Operazione Beta. La Messina dei colletti bianchi verso il processo
La Mafia a Messina esiste e
ha peculiari caratteristiche locali ma con ramificazioni, dinamiche e interessi
globali. Mafia 2.0 l’ha definita la
Direzione Distrettuale Antimafia, un’organizzazione “nuova” che si presenta e
manifesta grazie al “raccordo di vari mondi con quello più tipicamente mafioso”.
Un clan criminale in grado di “collegare i reati di istituto mafiosi con quelli
appropriativi, corruttivi e di truffa di altri sistemi, dagli appalti al gioco,
riconoscere che all’intimidazione si sostituisce la passività e la rassegnazione
preottenuta, la corruzione e la paura a priori di scontrarsi con il potere, e
che al dominio del territorio strada si sostituisce il dominio all’interno
della società in leve vitali della realtà sociale, imprenditoriale, professionale,
ma anche bancaria finanziaria e politica”.
Giovedì 7 giugno, il
Tribunale di Messina deciderà sulla richiesta di rinvio a giudizio dei 50
imputati del procedimento denominato “Beta”, scaturito a seguito dell’omonima
operazione antimafia del luglio dello scorso anno, un vero e proprio terremoto
giudiziario con tanto di arresti eccellenti di noti imprenditori,
professionisti e legali e delle vecchie e nuove leve della criminalità
peloritana. In particolare, i sostituti procuratori della Repubblica Liliana Todaro,
Fabrizio Monaco e Antonio Carchietti hanno contestato il delitto di
associazione mafiosa per il pregiudicato Francesco Romeo inteso “Ciccio”
(cognato del boss Benedetto “Nitto” Santapaola), i figli Benedetto, Pasquale e Vincenzo
Romeo; il nipote Antonio Romeo; i fratelli Pietro e Vincenzo Santapaola (anch’essi
nipoti di Francesco Romeo); il costruttore milazzese Biagio Grasso; Stefano
Barbera (originario di Messina ma residente a Rometta); i tecnici informatici Giuseppe
Verde, N.L. e Marco Daidone. Secondo i magistrati, essi avrebbero
“fatto parte di un’associazione, promossa da Francesco Romeo e diretta da
Vincenzo Romeo, appartenente a Cosa Nostra e collegata al clan Santapaola-Ercolano
di Catania, la quale, avvalendosi della forza di intimidazione derivante dal
vincolo associativo e dal rapporto con l’organizzazione madre e della
condizione di assoggettamento e di
omertà che ne deriva, operava allo scopo di commettere una serie indeterminata
di delitti – estorsione, intestazione fittizia di beni, reimpiego di denaro,
beni o utilità di provenienza illecita, frodi informatiche, gioco d’azzardo
illegale e trasferimento fraudolento di beni, corse di cavalli - nonché per
assumere il controllo di servizi di interesse pubblico (quali quello per la
consegna a domicilio di parafarmacie per la distribuzione di farmaci), di
autorizzazioni e concessioni (per l’esercizio dei giochi); per condizionare
l’andamento di pubbliche forniture (quali quelle legate all’acquisto da parte
del Comune di Messina di immobili da adibire ad alloggi); per assumere il
controllo e l’esecuzione di pubblici appalti (subentrando di fatto nella
gestione delle imprese Demoter e Cubo aggiudicatarie di rilevanti lavori
pubblici, anche allo scopo di svuotarle dei contenuti patrimoniali per
realizzare bancarotte con frode a danno dei creditori”. Sempre secondo i
sostituti della Procura della Repubblica di Messina, Francesco “Ciccio” Romeo,
in qualità di promotore dell’organizzazione, “sovrintende alle attività
dell’associazione mafiosa, interviene negli affari e nelle decisioni più
rilevanti; decide gli investimenti economici e gli esborsi; assicura il flusso
di denaro necessario alla gestione degli interessi dell’organizzazione e cura
il finanziamento degli affiliati e dei soggetti”.
