La "Messina di Mezzo" raccontata dal collaboratore di giustizia Biagio Grasso

Nella richiesta di rinvio a giudizio dei 50 imputati del procedimento antimafia “Beta”, c’è la conferma ufficiale a quanto era trapelato nelle settimane scorse mettendo in agitazione tanti imprenditori, funzionari pubblici, bancari, amministratori e politici della Messina di Mezzo, quella del partito unico e della borghesia che prolifera grazie all’economia criminale. Il noto costruttore Biagio Grasso di Milazzo, uno dei personaggi chiave dell’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Messina, è stato riconosciuto formalmente come collaboratore di giustizia e attualmente si trova in stato di detenzione in una località segreta, sotto il controllo del Servizio Centrale di Protezione del Ministero degli Interni. Analogo status per un’altra imputata del procedimento “Beta”, la messinese Silvia Gentile, compagna e collaboratrice di Biagio Grasso.
Già amministratore della LG Costruzioni con sede a Roma e socio di minoranza del gruppo imprenditoriale Grasso Costruzioni di Pace del Mela, l’imprenditore è accusato di aver fatto parte dell’associazione mafiosa, promossa dal pregiudicato Francesco “Ciccio” Romeo e diretta dal figlio Vincenzo Romeo, “appartenente a Cosa Nostra e collegata al clan Santapaola-Ercolano di Catania”. Grasso avrebbe ricoperto un ruolo centrale nelle operazioni di mascheramento dei capitali di provenienza illecita nella disponibilità del gruppo criminale. “Nel corso delle indagini, Biagio Grasso ha manifestato in più occasioni la propria potenza economica ed imprenditoriale celata mediante l’utilizzo di interposte persone nell’intestazione delle proprie società e l’occultamento di capitali all’estero”, riporta il Reparto Operativo Speciale (ROS) dell’Arma dei Carabinieri nella sua informativa inviata il 7 settembre 2015 ai giudici della Direzione Distrettuale Antimafia. All’udienza preliminare fissata per il 7 giugno 2018, i magistrati della Procura della Repubblica contesteranno all’imputato la partecipazione ai lavori pubblici per conto del sodalizio Romeo-Santapaola, nonché la gestione degli investimenti economici “avvalendosi delle condizioni di operatività assicurate dall’organizzazione e in concreto delle imprese edilizie e degli affari della società XP Immobiliare, nonché delle società formalmente appartenenti al gruppo Borella”, l’(ex) impero della movimentazione terra e delle costruzioni in mano all’ex presidente ANCE Carlo Borella, anch’egli imputato eccellente del procedimento penale.
Al voluminoso fascicolo del processo “Beta” sono stati inclusi ben otto verbali d’interrogatorio resi da Biagio Grasso in un periodo compreso tra il 20 luglio 2017 (subito dopo il suo arresto) e il 2 febbraio 2018. Buona parte delle pagine dei verbali è coperta da segreto istruttorio e gli onnipresenti omissis non consentono un’interpretazione organica del racconto del costruttore. Alcuni passaggi in chiaro consentono tuttavia di delineare i contorni di alcune delle vicende e delle trame che sarebbero state svelate dal Grasso, piccole scosse telluriche di avvertimento al terremoto che potrebbe scatenarsi a Messina se e quando gli inquirenti accerteranno la veridicità del suo racconto.
In verità, i verbali d’interrogatorio omissati mostrano due distinte personalità di Biagio Grasso: la prima, dal suo arresto sino al novembre 2017; la seconda a partire dal 12 dicembre 2017, data in cui davanti al Procuratore della Repubblica di Messina Maurizio De Lucia e alla sostituta Liliana Todaro, l’imprenditore formalizza la sua disponibilità a collaborare pienamente alle indagini. Esiste cioè un Biagio Grasso che tenta di provare, ambiguamente, la sua estraneità alla “famiglia” Romeo, presentandosi quasi come una vittima del pressing estorsivo criminale e, successivamente, un Biagio Grasso che ammette relazioni, contiguità, responsabilità e complicità.
