Operazione Beta 2. A Messina la mafia è glocal

Dalle speculazioni edilizie ai centri commerciali nell’ultra saccheggiato territorio peloritano; dall’Expo di Milano alle alchimie finanziarie nei paradisi fiscali; dalla compravendita di petrolio in America latina e Turchia alle monocolture intensive e alla deforestazione selvaggia in Africa. Sono di dimensione locale e globale – glocal – gli affari di certa imprenditoria d’assalto della provincia di Messina, contigua o funzionale alle più invasive organizzazioni criminali e mafiose. È quanto traspare dai verbali non omissati del neocollaboratore di giustizia Biagio Grasso, il noto costruttore originario di Milazzo finito agli arresti il luglio dello scorso anno, nell’ambito dell’operazione “Beta” della DDA di Messina sulla “famiglia” Romeo-Santapaola ed i suoi più stretti consiglieri-consigliori finanziari e legali.
“Il mio ruolo all’interno dell’organizzazione era quello della gestione delle società, nella parte edile e nel rapporto con le istituzioni”, esordisce Grasso nell’interrogatorio del 12 dicembre 2017, giorno in cui è formalizzata la sua collaborazione con i magistrati antimafia della Procura della Repubblica. “Il rapporto è iniziato con Vincenzo Romeo nel 2010 e poi terminato nel periodo in cui mi sono recato in Africa, circa sei mesi prima dell’arresto. I beni di cui oggi dispongo sono la Se.Gi. Srl; XP Immobiliare; Procoimm Srl, proprietaria di 68 appartamenti in costruzione presso Fondo Fucile; Grasso Costruzioni Srl; Carmel Srl, attualmente detenuta da Francesco Bertuccelli, proprietaria di 28 appartamenti in località Torrente Trapani; AZ Shipping Srl ed Edil Raciti Srl, controllate da Franco Lo Presti (…) Io stesso sono stato tra i primi soci della Banca di Credito Cooperativo Antonello da Messina, tramite la società LG Costruzioni SpA e ho movimentato milioni di euro in contanti, nell’epoca 2007-2010 quando era direttore il dottor Fabrizio Vigorita…”.

Trame e tresche sull’impero Demoter

Il 4 gennaio 2018, il costruttore milazzese si sofferma sulle complesse operazioni per impossessarsi, grazie ad intestazioni fittizie, di parte dei beni provenienti dall’imprenditore Carlo Borella, già presidente dell’ANCE, l’associazione dei costruttori edili peloritani, anch’egli tra gli arresti eccellenti di “Beta” per “aver concorso, senza farne parte, del gruppo Romeo-Santapaola”, ponendo “a disposizione occulta degli interessi economici del sodalizio mafioso le imprese Cubo SpA e Brick Srl, ad egli riferibili, ed in cui erano confluiti rami di azienda della Demoter SpA (dichiarata poi fallita), relativi all’esecuzione di opere pubbliche, anche in territorio diverso dalla Sicilia”.
“Conosco Carlo Borella da diversi anni in quanto quest’ultimo era socio di Nino Giordano nella realizzazione del Centro commerciale Carrefour di Milazzo, i cui lavori furono curati dalla mia impresa LG Costruzioni”, racconta Biagio Grasso. “I rapporti poi si inclinarono con Giordano mentre restarono buoni con Borella. Per tale ragione, allorquando ebbi l’opportunità di occuparmi di alcune società a Milano, lo contattai. Le operazioni riguardavano in particolare le società Else SpA e Fondazioni Else (…) Io e Borella acquistammo la Else attraverso la ITC Srl con sede a Milano, il cui amministratore era Roberto Forliano, prestanome mio e di Borella. Fondazioni Else fu costituita da me, dal Borella e dalla famiglia milanese Vandoni. Nel patrimonio di Fondazioni Else confluì il patrimonio di Else SpA, consistente in lavori in corso, certificazioni ed attrezzature, idem per un ramo d’azienda riferibile a Demoter, attraverso un contratto d’affitto. Il ramo d’azienda fu affittato a Fondazioni Else perché la Demoter aveva seri problemi economici e Borella stesso mi rappresentò che erano già state presentate delle istanze di fallimento e problemi finanziari con un cantiere in Tunisia. Il canone d’affitto fu determinato dal commercialista Benedetto Panarello, d’intesa con me e Carlo Borella”.
