Covid-19 e covidismo. Tra malattia, isteria biopolitica e militarizzazione
Intervista ad Antonio Mazzeo
La gestione Covid-19 è sempre
stata improntata a livello epidemiologico e securitario, gettandoci in un vero
e proprio “stato d’eccezione”, ciò che in scienza politica indica una
particolare situazione all’interno di uno Stato che comporta la sospensione
delle caratteristiche tipiche di uno Stato di diritto. Ciò ha dato adito a
misure restrittive completamente fallimentari, mentre i sistemi sanitari delle
democrazie liberali mostravano tutte le loro contraddizioni: privatizzazione
della sanità, ingenti finanziamenti alle cliniche private e centralità/potere
delle case farmaceutiche che continuano ad influenzare le politiche, la ricerca
e l’agenda sanitarie globali. In tutto questo la militarizzazione della salute
andava di pari passo con lo “stato d’eccezione” in Italia, l’incremento delle
spese militari, del commercio delle armi e l’avvento della missione ‘Defender
Europe 20’, la missione NATO più grande degli ultimi 25 anni sul territorio
europeo che a marzo 2020 è stata sospesa e a giugno ha proseguito con i 6mila
militari già arrivati da Washington con il fine di dissuadere la Russia da
qualunque mira espansionistica.
Lo “stato d’eccezione” e
la militarizzazione da Covid-19 hanno visto i suoi risvolti biopolitici
(covidismo) nel linguaggio che è stato usato e nel senso di competizione,
mettendo gli uni contro gli altri. Di questo e molto altro ne parliamo con
Antonio Mazzeo, giornalista, saggista, ecopacifista e antimilitarista, attivo
nei Movimenti No-Mous e vincitore nel 2010 del Primo premio “Giorgio Bassani”
di Italia Nostra per il giornalismo. Già collaboratore di Pressenza Italia e
per Africa Express, ha incentrato le sue inchieste sulla militarizzazione dei
flussi migratori che compongono la Fortezza Europa, sul commercio di armi,
sulla geopolitica, sul dramma delle guerre e sulla violazione dei diritti
umani.
Durante la crisi sanitaria
l’epiteto di “negazionista” è stato usato anche in modo strumentale. Quale
ruolo ha avuto?
Proviamo intanto a dare un significato al termine. Secondo
l’enciclopedia Treccani, con negazionismo viene
indicata “polemicamente una forma estrema di revisionismo storico, la quale,
mossa da intenti di carattere ideologico o politico, non si limita a
reinterpretare determinati fenomeni della storia moderna ma, specialmente con
riferimento ad alcuni avvenimenti connessi al fascismo e al nazismo (vedi
l’istituzione dei campi di sterminio), si spinge fino a negarne l’esistenza o
la storicità”. Si può comprendere dunque la gravità dello stigma sociale che è
stato attribuito a tutte quelle persone “ree” di aver messo in discussione le
narrazioni main stream sul
Covid19. Abbiamo assistito perfino alla criminalizzazione di chi ha posto
domande e dubbi sulla reale origine del coronavirus (tema del tutto sparito dal
dibattito politico e mediatico), sulle responsabilità delle istituzioni
internazionali, statali e locali nel non aver contrastato efficacemente
l’espansione dei contagi, o sulla sostenibilità e legittimità delle misure militar-sicuritarie
di “contenimento” imposte a suon di decreti, estremamente limitanti di diritti
individuali e sociali, ecc. Oggi si arriva ad etichettare come negazionista pure chi si espone nel
denunciare gli ignobili profitti delle transnazionali farmaceutiche e gli
evidenti limiti e pericoli dei vaccini. Per alcuni io stesso sarei un negazionista perché più volte ho osato
documentare la dichiarata “centralizzazione” e “militarizzazione” di milioni di
dati sensibili delle persone sottopostesi a vaccinazione, ponendo altresì seri
dubbi sulla fondatezza costituzionale di un eventuale passaporto vaccinale per
poter frequentare luoghi pubblici o viaggiare tra le regioni e i paesi Ue.
Ovviamente il primo effetto dell’uso generalizzato e del tutto decontestualizzato
del termine negazionista consente
di delegittimare le sempre meno voci fuori dal coro ed affermare il pensiero
unico in tempi di pandemia. Con la conseguenza di cancellare ulteriormente gli
spazi di libertà d’espressione e dibattito socio-politico. Fare apparire come negazionista ogni critica alle pratiche
imposte autoritariamente e finanche spesso prive di rigore scientifico,
consente di assimilarne l’autore all’assertore della non esistenza della
pandemia. Un folle terrapiattista, ancora più pericoloso dei fascionegazionisti
di lager e camere a gas, da bandire perfino anche dai social, dove invece
possono continuare a proliferare svastiche e croci celtiche.