Nel corso del primo interrogatorio, presente l’allora Procuratore della Repubblica Sebastiano Ardita (oggi Procuratore aggiunto a Catania), assistito dall’avvocato Salvino Mondello del Foro di Roma, Biagio Grasso si sofferma su una delle operazioni economiche più inquietanti dell’inchiesta “Beta”, il tentativo del gruppo Romeo-Santapaola di vendere al Comune di Messina alcuni alloggi popolari nell’ambito del progetto di “risanamento” della baraccopoli di Fondo Fucile (primavera-estate 2014), operazione portata avanti, secondo l’accusa, grazie alla collaborazione dell’ingegnere Raffaele Cucinotta, al tempo direttore di sezione tecnica della Ripartizione Urbanistica del Comune, successivamente Responsabile del procedimento e co-progettista per la redazione della Variante parziale al P.R.G. di tutela ambientale. “Siamo nel 2013 e si fa questo accordo con l’imprenditore Di Stefano, si va dal notaio Bruni e si costituisce la Parco delle Felci Srl e nelle more esce il bando famoso dei 24 alloggi del Comune”, riferisce Grasso. “Il bando realmente, per come era strutturato e com’è strutturato, chiaramente il requisito principale era la vicinanza dal cantiere con la zona adibita allo sbancamento, era il maggior punteggio, e in quel momento la vicinanza ravvicinata era la nostra. Quindi, voglio dire, indipendentemente da tutto quello che c’è scritto e da tutto quello che c’è fatto, noi avevamo la maggior parte dei punti rispetto a qualsiasi altro concorrente. Cioè tengo a sottolineare che questo evento è un po’ particolare, anche perché il Cucinotta non è che aveva tutta quanta questa autorità nel gestire o meno, aggiudicare o non aggiudicare, là chi gestiva era la Canale con la sua commissione”.
Proseguendo il suo racconto, Grasso rivendica la liceità dell’affaire degli alloggi di Fondo Fucile, ribadendo l’estraneità del dipendente del Comune di Messina da ogni possibile eventuale abuso. “Entriamo in contatto con Raffaele Cucinotta, ma io da principio sapevo, primo, che non c’era bisogno; secondo, il Cucinotta non poteva fare assolutamente niente per potere ostacolare l’aggiudicazione dei 24 alloggi, perché in quel momento il cantiere aveva tutte le caratteristiche per essere il numero uno nella lista, tranne una cosa, la consegna. Il Giudice istruttore dice che c’è stata fatta una proroga, ma la proroga non è stata fatta per noi, è stata fatta per i fondi che dovevano arrivare e fermo restando che la proroga di 15 o 20 giorni non poteva mai e in nessun modo aiutare a completare il cantiere. Tutto è regolare…”. Alla domanda del Procuratore Ardita sui possibili compensi economici attribuiti al Cucinotta, Biagio Grasso risponde che si è trattato solo di “un cadeu da 200 o 500 euro” e che anche l’assunzione di due congiunti dell’ingegnere comunale non era assolutamente “una cortesia in funzione di…”.
Avviata la collaborazione formale con la Direzione Distrettuale Antimafia, Grasso ha fornito un quadro in parte differente sulla compravendita di alloggi per il programma di sbaraccamento e risanamento di Fondo Fucile. Buona parte di quanto riferito di nuovo sull’affare con il Comune di Messina e sulla stessa figura di Raffaele Cucinotta è ancora secretato, ma nella deposizione resa ai magistrati il 12 dicembre 2017, c’è però un passaggio solo in parte omissato. “La vicenda di Fondo Fucile nacque con lo sbaraccamento della zona attraverso Stefano Barbera, quest’ultimo in contatto con Raffaele Cucinotta. Questi ci segnalò un ingegnere, tale Cosimo Polizzi, al quale abbiamo conferito un incarico per lo studio tecnico per gli appartamenti”, verbalizza Grasso. Il proseguo del racconto è sottoposto ad omissis, per riprendere poi con “Sia omissis che il Cucinotta avevano dato la disponibilità ad aiutare l’aggiudicazione del bando al Comune nonostante il problema di una particella ove era stato costruito l’edificio (…) Nei confronti del Cucinotta vi era l’impegno che alla vincita del bando ed alla realizzazione degli appartamenti ci sarebbe stata una percentuale di guadagno nei suoi confronti”.