Grasso ammette la non congruità del canone fissato rispetto al valore reale dei beni, anche perché essi erano destinati ad un maxi affaire, i lavori di realizzazione dei padiglioni dell’Expo 2016 di Milano. “Il canone aveva un margine di profitto elevatissimo anche perché conteneva delle certificazioni per lavori in sottosuolo illimitate che in quel periodo storico avrebbero generato tramite appalti diretti o subappalti, profitti per decine di milioni di euro, tenuto conto di lavorare con l’Expo di Milano, dei contatti di Vandoni, miei e di Borella, anche con contatti all’estero ove fu trasferita parte delle attrezzature, in Egitto a Porto Said”, spiega il costruttore. “Ricordo che più o meno questa vicenda si concluse tra fine 2011 e metà del 2012; del resto Fondazioni Else non proseguì l’attività in quanto fu colpita da interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Milano, credo sempre sul finire del 2011. Avverso questa interdittiva fu proposto anche ricorso attraverso l’avvocato Brambilla con studio nei pressi della Stazione Centrale di Milano, che in quel periodo fu poi anche arrestato. A quel punto avendo ricevuto sia Else che Fondazioni Else l’interdittiva antimafia, cercammo di arraffare quanto era possibile vendendo le attrezzature e commettendo una serie di distrazioni…”.
Biagio Grasso riconosce di aver ricoperto un ruolo determinante pure nelle attività finanziarie di due società nate dopo il fallimento della Demoter Spa, l’holding delle costruzioni, dei lavori pubblici e della movimentazione terra del gruppo Borella con milionarie commesse in Italia e all’estero. “Per quanto riguarda la Cubo SpA e Brick Srl devo distinguere due periodi, uno attiene alle fasi operative e a quelle relative alla costituzione di queste due società, i cui dettagli mi sono stati riferiti da Carlo Borella e da me verificati consultando la documentazione relativa allorquando esse entrarono nella disponibilità mia, di Vincenzo Romeo e dell’avvocato Andrea Lo Castro attraverso il prestanome Fabio Lo Turco; un secondo periodo riguarda la mia gestione diretta di queste due società”, spiega il collaboratore. “Come mi disse Carlo Borella, la costituzione di Brick e di Cubo rispose all’esigenza di spostare in altre società le attività sane di Demoter che versava in una situazione di allarmante insolvenza. Queste operazioni furono consigliate da Benedetto Panarello, che per come riferitomi da Borella, subentrò allo studio Cacace in un programma di riorganizzazione di tutto il gruppo, in base al quale Demoter spogliata dei rami d’azienda continuava ad essere gestita dal padre Benito Borella e dalla sorella Zelinda e contabilmente credo ancora dai Cacace, Salvatore e della di lui moglie Patrizia, mentre le nuove società Cubo, Brick ed Epuroxy ebbero come amministratori persone riferibili a Carlo Borella”. Sempre secondo Grasso, alla “consulenza fiscale e strategica” del commercialista Benedetto Panarello, fu affiancata quella prettamente giuridico-legale del noto professionista messinese Andrea Lo Castro. “Per quanto ne so, Lo Castro come avvocato di Borella e di Demoter era sicuramente a conoscenza delle vicende relative alla costituzione di Brick e di Cubo in relazione ai lavori eseguiti da Demoter in Sicilia e in Calabria”, dichiara il costruttore. “Per realizzare la cessione della Cubo in mio favore, Fabio Lo Turco, nostro prestanome storico, mio e di Vincenzo Romeo, acquistò il 100% di Brick Srl e divenne di riflesso proprietario di Cubo SpA, in quanto Brick era unica controllante della medesimo Cubo. Lo Turco acquistò Brick da Emanuela e Christian Mazzola, questi ultimi figli di Domenica Borella sorella di Carlo. Le quote non furono mai pagate. Una stanza dei miei uffici di viale Boccetta 70 a Messina fu destinata alla gestione di Brick e Cubo, la cui parte amministrativa fu curata da Patrizia Surace, quest’ultima compagna di Carlo Borella. Filippo Spadaro fu confermato quale amministratore di Cubo come richiesto dal Borella quale condizione per la conclusione di questa operazione. Spadaro continuò a gestire, ma su indicazione mia, di Lo Castro e Vincenzo Romeo; egli si occupò pure di trasferire le migliori attrezzature della Cubo provenienti da Demoter in Costa d’Avorio attraverso un affitto fittizio intercorso tra Cubo e Demoter Afrique, vicenda nella cui io ero in disaccordo ma per la quale acconsentii per evitare tensioni con Borella”.

