Come l’Europa fortezza nega l’asilo ai rifugiati siriani
Più
di 2 milioni e 300.000 rifugiati siriani registrati a dicembre, il 52% dei quali
minori di età, a cui si aggiungono almeno 4 milioni e 250 mila persone sfollate
nel paese. In tutto, più di 6 milioni e mezzo di uomini, donne e bambini che
hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni per scampare agli orrori del
conflitto in Siria, quasi un terzo dell’intera popolazione. Di questi, però,
solo 55.000 sono riusciti a entrare
nell’Unione europea e a chiedere asilo, ma gli stati membri hanno dato
disponibilità ad accoglierne appena 12.000. “Si tratta dello 0,5% dei siriani
che hanno lasciato il paese, una dimostrazione che l’Ue ha miseramente mancato
di fare la sua parte per fornire un riparo sicuro a coloro che non hanno più
niente se non la loro vita”, ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di
Amnesty International, in occasione della presentazione del rapporto intitolato
Un
fallimento internazionale: la crisi dei rifugiati siriani. “Il
numero dei reinsediamenti previsti è davvero deplorevole e i leader europei
dovrebbero abbassare la testa per la vergogna”, ha aggiunto Shetty. “Le loro parole
suonano banali di fronte alla realtà. L’Europa deve aprire i suoi confini,
favorire ingressi sicuri e porre fine a queste gravi violazioni dei diritti
umani”.
Amnesty
International denuncia come solo dieci
stati membri dell’Ue abbiano offerto il reinsediamento o l’ammissione
umanitaria ai rifugiati provenienti dalla Siria. “Coloro che ce l’hanno fatta a
passare attraverso le barricate della fortezza europea si sono diretti in buona
parte in Germania e Svezia, i paesi che hanno offerto il maggiore aiuto ai
richiedenti asilo”, si legge nel report. Dall’ottobre 2011 all’ottobre 2013, la
Svezia ha ricevuto 20.490 nuove richieste d’asilo, mentre la Germania 16.100. Gli
altri stati dell’Ue si sono impegnati a
prendere soltanto 2.340 rifugiati. In Grecia, Cipro e Italia, meno di 1.000
persone hanno chiesto asilo in ciascuno dei tre paesi; la Francia ha offerto disponibilità per 500 persone, lo 0,02% del totale delle persone fuggite, mentre la Spagna si è limitata ad accogliere appena
una trentina di richiedenti,
ossia lo 0,001% del totale dei
rifugiati.
Il
97% dei cittadini fuggiti dalla Siria si sono diretti verso i cinque paesi
confinanti: Turchia, Egitto, Iraq e soprattutto Libano e Giordania, dove oggi
risiedono rispettivamente 835.735 e 566.303 rifugiati. “Ciò ha comportato un
aumento della popolazione residente in Libano del 20%, mentre quella della
Giordania del 9%”, aggiunge Amnesty International. “In questi due paesi la
maggior parte dei rifugiati siriani vive in condizioni assai precarie in campi
profughi superaffollati, in centri di accoglienza comunitari o in insediamenti
informali”. In Giordania circa un terzo dei rifugiati è ospitato in sei campi,
il più affollato dei quali è Zaatari, il secondo campo profughi più grande al mondo,
con 117.000 residenti. Il resto dei rifugiati siriani vive in villaggi e
cittadine nei pressi del confine settentrionale con la Siria e nella capitale Amman.
“Non ci sono invece campi profughi ufficiali in Libano, eccetto quelli che da
lungo tempo ospitano rifugiati palestinesi”, riporta Amnesty International.
“Così i siriani sono costretti a vivere ai margini delle città, in campi
informali che loro stessi hanno realizzato”.
Il numero dei rifugiati registrati in Turchia è di 536.765 persone, ma secondo il governo locale la cifra
avrebbe già superato quota 700.000. Duecentomila siriani sono “ospiti” di campi
profughi gestiti dallo stato. L’organizzazione internazionale in difesa dei
diritti umani denuncia tuttavia che dal marzo 2013, più di 600 rifugiati
siriani sono stati espulsi dalla Turchia e deportati in Siria. “Da allora -
spiega Salil Shetty - abbiamo ricevuto numerose denunce di ulteriori rimpatri
forzati di persone accusate dalle autorità turche di condotte criminali o presunte
violazioni di legge”.
