Soldi e interessi militari NATO per i test sierologici COVID-19 in Italia
Due milioni di test sierologici su base volontaria per il personale docente e amministrativo di tutte le scuole d’Italia. Uno screening di massa senza precedenti nella storia che il governo Conte-Azzolina-Speranza ritiene necessario per “contrastare e contenere l’emergenza COVID-19” ma che solleva perplessità nel mondo scientifico e tra gli stessi operatori scolastici per la non comprovata attendibilità delle indagini e l’incerta protezione dei dati personali sensibili che saranno raccolti e sistematizzati.
L’esecuzione
dei test sierologici è stata demandata ai medici generici e ai laboratori delle
aziende sanitarie locali. I dati relativi al loro esito sono trasmessi ai
Dipartimenti di prevenzione delle ASL che li comunicano poi alla Regione di
appartenenza, la quale – a sua volta - li trasmette in forma aggregata all’Istituto
Superiore di Sanità (ISS)”, si legge nell’apposita circolare del Ministero
della Salute del 7 agosto 2020. Una procedura complessa e con molteplici attori
in campo che rende possibile l’accesso ad una straordinaria mole di dati scientifici
e statistici da parte di soggetti terzi con fini e interessi economici (transnazionali
e industrie farmaceutiche) o, peggio ancora, militari.
Non
farà certo piacere al personale scolastico venire a conoscenza che proprio l’Istituto
Superiore di Sanità sta realizzando in questi mesi un progetto di sviluppo dei
kit diagnostici rapidi per il dosaggio di anticorpi e antigeni specifici del
coronavirus nei fluidi biologici, con un finanziamento dell’agenzia Science for
Peace and Security della NATO, l’onnipotente organizzazione militare internazionale
del Nord Atlantico. Anche questo progetto, secondo l’ISS, punta a “contribuire
a limitare la diffusione della SARS-CoV-2 fornendo nuovi strumenti per la
diagnosi rapida che possono essere utilizzati in contesti su larga scala,
grazie ad un approccio multidisciplinare con esperti del settore dell’immunologia,
della virologia e della biologia molecolare”. Alla sua realizzazione collaborano l’equipe di medici del Policlinico
Universitario di Tor Vergata diretto dal prof. Massimo Andreoni e il gruppo di
ricerca del prof. Gennaro De Libero dell’ospedale universitario di Basilea
(Svizzera).
A
coordinare il progetto ISS-NATO è stato chiamato il responsabile
del reparto d’immunologia dell’Istituto di Sanità, Roberto Nisini, dal
1984 al 1997 ricercatore militare dell’Aeronautica italiana e dal febbraio 2020
responsabile scientifico del programma Real
Biodefence per la realizzazione di “vaccini a mRNA inserito in liposomi
asimmetrici nella difesa da agenti biologici”. Quest’ultimo progetto è stato avviato
grazie a un accordo di collaborazione tra l’ISS e il Ministero della Difesa; approvato
dal consiglio d’amministrazione dell’ISS il 19 novembre 2019, avrà una durata
di 12 mesi e la spesa di 65.670 euro.
“I fluidi
biologici analizzati per i test diagnostici saranno il sangue ma anche la
saliva e le secrezioni naso-faringee da tampone e il risultato si potrà
conoscere in un lasso di tempo variabile da pochi minuti a un’ora”, ha spiegato
il dottor Roberto Nisiti il 5 maggio 2020 presentando il progetto dei kit diagnostici finanziato dalla NATO. “Il test sarà strumentale per lo screening iniziale in
un triage o in una comunità. I kit
diagnostici consentiranno un rilevamento più rapido dei SARS-CoV-2 rilasciati
nei fluidi corporei umani nell’ambiente e l’identificazione sensibile della
risposta immunitaria agli antigeni strutturali. Gli aspetti innovativi di
questo progetto includono la possibilità di rilevare e misurare sia le
immunoglobuline umane G (IgG), A (IgA) e M (IgM) specifiche per componenti
strutturali del SARS-CoV-2 nel siero, che gli antigeni virali nei biofluidi”.