Dagli inferni di Maregrosso e Ghana passando dai paradisi transalpini

Nel corso dei suoi interrogatori con i magistrati della DDA, Biagio Grasso rivela l’esistenza di una società-cassaforte nella disponibilità dell’imprenditore Carlo Borella, creata appositamente all’estero per sfuggire ai controllo fiscali e giudiziari in Italia. “Matura SA ha sede in Lussemburgo e fa capo solo a Carlo Borella e non ad altri componenti della famiglia”, spiega il costruttore milazzese. “La società è seguita da uno studio con sede a Lugano, in contatto con Benedetto Panarello, nel senso che Panarello portava a questo studio clienti interessati a schermare le loro proprietà attraverso fiduciari. Io stesso accompagnai Borella e Panarello in questi uffici di Lugano, nei pressi del parcheggio sotterraneo, e partecipai ad una riunione con uno dei rappresentanti dello studio. Borella infatti intendeva verificare, essendo stato coinvolto e rinviato a giudizio per fatti di mafia relativi alle vicende delle estorsioni subite, se in caso di richiesta della DDA lo studio avrebbe fornito informazioni relative alla riconducibilità al Borella e alla Matura SA. In quell’occasione gli fu risposto che, ove le richieste di informazioni da parte dell’Autorità Giudiziaria avessero riguardato fatti di mafia, essi avrebbero comunicato il nominativo del reale proprietario della società. Diversamente, la procedura sarebbe stata più lunga e richiedente anche rogatoria internazionale”.
Sempre secondo Grasso, la fiduciaria di Borella in Lussemburgo sarebbe interessata ad un centro commerciale in località Maregrosso in via di completamento e per cui la società proponente, la Risanamento Messina Srl in mano all’imprenditore Antonino Giordano, ha già presentato agli uffici comunali l’istanza di apertura e autorizzazione alla vendita. “All’operazione è interessato anche Carlo Borella tramite la Matura SA”, ha dichiarato. “lo stesso accompagnai una volta a Messina da Milazzo l’esponente della criminalità barcellonese Treccarichi, in rapporti con Carmelo D’Amico e Pietro Santapaola, perché intendeva intervenire su Giovanni Tortorella, il quale intendeva sottoporre ad estorsione Antonino Giordano che aveva in corso, con la società Procoge, la realizzazione del complesso commerciale di Maregrosso”.
Non solo lottizzazioni e cementificazioni nel portafoglio affari di Biagio Grasso e dei colletti bianchi partner delle famiglie di mafia. Le inchieste giudiziarie hanno provato da tempo come in particolare la produzione di energia eolica sia tra le attività più ambite delle consorterie criminali e così anche il neocollaboratore peloritano non poteva non fornire ulteriori tasselli per comprendere certi scenari dell’eco business. “L’avvocato Andrea Lo Castro ha gestito per conto mio, di Vincenzo Romeo e nel suo stesso interesse una operazione riguardante l’acquisizione di una società del settore eolico con sede a Bari, denominata RW Srl”, ha verbalizzato nell’interrogatorio dell’11 gennaio 2018. “L’operazione era stata segnalata a Lo Castro da Francesco Scirocco, al quale a sua volta era stata segnalata da un tale Ciccone o Cippone, soggetto pugliese. Lo Scirocco è un imprenditore della zona di Patti che è stato arrestato ed è amico e socio di Lo Castro in diverse attività. La società da rilevare era in difficoltà economica ma aveva delle ottime potenzialità, avendo il brevetto per la realizzazione di motori eolici e tecnologia avanzata. Nell’affare il Lo Castro era in società con me ed il Romeo, in quote uguali, ma apparentemente l’acquisizione l’avrei portata a termine solo io attraverso una società con sede a Londra denominata HIF Ltd, controllata al 100% da me. Io mi recai in Puglia per conoscere il titolare ed amministratore di questa società, di nome Nicola, e per verificare la fattibilità economica dell’investimento. Avendo notato l’enorme esposizione debitoria dell’impresa ho preferito non portare avanti l’operazione, comunicandolo a Romeo e Lo Castro. Il Romeo mi disse poi che essa era stata proseguita direttamente da Lo Castro con Scirocco”.