Contro l’ingegnere Raffaele Cucinotta, la Procura ha presentato richiesta di rinvio a giudizio: in concorso con Biagio Grasso, Vincenzo Romeo e il factotum Stefano Barbera, egli è accusato di aver “turbato la procedura di acquisto sul libero mercato di alloggi da assegnare in locazione ai cittadini aventi diritto e che abitavano all’interno di 95 baracche in località Fondo Fucile, indetta dal Comune di Messina con delibera di Giunta n. 151 dell’11 marzo 2014”. Il funzionario comunale, in particolare, “per il tramite di Stefano Barbera, per consentire alla ditta privata XP Immobiliare Srl, gestita di fatto da Grasso e Romeo, di risultare aggiudicataria all’esito della procedura, riferiva notizie riservate sulla gara, attraverso il funzionario comunale Salvatore Parlato promuoveva un prolungamento del termine di presentazione delle offerte ed interveniva per evitare l’esclusione della ditta dalla gara in presenza di presupposti che ne avrebbero impedito la valida partecipazione”.
Le indagini della DDA di Messina hanno documentato come alcune delle società riconducibili al costruttore Grasso e a cui erano interessati i membri della “famiglia” Romeo-Santapaola fossero interessate direttamente o indirettamente al devastante processo di lottizzazione e certificazione del Torrente Trapani, una delle aree a più alto rischio idrogeologico del Comune di Messina. A seguito delle difficoltà di ordine giudiziario (alcuni dei cantieri edili erano stati sottoposti a sequestro da parte dei magistrati peloritani per gravi problematiche strutturali-ambientali), Vincenzo Romeo e Biagio Grasso avrebbero valutato insieme “di spostare la cubatura del realizzando immobile in disamina interessato dal provvedimento di sequestro, su alcuni terreni siti in Messina, in Via Salandra, indicati da Vincenzo Romeo come a lui indirettamente riconducibili e quindi adatti allo scopo, grazie al citato rapporto fiduciario con Raffaele Cucinotta e con l’ingegnere Cosimo Polizzi, quest’ultimo consulente esterno del Comune di Messina”, come riporta il ROS dei Carabinieri nella sua informativa del 7 settembre 2015. In una conversazione con Romeo, lo stesso Grasso aveva spiegato di avere già individuato il sito nella centrale arteria cittadina, dove poter spostare gli appartamenti. “Grasso sostiene che il terreno verrebbe degradato a terreno agricolo e l’operazione del Comune, in riferimento alle opere di urbanizzazione, viene chiusa con il 1° e il 2° lotto e pertanto hanno già finito e gli rimane da fare una stradina privata”, annotano gli inquirenti.
Nell’interrogatorio del 19 settembre 2017, nuovamente assistito dal legale di origini messinesi Salvino Mondello, Grasso fornisce un’altra versione edulcorata sull’intenzione sua e del Romeo di puntare al trasferimento della cubatura d’immobili dal devastato Torrente Trapani a una zona più centrale e più redditizia della città. “Io dico le cose come sono e le parole vengono dette e non possono essere richiamate come i cani”, esordisce citando lo scrittore Leonardo Sciascia, nella risposta a specifica domanda del PM Liliana Todaro. “Lo spostamento della cubatura è nata dal fatto che io, da quando ha capito com’era tutta quanta la vicenda al Trapani, ho sempre sostenuto all’imprenditore Pettina che quella tipologia di intervento era completamente sbagliato e lo sanno tutti in città che era completamente sbagliato sin dal principio. Non entro in merito sul discorso di quanto era l’indice di cubatura, se era giusto, era sbagliato o quello che è, però al momento, secondo me, era giusto non edificare più su quella collina perché si andava veramente ad avere dei rischi non indifferenti. Quindi dal principio dico al Pettina, e devo dire che il figlio Salvatore era d’accordo con me, ci siamo adoperati a vedere se potevamo utilizzare questa cubatura e spostarla in altro luogo, quindi le decisioni in merito sono state sempre prese da me e Salvatore Pettina, dove si vedeva come poter spostare questa cubatura”.
Nell’ambito dello stesso interrogatorio, è il dottor Sebastiano Ardita a chiedere a Grasso se per la vicenda cubature, egli avesse in qualche modo interloquito con politici, funzionari o responsabili comunali. “Allora, i contatti con l’amministrazione, comuni correnti, per capire come funziona sempre nell’ambito imprenditoriale, qual è l’interesse dell’amministrazione, diciamo, pro tempore, anche se è palese che con l’amministrazione Accorinti e con l’ingegnere Sergio De Cola (l’assessore competente) l’intenzione era quella di non costruire più sulle colline”, spiega Grasso. “Io ho avuto qualche contatto con l’ingegnere De Cola, in termini, diciamo, di capire quali erano le sue intenzioni e devo dire che lui era perfettamente d’accordo che sul Trapani era meglio non costruire più, però non si è mai entrati in merito. L’amministrazione non è mai entrata in merito a dire SpostaNon Sposta. Anche l’ingegnere Cucinotta, che è un amico mio, che all’epoca stava all’urbanistica, era convinto che l’ideale non era più costruire sulla collina, ma diciamo, questa era la direzione su cui andava anche la Procura della Repubblica e su cui è ancora la Procura…”.
