Reattori nucleari da rottamare in visita nel Golfo di Napoli
Un ultimo approdo a Napoli per tre giorni prima d’incrociare
l’Atlantico e raggiungere Norfolk, in Virginia. Dal 19 al 21 ottobre le acque del
capoluogo campano hanno ospitato la USS
Enterprise, la più vecchia delle portaerei a propulsione nucleare della
marina militare Usa, nella sua ultima missione operativa. Dopo 50 anni di guerre
e tantissimi morti, entro la fine di dicembre l’unità sarà smontata pezzo per
pezzo e verranno inattivati i suoi otto reattori atomici. A omaggiare la Enterprise nella sua sosta a Napoli sono
intervenute le massima autorità militari nazionali, l’ambasciatore Usa in
Italia David Thorne e l’ammiraglio Bruce Clingan, comandante delle forze navali
statunitensi in Europa e in Africa.
Nell’agosto del 1962, il Golfo di Napoli e la base Usa
e Nato di Gaeta furono meta del viaggio inaugurale di quella che sino ad oggi è
stata la più imponente delle unità da guerra (342 metri di lunghezza e un dislocamento di
93.000 tonnellate). Qualche mese dopo,
la USS Enterprise venne trasferita nei
Caraibi per stringere l’assedio contro Cuba durante la crisi dei missili
nucleari sovietici. Da allora in poi la portaerei nucleare è stata la protagonista
di tutte le operazioni di guerra scatenate da Washington a livello planetario: dal Vietnam al
primo conflitto del Golfo, dai Balcani e il Kosovo sino alle odierne operazioni
belliche in Afghanistan e in Iraq. Quella iniziata nel marzo di quest’anno in
Medio Oriente è stata la venticinquesima e ultima missione della Enterprise: in meno di sei mesi e con un equipaggio di 3.000 marinai e 1.800
aviatori, ha attraversato lo Stretto di Hormuz una decina di volte e la settantina
di caccia imbarcati hanno effettuato 8.800 sortite nell’area del Golfo persico,
contribuendo a far crescere pericolosamente la tensione tra Stati Uniti-Israele
e l’Iran.
Con la dismissione della portaerei, il Pentagono risparmierà
in un anno perlomeno 85 milioni di dollari, 30 in manutenzione e 55 in costi
operativi. Originariamente era stato previsto di pensionare l’Enterprise tra il 2014 e il 2015, quando
sarà varata la nuova USS Gerald R. Ford,
ma sia per motivi di bilancio che per l’errata previsione sulla durata di vita
dei reattori nucleari, il comando generale di Us Navy è stato costretto ad
anticipare l’uscita di scena dell’unità navale. In conseguenza, il numero delle
portaerei statunitensi nei prossimi due-tre anni si ridurrà da undici a dieci.
Il regolare funzionamento e la tipologia degli apparati
nucleari dell’Enterprise sono stati problemi
ardui e costosissimi per la marina Usa. Essa è infatti l’unica portaerei al
mondo dotata di più di due reattori: la propulsione è assicurata da quattro impianti
dotati ognuno di due reattori atomici A2W di seconda generazione,
dalla potenza di 210 MW, prodotti dall’industria statunitense Westinghouse. Gli
impianti consentono alla portaerei di navigare ad una velocità di 33 nodi (60
km/h) con la possibilità di raggiungere anche per brevi tratti i 35 nodi (65
Km/h). I reattori sono ad acqua pressurizzata e vengono alimentati da uranio-235
altamente arricchito (intorno al 93%). Proprio la pericolosità di questi obsoleti
impianti e gli insostenibili costi per la loro messa in sicurezza hanno reso
impossibile il sogno dei veterani della Marina di trasformare l’Enterprise in un gigantesco museo di
guerra navale. “Questa portaerei viene smantellata perché i reattori sono già stati riforniti
tre volte e richiedono troppi uomini”, ha spiegato l’ammiraglio Ted Carter, al
comando del gruppo di battaglia condotto dalla grande imbarcazione atomica.
Il commiato dell’Enterprise nel Golfo di Napoli ha riproposto
all’attenzione pubblica la questione dell’utilizzo dei porti italiani per l’approdo
e il transito di unità navali a propulsione nucleare e/o dotati di armamenti e
testate atomici. Secondo quanto ammesso dal governo, attualmente sono ben
undici le località adibite a porti nucleari: oltre Napoli, ci sono Augusta, Brindisi, Cagliari, Castellamare di
Stabia, Gaeta, La Maddalena ,
La Spezia ,
Livorno, Taranto e Trieste. Per la presenza in Campania dei
maggiori comandi navali Usa e Nato nel Mediterraneo, Napoli è una della città più
visitate dalle unità nucleari. Nel giugno 2011, proprio quando i cittadini
italiani si recavano alle urne per ribadire il loro “No” all’installazione di
centrali nucleari civili sul territorio nazionale, nel porto partenopeo approdavano
provocatoriamente le unità componenti il George
H.W. Bush Carrier Strike Group, la task force navale proveniente dai
bombardamento in Libia e comandata dalla USS
George H.W. Bush, portaerei della classe “Nimitz” con a bordo due
pericolosissimi reattori nucleari A4W con una potenza di 194 MW.