Per gli inquirenti, il
figlio Vincenzo Romeo avrebbe invece assunto il compito di dirigere le attività
illecite, selezionare ed organizzare gli investimenti economici e le attività
da svolgere mediante prestanomi, assicurare la gestione degli interessi sui
territori, “curando i rapporti con le altre organizzazioni mafiose e, per
quanto attiene al settore dei giochi illeciti e delle scommesse clandestine,
dirigere e controllare il settore, mediante le società a lui riconducibili,
Start Srl, Win Play Soc. Coop., di cui è dipendente, e tramite la Bet Srl,
imponendo ai titolari di sale giochi e internet point l’acquisto di pc e
dispositivi di gioco collegati alla rete internet, curando la gestione
amministrativa e finanziaria, la predisposizione dei server e dei software, la
manutenzione e la raccolta delle somme derivati dai giochi e dalle scommesse e
la risoluzione delle problematiche tecnico-informatiche”.
Ai congiunti Benedetto e
Pasquale Romeo i compiti di collaborare nelle attività illecite, “curare in
proprio alcune attività economiche riferibili al gruppo” e “intervenire nella
commissione di reati funzionali alla presenza criminale sul territorio”. Contro
i fratelli Pietro e Vincenzo Santapaola, l’accusa di aver gestito direttamente
o indirettamente attività economiche per contro del gruppo criminale, curando
settori commerciali strategici della grande distribuzione (come ad esempio la
gestione di macellerie del gruppo Giannetto), “ovvero avviando in proprio la
gestione di supermercati senza investimenti economici propri”. All’imprenditore
Biagio Grasso è contestata la gestione degli investimenti economici
“avvalendosi delle condizioni di operatività assicurate dall’organizzazione e
in concreto delle imprese e delle edilizie e degli affari della società XP
Immobiliare, nonché delle società formalmente appartenenti al gruppo Borella”.
Sempre Grasso avrebbe curato la partecipazione ai lavori pubblici e le
“questioni legate all’andamento sociale e aziendale” del gruppo criminale. Antonio
Romeo e Stefano Barbera dovranno invece rispondere all’accusa di aver operato
alla “dipendenza dei capi”, il primo gestendo settori illeciti quali le corse
dei cavalli, il secondo “operando in stretto raccordo con i vertici
dell’associazione anche nei rapporti strategici con soggetti ed operatori
economici”.
Gioco
d’azzardo, internet e corse di cavalli maltrattati e dopati
Forte l’attenzione degli
inquirenti per il settore scommesse clandestine curato dagli altri imputati di
associazione mafiosa del procedimento “Beta”. “N.L. collabora con
Vincenzo Romeo, intrattiene rapporti con i titolari dei marchi di scommesse
maltesi, mette a disposizione del sodalizio la sua competenza tecnica nel
settore delle scommesse, anche mediante la creazione di skin”, riporta la
richiesta di rinvio a giudizio della DDA di Messina. “Marco Daidone, in qualità
di master per il sito Betgame 24, abilita i profili di gioco degli esercenti e
gestisce una delle skin utilizzate. Giuseppe Verde ha l’incarico del ritiro e
del versamento dei proventi delle scommesse e si occupa della soluzione delle
problematiche di tipo informatico”.
Sempre a N.L.,
Marco Daidone e Giuseppe Verde, in concorso con i fratelli Vincenzo, Benedetto
e Gianluca Romeo, Giovanni Bevilacqua, Giovanni Marano, Caterina Di Pietro e
F.L. è contestata l’accusa di aver installato e gestito presso alcuni
esercizi pubblici ubicati nel territorio di Messina (tra essi il Millenium
Sport Group, Copacabana Srl, l’Associazione di promozione sociale Accademia del
Biliardo, il Bar Ustica, la Biliardi Sport Srl, il Bar del Villaggio, Piazza
Point di Grosso Tiziana, il Ritrovo Mondello, l’ASD Pool Direction, il Ritrovo
Rowenta) slot machines, “nonché apparecchi terminali, strutturati nella forma
di totem e collegati alla rete
internet, per effettuare gioco a distanza, in assenza di autorizzazione da
parte dell’AAMS o licenza ai sensi di legge”. Questi stessi imputati avrebbero
agevolato il gioco d’azzardo all’interno dei locali pubblici ove erano installati
i dispositivi elettronici di genere vietati; inoltre, in assenza di specifica
licenza, avrebbero organizzato e gestito la raccolta di scommesse su eventi
sportivi e su corse virtuali di cani, con attività di intermediazione per conto
di un allibratore straniero anch’esso privo di concessione. “In particolare –
scrivono i magistrati messinesi – effettuavano attività di gestione di
scommesse quali terminali di una rete di agenzie e internet point dislocate sul
territorio cittadino (quali il bar di Catanzaro Tania, Piazza Point di Grosso
Tiziana, il Ritrovo Mondello, ASD Pool Direction, Ritrovo Rowenta, Gold Bet
FSA), tramite siti collegati a Internet service provider allocati all’estero e
in particolare a Malta, tra cui i siti Betgame24.com e Bet610.com, non
autorizzati a operare in Italia, nonché tramite la piattaforma connessa al sito
Racingdogs.eu, con sede a New York”.