Perché, all’interno della
sinistra radicale, ad eccezione di Wu Ming e della storica Alessandra Kersevan,
questo termine è stato poco problematizzato? Non si ha avuto la capacità
politica?
E’ indubbio che oggi a sinistra siano enormi le difficoltà a dar
vita e sviluppare un dibattito serio e partecipato sull’escalation autoritaria
e ultraliberista che la “gestione” della pandemia ha generato soprattutto a
danno dei ceti socialmente ed economicamente più deboli del paese. La visione
statalista maggioritaria nelle aree della cosiddetta “sinistra radicale” mentre
sono minoritarie le tendenze più spiccatamente libertarie, non facilita di
certo i percorsi di elaborazione di pensieri “altri”. A ciò si aggiunge
l’impossibilità di trovare luoghi fisici di confronto e discussione collettiva
dati i generalizzati lockdown, l’imposizione del “distanziamento sociale” e i
ripetuti divieti di “assembramento”. Non saremmo certo a questo punto se nelle
ultime decadi, sinistra “radicale” e “moderata”, l’associazionismo, le
organizzazioni sindacali, ecc. avessero fatto fronte comune contro il
neofascismo dilagante e lo stesso negazionismo storico sui crimini del
colonialismo italiano in Africa o di quelli perpetrati in Yugoslavia durante la
seconda guerra mondiale, Con l’aggravante di aver consentito a Casa Pound, alla
destra estrema e a quella in doppio petto che siede in Parlamento di
capovolgere la narrazione sul negazionismo e scagliarsi contro coloro che
provano a documentare i falsi storici sulle foibe e il “genocidio titino” degli
italiani d’Istria e Dalmazia, come ad esempio è accaduto alla stessa Alessandra Kersevan
o alla triestina Claudia Cernigoi. Proprio i Wu Ming ci ricordano che la destra
si è appropriata dell’accusa di negazionismo per consentire a certa narrazione
risalente al collaborazionismo filonazista di diventare storia di Stato (vedi l’istituzione del Giorno del Ricordo). “Quel che è più grave –
aggiungono i Wu Ming – il termine spinge verso la patologizzazione dei
discorsi sgraditi e la psichiatrizzazione dell’avversario:
se non sei d’accordo con me che la penso come
tutti allora neghi la realtà,
e chi nega la realtà è un folle o un demente, e coi folli o i dementi non si
può ragionare…”.
Devo comunque dire che in Italia non sono mancate in queste mesi
altre importanti voci di contro-pensiero sulla pandemia e di denuncia sulla
militarizzazione dilagante. Penso ad esempio al Gruppo di ricerca pandemico che
ha raccolto a sé studiosi, pedagogisti, medici, psicologi, ecc. e che ha
pubblicato recentemente un prezioso volumetto di cui ne consiglio la lettura (Anarchia contro il virus. Cronache e prospettive,
Zero in condotta edizioni), all’Osservatorio sulla repressione, ad alcuni
centri sociali e circoli libertari, a politologi e sociologi come ad esempio
Turi Palidda dell’Università di Genova, Pietro Saitta dell’Università di
Messina ed altri.
Durante la prima ondata e
il primo lockdown l’attenzione sulla contagiosità era riservata ai famosi
runner o su chi usciva per fare delle passeggiate in solitaria, mentre i luoghi
di lavoro, con il benestare di Confindustria, erano visti come inviolabili. La
colpevolizzazione tra la gente e la “caccia all’untore” nascondono un ruolo
politico?
La caccia all’untore in tempi di pandemia ha consentito
innanzitutto di legittimare ignobili pratiche di controllo sicuritario e
repressione, accelerare la militarizzazione di ogni spazio pubblico, sperperare
enormi risorse finanziarie con l’acquisto e utilizzo di sistemi di
videosorveglianza, droni, ecc., senza che tutto ciò creasse preoccupazioni di
alcun genere tra la stra-maggioranza dell’opinione pubblica. Ovviamente tutto ciò
ha consentito pure una grande operazione di manipolazione e occultamento delle
verità sulle cause e le responsabilità dello scoppio della pandemia e degli
innumerevoli errori, volontari e non, che le autorità pubbliche hanno commesso
nel tentativo, fallimentare, di contrastare i contagi. Il runner è un capro
espiatorio, ancora più fragile e facilmente criminalizzabile perché è solitario
e “disobbediente”.