Sempre
secondo i ricercatori dell’ISS, saranno prodotte proteine strutturali
ricombinanti codificate e anticorpi monoclonali (mAb) specificamente in grado
di riconoscere queste proteine. “La procedura di immunizzazione che verrà
utilizzata per generare anticorpi monoclonali fornirà anche un modello
preclinico di immunogenicità di un vaccino anti-COVID-19”, ha aggiunto Nisiti. “L’identificazione
di anticorpi anti-virus potrebbe rappresentare un primo passo nello sviluppo di
immuno-terapie basate sulla somministrazione di anticorpi per il trattamento di
pazienti infetti”.
“Il progetto che abbiamo lanciato nell’ambito
dello Science for Peace and Security Programme della NATO è un esempio
eccellente degli sforzi di ricerca globale della comunità per combattere il
COVID-19”, ha dichiarato Antonio Missiroli, vicesegretario dell’Alleanza
Atlantica con delega per le sfide delle
emergenze alla sicurezza. “Esso rafforza anche l’impegno della NATO per la resilienza e la preparazione
civile delle nazioni alleate e partner in tempi di crisi. Anche se i risultati attesi da questo
progetto sono estremamente rilevanti per l’odierna situazione mondiale, noi attendiamo
con ansia l’impatto che esso avrà a lungo termine in vista di una risposta
internazionale contro i virus e i patogeni che si generano in natura o contro
quelli creati dall’uomo”.
Anche
Philippe Brandt, ambasciatore svizzero in Belgio e capo missione della
confederazione elvetica presso il Comando supremo della NATO ha enfatizzato il nuovo
progetto di ricerca ISS-NATO. “Per la
Svizzera essere associata al Programma Partnership for Peace significa poter
condividere le capacità per migliorare la sicurezza in un ambito multilaterale”,
ha dichiarato il diplomatico. “Con alcune università di massimo livello, centri
scientifici e una forte relazione tra il settore privato e la ricerca, la
Svizzera è ben posizionata per partecipare agli sforzi della comunità
internazionale per combattere il COVID-19”. Come dire la privatizzazione della
ricerca accademica a fini militari.
Lo Science for Peace and Security Programme è uno dei più importanti programmi di partenariato
della NATO a supporto della ricerca scientifica per “affrontare le sfide della
sicurezza del 21° secolo”, in particolare nei settori della cyber defence, delle
tecnologie avanzate, dell’antiterrorismo, della sicurezza energetica e della “difesa
contro agenti chimici, biologici, radiologici e nucleari”. Il programma SPS sovvenziona
progetti pluriennali, seminari di ricerca, corsi di formazione e istituti di
studio avanzati, reti di esperti internazionali e scambi di competenze e
know-how tra le comunità scientifiche della NATO e dei paesi partner.
Dopo
lo scoppio della pandemia da coronavirus, buona parte dei fondi e degli
interventi sono stati indirizzati alla ricerca sul COVID-19, con finalità
dichiaratamente di ordine strategico-militare. “Abbiamo ricevuto dalla comunità
scientifica oltre 40 proposte di studio per individuare le risposte che devono
essere assunte contro questa nuova emergenza”, riporta l’ufficio stampa della
NATO in un comunicato del 10 luglio scorso. “Si sta investigando per avere una
migliore conoscenza sulla disinformazione che circola sulla pandemia e su come
contrastarla; su come assicurare le migliori condizioni sanitarie alle forze
armate in caso di pandemia; su come rafforzare l’uso della tecnologia per
addestrare i leader militari durante gli interventi in pandemia; sulle lezioni
apprese dal COVID-19 per i sistemi di difesa nazionali; sulla dimensione etica
del supporto militare alle attività sanitarie in pandemia”.
Sarebbero oltre 6.000 gli scienziati coinvolti dall’Alleanza Atlantica nei programmi sul coronavirus, a cui si aggiungono pure i ricercatori del Centre for Maritime Research and Experimentation (CMRE) di La Spezia, centro d’eccellenza NATO per la realizzazione e sperimentazione di nuovi sistemi d’arma navali e subacquei.
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