Francesco, Vincenzo, Antonio
e Benedetto Romeo, con i congiunti Gianluca e Maurizio Romeo; Antonio Rizzo,
Salvatore Lipari, Paolo Lo Presti, Antonino Di Blasi, Francesco Altieri e
Giovanbattista Croce, dovranno rispondere dell’accusa di aver organizzato ed
effettuato in concorso “più corse clandestine di cavalli sulla pubblica via,
con relative scommesse illecite”, nonché di aver sottoposto gli equini a
fatiche “non sopportabili” e a veri e propri maltrattamenti, “addestrandoli e
facendoli partecipare a competizioni in condizioni non adeguate alle loro
caratteristiche etologiche” e “somministrando agli stessi, farmaci, al fine di
incrementare artificiosamente le prestazioni agonistiche e con modalità dannose
per la loro salute”.
Messina
e quei colletti bianchi
Del delitto di concorso in
associazione mafiosa (artt. 110 e 416 bis I. II, III e IV comma) dovrà
rispondere invece il noto avvocato messinese Andrea Lo Castro, “perché senza
esservi organicamente partecipe, traendone vantaggi personali, contribuiva al
perseguimento degli scopi dell’associazione di tipo mafioso promossa e diretta
da Francesco Romeo”. Sempre secondo i sostituti procuratori della Repubblica di
Messina, Lo Castro avrebbe messo a disposizione la propria attività di
professionista per “consentire il riciclaggio di denaro proveniente da reati,
la falsa intestazione di beni, l’elaborazione di strategie per la sottrazione,
in frode ai creditori, della garanzia patrimoniale sulle obbligazioni;
prestandosi in prima persona a formare fatture, contratti e documenti falsi, ad
intentare cause in qualità di attore, a fungere da prestanome per
l’intestazione di beni”.
Altro potente colletto
bianco protagonista dell’inchiesta “Beta”, l’imprenditore Carlo Borella, già
presidente dell’ANCE, l’associazione dei costruttori edili peloritani, accusato
anch’egli di “aver concorso, senza farne parte”, del gruppo Romeo-Santapaola.
“In particolare – scrive la DDA – Borella poneva a disposizione occulta degli
interessi economici del sodalizio mafioso le imprese Cubo S.p.A. e Brick Srl,
ad egli riferibili, ed in cui erano confluiti rami di azienda della Demoter
S.p.A. (dichiarata poi fallita), relativi all’esecuzione di opere pubbliche,
anche in territorio diverso dalla Sicilia, e comprensivi di varie attrezzature,
provento di distrazione commessa in danno della Demoter, raggiunta anche da
interdittiva antimafia; in tal modo favoriva l’infiltrazione del clan nel
settore degli appalti pubblici e privati, ove operava la Demoter e,
successivamente la Cubo S.p.A., avvalendosi della forza del clan e dei legami
della famiglia Romeo con la criminalità organizzata calabrese, per procurare la
ripartenza di taluni lavori aggiudicati in Calabria alla Demoter e, quindi,
trasferiti alla Cubo, ottenendo anche supporto finanziario, in cambio di una
futura ripartizione di utili, conseguente al rapporto societario di fatto così
instaurato dal Borella con Biagio Grasso e Vincenzo Romeo, ed avente ad oggetto
anche la cessione dei mezzi delle citate imprese in danno dei creditori, per
ricavare liquidità”.