Incalzato dagli inquirenti, il costruttore fornisce qualche particolare in più sulle opzioni al vaglio del suo gruppo per il trasferimento delle cubature. “La normativa ancora non è chiara, dice che lei può spostare la cubatura su terreni attigui o che abbiano la stessa tipologia, quindi ricadiamo sempre nello stesso circolo vizioso, perché i terreni che erano attigui con la stessa normativa sono sempre nelle colline, quindi bisognava in qualche maniera scavalcare questo ragionamento”, spiega Grasso. “La mia idea era quella di spostare la cubatura nella zona ZIR – ZIS, perché quell’area lì era stata individuata come area di risanamento e quindi possibile di spostatura di cubatura in altri luoghi. In quell’area c’era un terreno che faceva capo a tale Barbagallo, che credo abbia degli incarichi con voi della Procura su Bonaffini o cose di questo tipo, è un curatore giudiziario mi pare. In quest’area qui, ex fabbrica di ghiaccio, in via Salandra, verso mare, avevamo visto dove si poteva spostare la cubatura, solo che però poi non si è arrivati a ragionamenti perché le cifre che chiedevano erano esorbitanti”.
Il costruttore milazzese spiega che il terreno in questione era per metà di proprietà del Barbagallo e per l’altra metà di un parente di Vincenzo Romeo originario di Acireale. “Io ho avuto un incontro con Barbagallo e ho capito che era lui che aveva potere decisionale, ma aveva chiesto 4 milioni di euro per quell’area, quindi i numeri non erano assolutamente convincenti e l’operazione decadde immediatamente”, aggiunge Grasso. “Mi sono recato diverse volte a fare delle verifiche sul luogo con Vincenzo Romeo che mi supervisionava perché io ero in debito con lui. Il terreno era importante perché c’era in programma di fare la Via del Mare, quindi passava adiacente a quella zona là”.
Su specifica domanda del PM in merito ad eventuali relazioni istituzionali in vista di un possibile spostamento delle cubature, il costruttore precisa di aver interloquito con l’Ufficio urbanistica del Comune di Messina. “Questo è logico, perché nel momento in cui vai a spostare una tipologia e devi andare a riposizionarla in un altro luogo, per evitare che domani un altro magistrato dica è stato aggirando le regole?, è chiaro che uno va prima a capire come si dove muovere”, spiega Grasso. “Se in base alla normativa lo spostamento non può avvenire in un terreno attiguo, però è chiaro che ci sono ulteriori possibilità, tra cui, lei fa un piano particolareggiato, com’era quello previsto nella zona ex ZIR, e il piano particolareggiato supera le norme di tutto. Quindi ci ho lavorato non solo io. Io, il dottore Vinciullo, tutte quanti le imprese più importanti di Messina, il dottore Giostra e tutto il resto, il dottore Sobrio con cui ho già fatto alcune operazioni. Abbiamo solamente avuto dei contatti per capire in che direzione muoverci, non c’è nessun tipo di ragionamento successivo, nessun tipo di richiesta e neanche una lettera protocollata dove si dice Voglio spostarla…”. “Ha dato soldi ad amministratori per ottenere provvedimenti illeciti?”, domanda allora il difensore Salvino Mondello. “Assolutamente no, anche perché, ripeto, non c’è nessuna richiesta di protocollo in merito”, ribadisce Grasso.
Due mesi dopo l’interrogatorio, la scelta di entrare nel programma di protezione dei collaboratori di giustizia del Ministero dell’Interno, la revoca del mandato al difensore Mondello e la nomina di un nuovo legale, l’avvocata Antonietta Pugliese del Foro di Messina. Saranno gli inquirenti a decidere se mettere nero su bianco nei verbali di Biagio Grasso, in quella che potrebbe trasformarsi in una seconda tranche d’inchiesta, ancora più dirompente di “Beta 1”. Che le organizzazioni criminali mafiose abbiano esercitato un ferreo controllo sul tessuto economico, sociale e politico-amministrativo della città di Messina è un dato di fatto. Il grado d’intensità e il livello di penetrazione sono però ancora da accertare e provare.

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