Il 20 luglio 2017, subito dopo l’arresto nell’ambito dell’operazione “Beta” ma cinque mesi prima del suo ingresso nel programma di protezione per i collaboratori di giustizia, Biagio Grasso si era soffermato su alcuni progetti d’investimento avviati direttamente con uno dei presunti leader del sodalizio mafioso, Vincenzo Romeo, figlio di Francesco “Cicco” Romeo e nipote del boss etneo Nitto Santapaola. Uno di essi riguardava nello specifico un’importante operazione immobiliare nel comune di Villafranca Tirrena. “Siamo nel 2012 e Romeo mi dice: Ti voglio presentare una persona…, tale Stefano Barbera, suo factotum, che entra in contatto con me perché insieme ad un fantomatico soggetto di nome Antonio Montero hanno un accordo con dei proprietari di terreno a Villafranca Tirrena per fare un grossissimo centro sportivo”, spiega il costruttore. “Parliamo di una cosa micidiale, quattro campi di calcio… cose fuori dal mondo, che io non capivo qual era il ragionamento sotto. Questo grosso investimento era collegato ad operazioni finanziarie con il Montero, attraverso una sua società di cui era dipendente anche Barbera. Questo Montero è portoghese, attualmente vive ad Amburgo e io l’ho conosciuto personalmente; la società si chiama Estrategia e non era italiana. Però lo stesso Romeo mi dice: No, guarda, perché secondo me comunque sono chiacchieroni, perché lui anche da questo punto di vista è molto furbo, cioè, ti mette sempre alla prova, non ti dice mai quello che pensa, ti dice sempre il contrario. Io guardo le carte ed effettivamente quel centro sportivo lì in quel posto, io conosco bene la zona, mi sembrava una cosa completamente assurda. Ho detto: Qualcosa c’è sotto, infatti poi, andando avanti, il Montero insieme a Barbera gli serviva perché dovevano fare un’operazione di finanza strutturata, come si chiamava all’epoca, dove con un progetto riuscivano a reperire dei fondi”. Nonostante il bluff di Villafranca Tirrena, Biagio Grasso continuò a tessere relazioni con il Montero sino a progettare una possibile compartecipazione in una compravendita di greggio da fare in Turchia. “Ma era tutto fittizio”, afferma Grasso. “Io verifico che non aveva la licenza e dico a Romeo: A me l’operazione non interessa! Il Barbera con Romeo aveva un certo tipo di rapporto, non so come, convince Romeo a fare l’operazione e questi consegna a Montero e Barbera 175 mila euro in contanti presso l’Hotel Liberty. Era il 2012…”.
Fallite le operazioni speculative e finanziarie in Sicilia, Lombardia e Turchia, per Grasso sarebbe iniziato un “periodo difficile”, anche a causa – come da lui dichiarato - del peggioramento delle sue relazioni con Vincenzo “Enzo” Romeo. Così il costruttore avrebbe deciso di trasferire buona parte delle sue attività economiche nel continente africano congiuntamente a Michele Spina, imprenditore operativo in mezza Italia nel settore delle ricevitorie di scommesse, già cogestore della Sala Bingo “Jack Pot” di Piazza della Repubblica a Messina, nonché “nipote di Sebastiano Scuto, originario di San Giovanni La Punta, con precedenti per associazione a delinquere di stampo mafioso, ritenuto soggetto impegnato per il reimpiego ed il riciclaggio dei capitali illeciti del clan Laudani, federato ai Santapaola”, come riportano i ROS dei Carabinieri nella loro informativa alla DDA di Messina del 7 settembre 2015. “Con lo Spina siamo stati in Africa da settembre a fine ottobre 2016”, racconta Grasso. “Spina aveva un aggancio in Ghana tramite un ragazzo di Roma, mi pare che si chiama Claudio, e quindi mi disse: Biagio, andiamo in Ghana così cerchiamo di risolvere la situazione perché ci possono essere ottimi guadagni e ci leviamo Romeo da dosso perché non ce la faccio più….”.
“Erano delle operazioni sempre di leva finanziaria, tutte documentabili, che poi sono andate tutte quante male perché si è incartato il sistema del mondo, mi sono rimasti solo i contatti e la possibilità di fare operazioni tipo quelle che stavo facendo in quest’ultimo periodo tra Dubai e l’Africa, nel campo dei metalli preziosi”, prosegue l’odierno collaboratore di giustizia. “Avevo con il Governo del Ghana la possibilità di avere delle concessioni minerarie per oro e una per quanto riguarda il legno, un’operazione molto, molto, molto grossa. Praticamente le comunità locali hanno piantato circa vent’anni fa tutta una serie di alberi che oggi sono pronti ad essere recisi, però non hanno né le capacità organizzative né tantomeno quei pochi fondi che ci vogliono per reciderli. Quindi, c’è un accordo già fatto dove io mettevo a disposizione sia la mia esperienza sia i miei canali. Il 50% delle somme di ricavo andava a loro e il 50%… un’associazione in partecipazione. Mentre un altro grosso business, che non so se posso dire avevo o ho in corso, è sempre col Ghana per quanto riguarda gli investimenti in campo agricolo, sia in mais che in riso e in altre tipologie del genere, perché c’è una grossissima richiesta interna. A Dubai avevo invece un aggancio con una persona, Mohamed Kamal, un mio carissimo amico che ha tutte le licenze per fare in training di metallo, oro e diamanti”.
Un ecocrimine di dimensioni planetarie quello perpetuato dalle transnazionali del cibo e del legno in territorio africano. Solo in Ghana, la meta di Grasso & soci, le monocolture di prodotti agricoli (primo fra tutti il cacao) e il saccheggio di legname per l’esportazione hanno prodotto negli ultimi quindici anni la distruzione di 120.000 ettari di aree protette e di circa 7.000 km quadrati di foreste pluviali…

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