Secondo
l’UNHCR, l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite, al 30
novembre 2013, erano stati registrati in Libia 15.898 rifugiati siriani, ma la
popolazione siriana ivi residente è stimata in non meno di 200.000 persone. Il
diritto d’ingresso dei rifugiati in Libia è stato progressivamente ridotto a
partire dal settembre 2012, dopo l’attacco terroristico contro il consolato USA
di Bengasi. Ulteriori restrizioni sono state decretate nel gennaio 2013 con l’imposizione
del visto d’ingresso a tutti i siriani. “Ciò ha costretto centinaia di
rifugiati a fare ingresso nel paese utilizzando rotte non ufficiali,
esponendosi al pericolo e allo sfruttamento di trafficanti e delle differenti
milizie armate esistenti”, denuncia Amnesty. “La Libia non possiede un sistema
nazionale di asilo; la maggior parte dei rifugiati che vive nel paese ha uno
status migratorio irregolare, nonostante la decisione del Ministero
dell’Interno di dare i permessi di residenza a coloro che si registrano presso
l’Ufficio passaporti”. Come rilevato da Amnesty International durante una visita
in Libia nel novembre 2013, spesso i permessi di residenza non verrebbero riconosciuti
dalla autorità locali e dalle milizie armate cresciute numericamente dopo la
fine del conflitto del 2011. “In alcuni casi i rifugiati siriani sono stati
detenuti arbitrariamente in centri di detenzione per immigrati con l’accusa di
risiedere illegalmente in Libia”, aggiunge Amnesty. “Gli intervistati hanno denunciato
di essere stati vittime di aggressioni fisiche da parte di uomini armati, furti,
vessazioni verbali e, in alcuni casi, di sequestri di persona. Altri hanno
raccontato di essere stati sottoposti a gravi forme di sfruttamento, a lavori
forzati, con salari bassissimi e, talvolta, di non aver percepito perfino alcuna
forma di pagamento”.
Per 12.000 siriani a cui l’Ue ha riconosciuto il
diritto al reinsediamento, altre decine di migliaia sono costretti a
rischiare un viaggio pericoloso via
terra o via mare per raggiungere un’Europa sembra più barricata e
militarizzata. Dall’1 gennaio al 31 ottobre 2013, 10.680 rifugiati
siriani hanno raggiunto le coste italiane dopo aver lasciato i porti in Egitto,
Libia, Turchia e Siria. Altri hanno raggiunto la Grecia via mare attraverso
l’Egeo o dal confine terrestre con la Turchia. “Abbiamo visto centinaia di cittadini siriani perdere la vita nel
Mediterraneo”, ha commentato amaramente Salil Shetty. “Ed è deplorevole che chi rischia l’incolumità
e la vita per arrivare qui sia respinto in modo violento dalla polizia o
dalla guardia di frontiera o posto in
stato di detenzione per settimane
in condizioni realmente squallide, con cibo acqua e cure mediche insufficienti”.
Il viaggio verso l’Italia è sicuramente quello che
ha generato le peggiori tragedie. Nei
primi dieci mesi del 2013 il numero dei rifugiati e dei migranti provenienti
dall’Africa del Nord annegati in mare è stato stimato in 650 persone. Nel suo
rapporto sull’incapacità internazionale
a dare risposte adeguate alla crisi umanitaria siriana, Amnesty International
dedica un passaggio al tragico naufragio di un’imbarcazione con più di 500 persone
a bordo, l’11 ottobre 2013, a largo di Lampedusa. “Molti di essi erano
rifugiati siriani”, scrive l’Ong. “Secondo il racconto dei sopravvissuti,
l’imbarcazione fu danneggiata mentre lasciava le acque della Libia da un’unità
militare libica che aprì il fuoco contro di essa. L’imbarcazione danneggiata
iniziò velocemente ad essere invasa dall’acqua e successivamente affondò
portandosi con sé centinaia di uomini, donne e bambini. I sopravvissuti hanno
dichiarato di essere rimasti in acqua per ore prima di essere assistiti dalle
unità maltesi e italiane”.
