovrebbe fondare la scuola
pubblica significa violare la Costituzione e i principi fondamentali della
difesa delle libertà, della democrazia, della giustizia sociale e della pace. L’apertura di scuole e istituti al
personale dei corpi armati dello Stato ha come fine la legittimazione sociale
tra i giovani del militare quale
pilastro portante della Repubblica (e di conseguenza della condivisione
generale delle dispendiose e contraddittorie missioni internazionali, del
sempre più asfissiante intervento dei reparti in attività di controllo
dell’ordine pubblico e repressione, ecc.). Le forze politiche e le autorità
militari proponenti del modello scuola-caserma
non nascondono tuttavia finalità prettamente formative di quello che dovrà essere l’uomo e cittadino modello in un mondo sempre più segnato dalle
incolmabili differenze redistributive della ricchezza e dalla guerra globale e
permanente. Il 7 aprile 2016, nel corso di un incontro-dibattito all’aeroporto
militare di Viterbo con oltre 500 studenti delle scuole della città, sempre
Roberta Pinotti ha spiegato che “nell’addestramento
dei nostri militari ci sono dei valori che sono davvero quelli di cui oggi
abbiamo bisogno (…) La diffusione della cultura della Difesa tra i giovani
è un mezzo fondamentale per far sviluppare nelle future generazioni un maggiore
senso civico e una maggiore consapevolezza dei propri doveri…”.
Tutto
ciò, in fondo, riproduce in ambito scolastico il “nuovo” modello con cui è
interpretata in sede nazionale e Nato la cosiddetta “difesa”: un inestricabile
network civile-militare (CIMIC in
gergo bellico), dove spariscono differenze, metodologie e confini tra le
attività e le operazioni nella sfera pubblica e sociale (con i primi a sparire
ovviamente i “civili”) e dove è poi la stessa “sfera pubblica” ad essere
sottoposta all’egemonia e al controllo dei militari e del “privato”.
Il processo di militarizzazione della sfera
educativa-scolastica è un fenomeno che si è sviluppato con particolare energia
nell’ultima decade, anche se in precedenza non erano mancate intese formali tra
il Ministero dell’Istruzione e la Difesa. Nell’anno scolastico 2007-08, ad
esempio, fu siglato nell’aula magna della
Scuola Militare “Teulié” di Milano un protocollo tra l’Ufficio scolastico regionale
e il Comando dell’Esercito della Lombardia che ha fatto un po’ da battistrada a
successive collaborazioni scuola-forze armate. “L’accordo ha la finalità di far
attecchire sensibilità, solidarietà e senso civico in una generazione
problematica dal punto di vista educativo”, si legge nel protocollo. Nello
specifico venivano proposte agli studenti cinque aree progettuali: la prima
sulla solidarietà, tesa a “creare
servizi e strutture per i ragazzi di lontane e più sfortunate nazioni”; seguiva
l’area salute e benessere con i “consigli
per uno stile di vita psico-fisico positivo”; quella civico-culturale finalizzata alla ricerca storica e a “stimolare la
sensibilità verso i familiari di un caduto in missione di pace”; il training day, “competizione
ginnico-militare” condotta da ufficiali dell’Esercito e dalle Associazioni d’Arma;
infine l’orientamento per informare gli
studenti sulle opportunità professionali nelle forze armate”. Bisogna comunque
attendere il settembre 2014 perché la partnership tra istituzioni scolastiche e apparato
militare venga formalizzata in ambito nazionale: le allora ministre all’Istruzione Stefania Giannini e alla Difesa Roberta
Pinotti firmavano un Protocollo d’Intesa per favorire l’approfondimento della Costituzione
italiana e dei principi della Dichiarazione universale dei diritti umani, in
riferimento all’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione. I due
dicasteri s’impegnavano a “sensibilizzare la porzione più giovane della
popolazione su un tema così toccante quale è il centenario della 1^ Guerra
Mondiale”, organizzando incontri e conferenze “durante le quali i
militari, oltre a illustrare i fatti storici che la caratterizzarono, spiegheranno
ai ragazzi il fondamentale ruolo delle Forze Armate a difesa della democrazia”.
