Italia addestra militari libici contro i migranti
È già in Italia il primo
contingente di militari libici che sarà addestrato principalmente in funzione
di vigilanza e contrasto dei flussi migratori. Si tratta di 340 uomini che svolgeranno
a Cassino (Fr), presso l’80° Reggimento addestramento volontari dell’Esercito italiano,
un ciclo addestrativo di 14 settimane. L’attività
è frutto dell’Accordo di cooperazione bilaterale tra Italia e Libia nel settore
della Difesa, firmato a Roma il 28 maggio 2012. Secondo il
portavoce del Ministero della difesa italiano, i cicli addestrativi prevedono
la “formazione in Italia di più gruppi, scaglionati nel tempo, provenienti
dalle regioni di Tripolitania, Cirenaica e Fezzan”. Il programma addestrativo a
cura del personale misto di Esercito, Marina, Aeronautica e Arma dei Carabinieri,
è inoltre parte delle iniziative di “ricostruzione”
delle forze armate e di sicurezza libiche, decise
in occasione del vertice G8 tenutosi a Lough Erne (Irlanda del Nord), nel giugno 2013. Nello
specifico, Italia e Gran Bretagna si sono impegnati ad addestrare, ognuno, 2.000
militari libici all’anno; 6.000 militari saranno addestrati dagli Stati Uniti,
mentre la Francia si occuperà della formazione delle forze di polizia.
Parte
delle attività saranno realizzate direttamente in Libia da un team dell’Esercito
integrato nella Missione Italiana in Libia (MIL), ufficialmente lanciata il 1°
ottobre 2013 quale “evoluzione” dell’Operazione “Cyrene” che prese
il via dopo la
caduta del regime di Muammar Gheddafi. La
MIL prevede infatti un sensibile aumento del numero del personale impiegato (sino
a un centinaio di uomini) e delle finalità operative “La Missione Italiana in
Libia ha lo scopo
di organizzare, condurre e coordinare le attività addestrative, di assistenza e
consulenza nel settore della Difesa”, ha spiegato il Capo di Stato Maggiore, ammiraglio
Luigi Binelli Mantelli. “Si articola in una componente core interforze a carattere permanente, e in una componente ad hoc,
costituita da mobile teams formativi,
addestrativi e di supporto in base alle esigenze di volta in volta individuate
dalle forze armate libiche”. Il salto strategico della nuova presenza italiana
in Libia è sancito dalle risorse finanziarie messe in campo dal governo Letta: mentre
nei primi nove mesi del 2013, “Cyrene” è costata 7,5 milioni di euro, nel trimestre
ottobre-dicembre la missione MIL ha divorato oltre 5 milioni.
Le prime significative attività
addestrative in Libia hanno preso il via nel dicembre 2012, quando una ventina di ufficiali di polizia sono stati ammessi a un corso di
4 settimane organizzato dall’Arma dei carabinieri. Temi trattati: “gestione
dell’ordine pubblico, tecniche di intervento operativo, check point,
perquisizioni, ammanettamenti, maneggio e uso delle armi, primo soccorso, servizi
di tutela e scorta, difesa personale, contrasto agli ordigni esplosivi
improvvisati, ecc.”. Sono seguiti poi per tutto il 2013 altri corsi pianificati
e gestiti da una training mission composta
da ufficiali e sottufficiali della 2a Brigata Mobile dei carabinieri. L’Arma ha
curato anche l’addestramento dei “battaglioni di ordine pubblico” libici e della
Border Guard a cui è affidata la
vigilanza dei confini e dei siti strategici nazionali. Una trentina di militari
della neo-costituita guardia di frontiera sono stati invitati per un ciclo
addestrativo di 10 settimane presso il Coespu (Centre of excellence for stability police units) di Vicenza, la scuola
di formazione delle forze di polizia dei paesi africani e asiatici, di
proprietà dei Carabinieri ma utilizzata pure da personale specializzato di Africom,
il comando militare Usa per le operazioni in Africa. Un’altra trentina di
ufficiali della Border Guard e della
Gendarmeria libica hanno invece partecipato nella primavera 2013, presso la Scuola
del Genio e del Comando logistico dell’Esercito di Velletri
(Rm), a un corso sulle “tecniche di bonifica di ordigni esplosivi
convenzionali” e a uno sulla “manutenzione” dei blindati da trasporto e
combattimento “Puma”. Venti di questi velivoli prodotti dal consorzio Fiat
Iveco-Oto Melara erano stati consegnati “a titolo gratuito” ai libici il 6 febbraio
2013, in occasione della visita a Tripoli dell’allora ministro della difesa,
ammiraglio Di Paola. In quella data fu pure raggiunto un accordo di
massima tra Italia e Libia sui futuri programmi di formazione dei reparti
militari e delle forze di polizia e, come spiegato dallo stesso Di Paola, “di
cooperazione, anche tecnologica, nelle attività di controllo dell’immigrazione
clandestina, di supporto nazionale alla ricostruzione della componente navale, sorveglianza
e controllo integrato delle frontiere”.
