Stop alla deriva reazionaria della Scuola
Antonio Mazzeo, docente dell'ICS
"Cannizzaro-Galatti" di Messina, è vittima di un provvedimento
disciplinare da parte della Dirigente Scolastica dell'Istituto in cui lavora,
per aver contestato la presenza della propaganda militare e dell’Esercito nella
scuola. Essendosi espresso con chiarezza contro la visita di una delegazione
della Brigata Aosta, mai deliberata dagli organi collegiali e in aperto
contrasto con i valori didattico educativi della scuola, si ritrova accusato di
aver pubblicamente danneggiato l'immagine della scuola per aver espresso la
propria opinione pubblicamente, opinione che è nei fatti in pieno accordo con
il dettato costituzionale. Di seguito un’intervista al collega, cui USB esprime
tutta la sua solidarietà.
Il
rapporto della scuola pubblica statale con le Forze Armate e quelle di Polizia
c'è sempre stato, retaggio anche del ventennio fascista. La Buona Scuola,
in modo particolare con l'Alternanza Scuola Lavoro, hanno portato un
salto di qualità. Insomma, ancora "Libro e moschetto, fascista
perfetto", dopo oltre 70 anni dalla Resistenza?
Beh,
consentitemi una precisazione. La scuola post-fascismo, per quanto ancora
permeata di autoritarismo e velleità ideologiche post-unitarie e del Ventennio,
anche forse proprio per le tragedie e le vergogne militariste dei primi 45 anni
del secolo, non si era caratterizzata come centro “educativo” e terreno di
conquista delle forze armate. Il complesso processo di democratizzazione e di
apertura culturale segnato dai movimenti di lotta del ’68 e degli anni ’70 ha
poi garantito anticorpi solidi contro i tentativi di ri-militarizzazione delle
istituzioni scolastiche e del sapere. Così i fragili tentativi dei militari di
cooptare, nell’allora esercito di leva, le menti e i corpi migliori (vedi gli
“orientamenti” per i soli maschi nell’ultimo anno della scuola superiore) si
scontravano con sempre più ampie contestazioni da parte di studenti certamente
più politicizzati e soprattutto no-guerre. Il processo di democratizzazione e
apertura liberale e “pacifista” si è purtroppo interrotto a partire dalla fine
degli anni ’80, contemporaneamente all’aziendalizzazione-privatizzazione del
sistema educativo nel quadro del piano di ristrutturazione dei rapporti sociali
ed economici del neoliberismo. La “Buona Scuola” è solo l’ultimo tassello,
purtroppo, di questa controrivoluzione e si accompagna al piano di revisione
“ideologica” e strutturale delle forze armate italiane (e NATO), dove
l’obiettivo chiave è il cosiddetto “CIMIC”, un’unitarietà
fisica-ideologica-culturale civile-militare, dove si cancella qualsivoglia
linea di demarcazione tra quelli che in passato erano due mondi distinti e –
talvolta – in aperto conflitto. Scuole-caserme e studenti-soldati funzionali
alle logiche spietate del mercato che annulla identità, differenze,
soggettività, disobbedienze, relegando tutti in una lotta disumana per la
sopravvivenza, precaria.
Sulla
deriva reazionaria di tante dirigenze scolastiche. Non si contano più le
studentesse e gli studenti denunciati alle procure della Repubblica anche per
delle assemblee spontanee all'interno degli istituti. E la presenza della
Digos, chiamata dalla preside o dal preside, all'interno delle scuole, è
diventata una presenza ordinaria. In questo contesto, il corpo docente perché
non agisce, come lamentano i movimenti studenteschi?
Credo
si stia pagando oggi nella scuola l’inesorabile processo dell’ultimo trentennio
fatto di isolamento della categoria, delegittimazione della funzione
dell’insegnamento e del sapere, imposizione autoritaria di concetti
neofascisti, ecc. Trent’anni significano ben altre identità, storie, patrimoni
culturali delle figure educatori-insegnanti, questi ultimi ovviamente con
radici e formazioni del tutto distinte da chi è comunque cresciuto in un Paese
che ha conosciuto quella mobilità sociale e limitata democratizzazione che
erano state negate dopo l’Unità d’Italia e ovviamente con il regime fascista.