“Quello di Napoli e degli
altri dieci porti italiani è un inaccettabile paradosso”, commenta Angelica
Romano, peace researcher e curatrice del volume Napoli chiama Vicenza. Disarmare i territori, costruire la pace (Gandhi
edizioni, Pisa, 2008). “Negli Stati Uniti i mezzi navali nucleari non possono
attraccare ai porti civili. Una precauzione per evitare che un solo terrorista,
con estrema facilità, vi spari contro un razzo e provochi un disastro. Da noi
invece tutto è permesso. A Napoli non esistono norme di sicurezza, o perlomeno
non sono ancora divulgate, tantomeno piani di prevenzione e conoscenza dei
rischi dovuti al passaggio di sommergibili o portaerei a propulsione e/o con
armi nucleari. Né, tantomeno, sono presi in considerazione gli effetti legati
alle operazioni di manutenzione o di semplice passaggio, che possono creare
danni all’ambiente. Siamo una metropoli di oltre tre milioni di persone, con
una densità di 8.566 abitanti per kmq, altissima rispetto ad altre città. Come ci
potremmo salvare da un incidente nucleare?”.
Angelica Romano ricorda che negli
ultimi anni sono state presentate al prefetto diverse interrogazioni in merito
al cosiddetto Piano di Emergenza Esterna
per i porti di Napoli e Castellammare di Stabia. “Le risposte sono state alquanto
evasive”, aggiunge la peace researcher. “Si è sostenuto che i piani esistono,
ma che si attendono i pareri dagli organi
centrali e la valutazione tecnica della Commissione della Sicurezza e
protezione sanitaria. A oggi però, non si è registrato nessun atto formale”.
Comportamenti omissivi in
aperto contrasto con le norme sulla protezione dei cittadini dalle radiazioni
ionizzanti. Il decreto legislativo n. 230 del 17 marzo 1995 all’art. 129 prevede
“l’obbligo d’informazione alle popolazioni che possono essere interessate da
emergenza radiologica”. L’articolo successivo impone come tale informazione, di
competenza dei sindaci interessati, debba comprendere almeno la “natura” e le “caratteristiche”
della radioattività e suoi effetti sulle persone e sull’ambiente; i “casi di
emergenza radiologica” presi in considerazione; il “comportamento” da adottare
in tali eventualità; le autorità e gli enti responsabili degli “interventi
d’informazione, protezione e soccorso” in caso di emergenza radiologica. L’assenza
di questi interventi ha indotto l’associazione nazionale Verdi Ambiente e Società, presieduta dall’ex parlamentare Guido
Pollice, a presentare l’11 aprile 2011 una diffida al Sindaco di Napoli per
violazione del decreto legislativo suddetto, con invito a provvedere, entro 90
giorni, a predisporre un progetto finalizzato per l’informazione della
popolazione.
“Al fine di evidenziare il
pericolo del nucleare militare, il successivo 12 luglio, abbiamo organizzato un’assemblea
pubblica sul tema Napoli Porto di Pace,
a cui abbiamo invitato i rappresentanti istituzionali locali”, afferma Flavia Lepre
del Comitato pace, disarmo e smilitarizzazione
del territorio di Napoli. “All’incontro è intervenuto pure il dottore
Alessio Postiglione, assicurando l’adesione all’iniziativa del sindaco De
Magistris e la sua intenzione di provvedere quanto prima ad una formale
notifica alla cittadinanza dell’emergenza derivante dalla presenza nel porto di
natanti militari nucleari e della necessità di redigere e diffondere,
successivamente, un apposito Piano particolareggiato”. Disatteso l’impegno, nel
maggio 2012 Verdi Ambiente e Società
ha presentato un esposto alla Procura della repubblica di Napoli. “Con due
lettere successive - in data 6 dicembre 2010 e 3 gennaio 2011 - abbiamo fatto
richiesta alla Prefettura di Napoli di avere accesso al Piano di Emergenza Esterna del Porto di Napoli, ottenendo però solo
una parziale documentazione, consistente nell’allegato G9 (Piano particolareggiato per l’informazione della popolazione)”, denunciano
i rappresentanti dell’associazione. “Il documento ricevuto è risultato molto
generico, privo dei riferimenti richiesti e quindi della specifica situazione
di emergenza che ha motivato la redazione del Piano relativo (…) Il Sindaco, e
per esso i preposti responsabili, persistono da anni nell’omettere
l’adempimento di cui sopra, in quanto nessuna informazione preventiva è stata
mai fornita alla cittadinanza interessata ad un’eventuale emergenza radiologica
dovuta ad incidente che possa occorrere ad un’unità a propulsione nucleare,
nonostante le precedenti sollecitazioni ad esso indirizzate. Tale inadempienza,
oltre a contravvenire alle disposizioni di legge, potrebbe di fatto vanificare
l’attuazione di provvedimenti, preventivi e protettivi, finalizzati alla pubblica
incolumità, o quanto meno comprometterne l’efficacia”.
Per il professore
Massimo Zucchetti, ordinario di Impianti
nucleari presso il Politecnico di Torino, la presenza di unità militari nucleari
non è assolutamente ammissibile, per motivi di sicurezza, in nessuno degli
attuali porti italiani. “Nell’ambito della localizzazione e del licensing
di reattori civili terrestri – spiega Zucchetti - le normative impongono intorno
ad essi la previsione di un’area con un raggio di 1.000 metri in cui non sia
presente popolazione civile (la cosiddetta zona
di esclusione), mentre è richiesta, in una fascia esteriore più ampia - di
non meno di 10 km di raggio - una scarsa densità di popolazione per ridurre le
dosi collettive in caso di rilasci radioattivi, sia di routine che incidentali.
Cosa del tutto diversa nel caso dei reattori nucleari a bordo di unità navali
militari, dato che molti dei porti si trovano in aree metropolitane densamente
popolate e i punti di attracco e di fonda delle imbarcazioni sono, in alcuni
casi, posti a distanze minime dall’abitato. La presenza di reattori in zone
densamente popolate provoca poi, in caso di incidente, evidenti difficoltà di
gestione dell’emergenza”. Un rischio ambientale insostenibile, dunque, che continua
però a non turbare il sonno delle autorità statali e dei sin troppo compiacenti
amministratori locali.
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