Istruzione e Difesa concordavano altresì di “attivare
nelle scuole un focus sulla funzione centrale che la Cultura della Difesa ha svolto e continua a svolgere a favore della
crescita sociale, politica, economica e democratica del Paese”. Con una
circolare del 15 dicembre 2015, il MIUR
elencava i percorsi progettuali da affidare alle forze armate contemplando quasi
tutti i campi didattico-disciplinari: dalla storia alle scienze, dalle nuove
tecnologie al diritto, dallo sport alla geografia politica, ecc..
Come abbiamo visto,
l’accordo MIUR-FFAA enfatizzava il concetto di Cultura della Difesa, non nuovo in ambito militare e sicuritario,
ma ignoto al mondo scolastico e della formazione. Per comprenderne in parte il
significato bisogna andare al testo della legge n.124 del 2007 con cui sono stati “riformati” i servizi segreti. Tra gli
obiettivi della nuova architettura d’intelligence nazionale viene specificato
quello di “far crescere la consapevolezza per i temi dell’interesse nazionale,
e della sua difesa, in tutte le declinazioni che esso assume di fronte alle
sfide della globalizzazione e alle minacce transnazionali che arrivano dentro
il sistema Paese mettendo a rischio
la sua integrità patrimoniale e industriale, la sua competitività, la sicurezza
delle sue infrastrutture e dei sistemi informativi”. In verità i riferimenti
della legge sono alla Cultura della Sicurezza e l’organo preposto alla sua definizione è
il nuovo Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS), che sovrintende alle attività delle
due agenzie d’intelligence, l’AISE per la “sicurezza esterna” e l’AISI per
quella “interna”. “Il DIS deve essere
in continuo contatto con il sistema educativo nazionale, dalle scuole superiori
alle università, e con tutti coloro che si occupano a vario titolo di
intelligence e contribuiscono alla creazione di una via nazionale per la diffusione della cultura della sicurezza”,
specifica la legge n.124/2007. Nei fatti viene sancita la cooptazione del
sistema scolastico e accademico all’interno degli apparati sicuritari e
militari riproducendo il modello implementato in quei paesi che hanno fatto
della guerra l’essenza stessa della propria esistenza (Israele, petromonarchie,
ecc.).
Perché
la Cultura della Difesa diventi
argomento di analisi e confronto tra gli strateghi militari per poi essere
assunto acriticamente dalla politica si è dovuto attendere qualche tempo. Con
il secondo governo Conte e l’inedita coalizione Pd-M5S e partititi satelliti,
per la diffusione della Cultura della Difesa e della Sicurezza
è stato perfino delegato un sottosegretario di Stato, l’on. Angelo Tofalo,
ingegnere progettista nei settori delle telecomunicazioni strategiche e della
videosorveglianza e un master in Intelligence e Security alla Link Campus
University di Roma. Con lo Stato maggiore della Difesa e il Segretariato generale
della Direzione nazionale armamenti, il neoministro Lorenzo Guerini e il
sottosegretario Tofalo hanno avviato un ciclo di conferenze itineranti per
spiegare la Cultura della Difesa
all’interno di università e centri di ricerca. “L’obiettivo è quello di facilitare
i cittadini a comprendere i temi di interesse strategico per la Difesa, acquisire
sistemi ed equipaggiamenti per le forze armate, valorizzare le capacità dell’industria
nazionale e sostenere la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica”,
spiega il Ministero. Si punta cioè ad estendere a tutte le fasce sociali e
generazionali l’incondizionato consenso per le forze armate, le missioni di
guerra internazionali e il complesso militare-industriale affinché i cittadini
siano disponibili a sempre maggiori sacrifici in termini di tagli salariali e