Nell’ottica del rafforzamento
dei legami italo-libici , una delegazione della Marina del paese nordafricano è
stata ospite nel luglio 2013 dell’Accademia Navale di Livorno, della
stazione elicotteri della Marina di Luni e del Comando
delle forze di contromisure mine (Comfordrag) di La Spezia. E a fine
ottobre, le autorità di Tripoli hanno annunciato di voler rinnovare la
collaborazione con Roma e l’industria Selex ES (Finmeccanica) per installare un
sistema di
sorveglianza radar e monitoraggio elettronico delle
coste libiche e delle frontiere con Niger, Ciad e Sudan, dal costo di 300
milioni di euro. Il contratto fu firmato il 7 ottobre 2009 all’epoca
del regime di Muammar Gheddafi, ma fu interrotto nel 2011 con il
completamento di solo una tranche di 150 milioni. Selex ES, con la collaborazione di
GEM Elettronica, deve provvedere all’installazione di una rete radar Land Scout “in grado di individuare
anche i movimenti di gruppi di persone appiedate”, e curerà la
formazione degli operatori e dei manutentori libici. Secondo il
sito specialistico Analisi Difesa, i
libici avrebbero espresso la volontà di dotarsi pure di un non meglio precisato
“monitoraggio aereo delle frontiere” che comprenderebbe l’acquisto dei
droni di sorveglianza “Falco”, prodotti sempre dall’italiana Selex.
Che siano gli aerei senza pilota la nuova frontiera
tecnologica per le guerre ai migranti e alle migrazioni lanciate dalle forze
armate italiane e libiche lo prova l’ultimo “accordo tecnico” di cooperazione
bilaterale sottoscritto a Roma il 28 novembre 2013 dai ministri
della difesa Mario Mauro e Abdullah Al-Thinni. Il memorandum autorizza l’impiego
di mezzi aerei italiani a pilotaggio remoto in missioni a supporto delle autorità
libiche per le “attività di controllo” del confine sud del Paese. Si tratta dei droni Predator del 32° Stormo dell’Aeronautica
militare di Amendola (Fg), rischierati in Sicilia a Sigonella e Trapani-Birgi
nell’ambito dell’operazione “Mare Nostrum” di controllo e vigilanza del
Mediterraneo. Grazie ai Predator, gli
automezzi dei migranti saranno intercettati quanto attraversano il Sahara e i militari
libici potranno intervenire tempestivamente per detenerli o deportarli prima
che essi possano raggiungere le città costiere.
Sempre secondo quanto dichiarato dal Ministero della
difesa italiano a conclusione del vertice bilaterale del 28 novembre scorso, “nell’ottica
di uno sviluppo delle capacità nel settore della sorveglianza e della sicurezza
marittima, è emersa anche la possibilità di imbarcare ufficiali libici a bordo
delle unità navali italiane impegnate nell’Operazione “Mare Nostrum”, nonché di
avviare corsi di addestramento sull’impiego del V-RMTC (Virtual Maritime Traffic Centre)”. Il governo Letta, cioè, pensa di
consentire ai militari di un paese all’indice per le violazioni dei diritti
umani, di partecipare a bordo della “San Marco” e delle fregate lanciamissili italiane
alle (illegittime) operazioni di identificazione e agli (ancor più illegittimi)
interrogatori di tutti coloro che saranno “salvati” nel Canale di Sicilia. “Con la stipula delle nuove intese tra il ministro
della difesa libico e Mario Mauro viene svelato il vero senso della missione
militare “Mare Nostrum”, sempre meno umanitaria”, ha commentato il giurista Fulvio Vassallo Paleologo dell’Università di Palermo. “Con i funzionari del ministero dell’interno già
operativi potranno essere imbarcati agenti di polizia libici, con conseguenze
devastanti per il destino dei naufraghi raccolti in mare, tutti ormai
potenziali richiedenti asilo, che saranno sempre più esposti al rischio di
identificazioni violente e di successivi respingimenti in Libia. Si potrà ripetere
dunque quanto accaduto nel 2009, quando la Guardia di Finanza italiana riportò
in Libia decine di migranti. Pratica per la quale l’Italia è stata condannata,
nel 2012, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo”.
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