In fondo la scuola ha rappresentato per tanti anni l’ultima frontiera di
resistenza culturale al dominio del mercato e della concorrenza spietata.
Quella frontiera è crollata per ricostruire nuove frontiere-muri fatti di
isolamento, solitudine, paura, frustrazione, senso di precarietà, quanto ormai
caratterizza cioé il quotidiano essere della maggior parte del personale
docente. Da qui il silenzio-assenso di fronte i vergognosi comportamenti dei
dirigenti-questori e la crescente repressione di ogni forma di dissenso e
“alterità” di studenti e colleghi.
La
valenza politica dell'attacco repressivo nei tuoi confronti è chiara e forte.
Tu non sei solo un insegnante. Sei anche un giornalista, che non ha mai piegato
la schiena davanti a nessuno. Una miscela esplosiva per la scuola che non ha
mai dismesso l'idea del binomio "fascista libro e moschetto". Quindi,
si apre ufficialmente una stagione per la difesa della democrazia all'interno
dell'istituzione scuola, che dovrebbe essere essa stessa un'avanguardia per la
difesa della democrazia...
Non
mi piace assolutamente personalizzare questa vicenda, perché aldilà della sua
specificità, è paradigmatica di quanto sta accadendo un po’ ovunque:
cancellazione dei diritti costituzionali in tema di uguaglianza, pace-guerra,
libertà di espressione e insegnamento, ecc.; mortificazione degli organi
collegiali e del senso di agire e operare collettivamente; il predominio del
disvalore scuola-azienda e degli indicatori economicisti e neoliberisti sui
valori e i contenuti pedagogici; autoritarismo, verticismi piramidali e
assoggettamento alla logica “organizzativa” di stampo militare; espropriazione
dell’azione insegnante e affidamento dei “contenuti” (e della loro
rielaborazione strumentale) ai soggetti “esterni” (imprenditori, industriali,
manager, generali, ammiragli, ecc.). Siamo davvero al punto-limite, alla data
cruciale. O riparte l’opposizione sociale generale (da parte del personale
scolastico, degli studenti, delle organizzazioni di rappresentanza sindacale,
politica, ecc.), oppure si chiuderà definitivamente questo processo storico,
con la cancellazione totale delle conquiste democratiche, sociali, salariali. I
margini di resistenza sono davvero pochi. Per questo dobbiamo difenderli in
ogni modo. Soprattutto noi, la generazione che si è vista rubare sotto gli
occhi l’agibilità politica e sindacale e che rischia di consegnare ai propri
figli un mondo e una scuola cento, mille volte peggiore di quella ricevuta dai
propri padri.
Tantissimi,
in queste ore, nei tuoi confronti gli attestati di solidarietà e di vicinanza.
Chi manca?
Mancano
ad oggi, purtroppo, proprio coloro che pur sproloquiando di “democrazia”,
“diritti”, “libertà”, “pace”, hanno trasformato l’Italia in una caserma-lager
per annientare corpi, anime e speranze (i “migranti” sono stati per anni le
cavie della sperimentazione di questo modello oggi esteso ai “cittadini” e ai
“lavoratori-studenti”). Ma non importa. Nelle nostre lotte di questi anni,
dalla resistenza ai processi di militarizzazione dei territori e in difesa dei
beni comuni, per i diritti, il lavoro degno e contro la precarietà e ogni forma
di sfruttamento, questi soggetti non li abbiamo mai avuti accanto.
Intervista a cura di USB – Unione Sindacale di Base –
Pubblico Impiego Scuola, pubblicata in Scuola.Usb.it, il 27 maggio 2018, http://scuola.usb.it/index.php?id=20&tx_ttnews[tt_news]=102733&cHash=fe4225cbae&MP=63-1027
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