Innumerevoli
gli abusi e le violazioni compiute dalle autorità di frontiera dell’Unione
europea. “Le politiche di controllo dell’Ue sono sempre più pregiudizievoli dei
diritti dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei migranti”, denuncia Amnesty.
“Le misure di controllo dei confini introdotte negli ultimi anni, inclusa
l’esternalizzazione delle funzioni anti-migratorie e la costruzione di reticolati,
hanno comportato pesanti effetti a danno dei diritti di coloro che chiedono di
fare ingresso nell’Unione europea. L’Unione europea ha certo il diritto di
controllare le sue frontiere, ma la maniera con cui lo fa non può comportare la
violazione dei diritti umani, come sta accadendo oggi”.
Amnesty
rileva, in particolare, come l’Ue abbia finanziato massicciamente i programmi
di potenziamento del controllo delle frontiere esterne della Grecia. Negli
ultimi due anni, la Commissione europea – nell’ambito del cosiddetto Return and External Borders Fund - ha assegnato
alla Grecia 228 milioni di euro per installare sistemi elettronici di vigilanza
e accrescere le capacità di detenzione delle persone entrate illegalmente nel
paese. Nello stesso periodo, la Grecia ha ricevuto solo 12 milioni e 220 mila
euro dal Fondo Europeo per i Rifugiati che sostiene le attività di accoglienza.
Grazie ai contributi finanziari, le autorità greche hanno completato la
costruzione di 10,5 km di reticolati anti-migranti lungo i 203 km di frontiera
con la Turchia, attivando inoltre 2.000 nuovi vigilantes a partire dell’estate 2012.
“Queste misure hanno spesso costretto i rifugiati a percorrere rotte sempre più
pericolose nel mar Egeo”, aggiunge Amnesty International. “Nei loro disperati
tentativi di ottenere protezione in Europa, molti rifugiati, comprese le
famiglie con neonati e bambini piccoli, spendono i loro ultimi risparmi per
pagare i trafficanti e navigare a bordo di piccole e superaffollate
imbarcazioni, inidonee alla navigazione”. Come il Canale di Sicilia, anche il
mare tra la Grecia e la Turchia è lo scenario di infinite tragedie. Dall’agosto
2012 ad oggi, perlomeno 130 rifugiati, provenienti in buona parte dalla Siria e
dall’Afghanistan, hanno perso la vita mentre tentavano di approdare in Grecia, negli
undici naufragi sino ad oggi accertati.
Amnesty
International rileva infine come molti rifugiati giunti in Grecia e Bulgaria
abbiano subito trattamenti degradanti e disumani. “Rifugiati siriani hanno
raccontato di essere stati sottoposti a maltrattamenti dagli agenti di polizia
o della guardia costiera della Grecia, che con armi in pugno e protetti dai
caschi, li hanno pure privati di tutti i loro beni e, alla fine, li hanno
respinti verso la Turchia”. Il numero delle operazioni illegali di respingimento
dalla Grecia non è noto, ma l’Ong ritiene che abbia riguardato centinaia di
persone. In Bulgaria, nei primi undici mesi del 2013, sono arrivati non meno di
5.000 rifugiati. La maggior parte è ospitata in centri di emergenza, il principale
dei quali si trova nella città di Harmanli. “Si tratta, a tutti gli effetti, di
un centro di detenzione”, denuncia Amnesty. “Il nostro staff vi ha trovato
rifugiati detenuti - in alcuni casi da oltre un mese - in condizioni squallide
in container, edifici in rovina e tende. Mancavano strutture igienico-sanitarie
adeguate e il cibo, i medicinali e i letti scarseggiavano. Un ampio numero di
detenuti, tra cui anche persone ferite durante il conflitto, necessitava di
cure mediche, altre avevano contratto malattie croniche o avevano disturbi
mentali”.
L’Europa
fortezza armata sconosce sempre più diritti e senso d’umanità.
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