Prima con le restrizioni,
poi con le multe che incidevano sulla fedina penale, le forze armate a presidiare
le strade, i droni e poi la conseguente militarizzazione della crisi sanitaria
fino ad arrivare ad avere il Generale Figliuolo a gestire l’emergenza. Sono
state fornite le condizioni “culturali” per militarizzare la società?
Sì, sono convinto che non c’è stata scelta in tutti questi mesi
che non abbia perseguito innanzitutto il fine di condizionare pesantemente
l’assetto democratico del paese, accelerare i processi autoritari, di
militarizzazione e riarmo, rafforzare ulteriormente il peso delle classi
dominanti e ridurre al lumicino le pratiche di lotta, l’opposizione e il
dissenso. Un golpe bianco fatto
di innumerevoli decreti e divieti e che temo sarà seguito presto – così come
accaduto con i colpi di stato in America latina negli anni settanta del secolo
scorso e le ricette neoliberiste adottate dai militari torturatori – con un
ulteriore pesantissimo attacco al salario e ai diritti sindacali di milioni di
lavoratori dipendenti. Tutto ciò mentre si perpetrerà la condanna all’assoluta
precarietà delle nuove generazioni.
Sabino Cassese e Giorgio
Agamben, coraggiosamente, hanno criticato la violazione delle libertà
costituzionali che da Conte a Draghi continua ad esserci. Siamo solo all’inizio
di uno “stato d’eccezione”?
Lo stato d’eccezione è ormai stato
permanente e i decreti, le circolari e gli stessi atti e comportamenti
delle autorità di governo e dell’apparato poliziesco e militare hanno nei fatti
re-iscritto la carta costituzionale. Senza una nuova resistenza sociale e
politica il rischio che il post-pandemia sia segnato da una società di stile e
modello orwelliano è davvero reale.
In tempi in cui vengono a
galla gli effetti della privatizzazione della sanità ed emerge il “dogma della
sicurezza”, è un caso che Bill Gates abbia un ruolo centrale nel dettare
l’agenda sanitaria globale?
Bill Gates, la sua fondazione e la rete di holding finanziarie
medico-farmaceutiche sviluppatasi parallelamente sono certamente un aspetto
chiave per comprendere l’ulteriore spinta alla privatizzazione selvaggia del
sistema sanitario globale. Però Gates & soci non sono l’unico attore
in questo devastante processo economico e socio-sanitario. La stessa guerra dei
vaccini che vede su fronti contrapposti transnazionali farmaceutiche e
industriali e persino le grandi potenze nucleari è la riprova dell’esistenza di
una ristretta pluralità di protagonisti. Questo lo dico perché non vorrei che
anche a sinistra si riproducesse la falsa immagine di Grande
fratello del plurimiliardario di Seattle. La complessità della
globalizzazione richiede uno sforzo che vada aldilà di pericolose
esemplificazioni.
In questi periodi bui,
saremo in grado di costruire un’altra visione politica in critica
al sistema-mondo?
Mi si consenta il pessimismo dell’ottimismo. Quanto sta
accadendo è di una rilevanza reazionaria e controrivoluzionaria che non ha
precedenti nella storia universale degli ultimi ottant’anni. La pandemia ha
ulteriormente moltiplicato i divari tra le classi sociali e ciò è avvenuto tra
indicibili e dolorosi lutti e le condanne all’isolamento forzato di miliardi di
persone. La corsa al riarmo, anche nucleare, è stata rilanciata come non
accadeva da tempo e insieme all’instabilità globale tutto ciò accresce i rischi
di olocausto. Non voglio poi pensare alla cosiddetta “transizione ecologica”
che sarà implementata a suon di miliardi dal governo Draghi o dalla Ue e dalle
altre potenze economiche mondiali. Però la storia dell’umanità ci insegna che
anche di fronte al peggiore del fascismo militarista c’è stata la capacità
prima di resistere all’annientamento e poi di sconfiggerlo. Ricostruire legami,
solidarietà e resistenze è un nostro dovere. E dobbiamo provarci. Subito.
Intervista a cura di Lorenzo Poli, pubblicata in Pressenza.com il 18 aprile 2021, https://www.pressenza.com/it/2021/04/covid-19-e-covidismo-tra-malattia-isteria-biopolitica-e-militarizzazione-intervista-ad-antonio-mazzeo/
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