Di “accesso abusivo a
sistema informatico e telematico” devono rispondere gli immancabili Vincenzo
Romeo e Biagio Grasso, in concorso con Lorenzo Mazzullo (autista in servizio
presso la Procura della Repubblica di Messina) e altri soggetti ancora non
identificati. Mazzullo, nello specifico, si sarebbe introdotto nei sistemi
informatici protetti da misure di sicurezza riservati alle forze di polizia
“per apprendere informazioni relative alla posizione di Romeo e Grasso
(determinatori)”; agli stessi, venivano poi rivelate notizie riservate relative
a procedimenti penali, “nonché la notizia della collaborazione con la giustizia
intrapresa da Carmelo D’Amico, esponente di vertice della mafia barcellonese,
area territoriale di provenienza di Biagio Grasso”.
Capitolo ancora da definire
in tutti i suoi contorni è quello relativo alla presunta infiltrazione
criminale del gruppo Romeo-Santapaola in alcune importanti operazioni di
edilizia pubblica e privata avviate negli ultimi anni nella città dello
Stretto. Per una di esse è imputato nel procedimento “Beta” un altro
personaggio eccellente, l’ingegnere Raffaele Cucinotta, dipendente del
Dipartimento Ufficio Urbanistica del Comune di Messina. Per Cucinotta, i
sostituti della Procura della Repubblica hanno chiesto il rinvio a giudizio
perché in concorso con Biagio Grasso, Vincenzo Romeo e Stefano Barbera, avrebbe
turbato la procedura di acquisto sul libero mercato di alloggi da assegnare in
locazione ai cittadini aventi diritto e che abitavano all’interno di 95
baracche in località “Fondo Fucile”, indetta dal Comune di Messina con delibera
di Giunta n. 151 dell’11 marzo 2014. “Cucinotta, in particolare, per il tramite
di Stefano Barbera, per consentire alla ditta privata XP Immobiliare Srl,
gestita di fatto da Grasso e Romeo, di risultare aggiudicataria all’esito della
procedura, riferiva notizie riservate sulla gara, attraverso il funzionario
comunale Salvatore Parlato promuoveva un prolungamento del termine di
presentazione delle offerte ed interveniva per evitare l’esclusione della ditta
dalla gara in presenza di presupposti che ne avrebbero impedito la valida
partecipazione (in particolare facendo sì che il Parlato non rilevasse la
circostanza che l’immobile edificato non ricadeva su particelle di intera
proprietà della ditta costruttrice, come previsto tra i requisiti di gara); ciò
compiendo anche nell’interesse di Sicuro, Amenta, Gentile e Amato,
amministratori delle società, ovvero proprietari dei terreni sulle quali stava
sorgendo l’edificazione degli appartamenti all’uopo realizzati”.
Sempre secondo l’accusa,
l’ingegnere Raffaele Cucinotta, per compiere atti contrari ai doveri d’ufficio
“e al fine di realizzare la condotta di turbata libertà degli incanti o
comunque per favorire la ditta privata XP Immobiliare nei rapporti con
l’Amministrazione pubblica, anche a danno dei concorrenti – ovvero per evitare
l’esclusione dalla gara pur in presenza di presupposti che ne mettevano a
rischio la valida partecipazione, con più azioni esecutive del medesimo disegno
criminoso ed in tempi diversi - riceveva quale corrispettivo dazioni in denaro,
utilità economiche quali l’assunzione di Giacomo D’Arrigo e Antonina D’Arrigo
presso le aziende di Biagio Grasso e di Vincenzo Romeo, e la disponibilità da
parte degli stessi – gestori di fatto e dunque interessati alle vicende
economiche della predetta XP – ad intervenire nelle vicende relative alla
cooperativa edilizia cui lo stesso Cucinotta e la moglie erano interessati;
mettendo in ogni caso il Cucinotta, dietro utilità economiche, le sue funzioni
a disposizione del gruppo mafioso”.
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