accesso ai servizi sociali. Tutto ciò con lo scopo d’indirizzare sempre più
risorse finanziarie pubbliche alla produzione e all’acquisto di armi
tecnologicamente avanzate. “Invito
tutti ad essere attori di uno sforzo comune per far crescere la Cultura
della Difesa e la consapevolezza del ruolo che riveste per il Sistema
Paese”, ha dichiarato il ministro Guerini ad un recente convegno
promosso dalle maggiori aziende aerospaziali e dal Centro Alti Studi della
Difesa. “Dobbiamo intraprendere
tutti gli sforzi necessari per avviare un percorso teso ad incrementare
gli investimenti e
allineare, progressivamente, il rapporto budget Difesa–PIL alla media
degli altri Alleati europei. Le risorse destinate alla
Difesa devono essere viste come uno straordinario volano economico”. La Cultura della Difesa assolve anche la
funzione di sensibilizzare i cittadini sulle”minacce” onnicomprensive alla
sicurezza, anche perché essi possano assolvere a compiti di controllo e
vigilanza. Su chi e cosa l’ha spiegato lo Stato maggiore in un convegno del 23 gennaio 2020: “attori non militari (civili, operatori di agenzie governative e non,
operatori dei mass media e combattenti regolari e irregolari); uso
indiscriminato e terroristico di qualsiasi strumento di offesa da parte di
soggetti non-statuali; sfruttamento della dimensione del cyberspazio; uso della
propaganda tramite i new media per acquisire il controllo delle opinioni;
possibile uso di armi CBRN (chimiche,
biologiche, radiologiche, nucleari), ecc..
Con
l’inizio del corrente anno scolastico, gli incontri per diffondere la Cultura della Difesa e i “valori delle forze armate” sono stati
estesi a numerose scuole secondarie di primo e secondo grado, mentre sono
sempre meno quelle che inseriscono qualsivoglia riferimento alla cultura della pace nei piani
dell’offerta formativa. Un occhio di riguardo è riservato pure agli alunni
delle primarie anche grazie modalità subdole e strumentali, come ad esempio
quelle sperimentate all’ultima edizione del Festival dei Bambini, la kermesse culturale che accoglie a Firenze
centinaia di scolaresche provenienti da tutta la Toscana. “Il Festival rappresenta un appuntamento
importante per trasmettere ai bambini il senso della Cultura della Difesa,
seppur in un contesto ludico e spensierato”, ha dichiarato il portavoce
dell’Esercito. “Sono tante le iniziative che proponiamo per far conoscere le
attività svolte ogni giorno dalle Forze
armate a sostegno della collettività e con le quali misurarsi:
dalla parete di roccia al percorso sportivo militare, dalla simulazione di
atterraggio con elicottero all’apprendimento delle tecniche per maneggiare le sostanze
pericolose. Nella sede dell’Istituto Geografico Militare, i più piccoli
potranno cimentarsi con laboratori per apprendere il mestiere del Cartografo, provare l’emozione di
sentirsi Comandante salendo sul
simulatore di plancia di una nave della Marina militare, Pilota di
Aeroplano grazie al simulatore di volo dell’Aeronautica o diventare Carabiniere
per un giorno con vere e proprie indagini sulla scena del crimine (…) Si potrà
toccare con mano alcuni dei mezzi in dotazione alle Forze armate come il Lince
dell’Esercito, un modernissimo battello della Marina, l’aereo MB339
dell’Aeronautica”. Un’intuizione pedagogica per rendere sempre meno visibile la
linea di demarcazione tra i tradizionali giochi di guerra e la Guerra come gioco.
Continua…..
Il saggio su Scuole armate e militarizzazione dell’istruzione in Italia può essere scaricato integralmente e gratuitamente da https://www.academia.edu/44978745/Scuole_armate_e_militarizzazione_dellistruzione_in_Italia
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