A Messina borghesia di mafia, col processo Beta pene esemplari ma fallimento della città
Una vicenda che ha fatto registrare difese d’ufficio di ex amministratori verso un sistema immutato e immutabile. Feriscono e offendono attestati di fiducia e stima che gli antimafiosi continuano ad esprimere pubblicamente a funzionari, imprenditori, politici vecchi e nuovi, che mai hanno preso le distanze
Ieri sera si è concluso il processo
di primo grado contro i diretti rappresentanti del clan Santapaola a Messina e
i loro (presunti) colletti bianchi. Ho seguito l’inchiesta giudiziaria sin dai
suoi primi passi e ho narrato tutte le fasi più importanti del dibattimento,
anche perché convinto – congiuntamente al processo sul cosiddetto Terzo livello – che si trattasse di uno
dei procedimenti giudiziari più rilevanti della storia dell’intera provincia di
Messina. L’operazione Beta ha infatti
messo a nudo un solido sistema di alleanze e contiguità tra criminalità
organizzata, noti professionisti (alcuni dei quali con strutturate relazioni
con la politica e le amministrazioni pubbliche), costruttori, imprenditori,
ecc..
Aldilà dei risvolti prettamente
penali che, sinceramente, neanche adesso mi interessano e/o entusiasmano – le
indagini hanno documentato le modalità d'infiltrazione mafiosa nel tessuto
socio-economico e politico della città e – come già accaduto in passato con
meno fortunate inchieste (vedi tra tutte Arzente
Isola nei primi anni ’90 su un vasto traffico di armi destinate a paesi in
guerra), la forza e la capacità della borghesia mafiosa peloritana nel
proiettarsi negli affari leciti e illeciti a livello nazionale e internazionale
(opere pubbliche, complessi immobiliari, sfruttamento delle risorse petrolifere
e minerarie in Africa, turismo e casinò a Malta, ecc.).
E' a questi processi intrinsecamente
contaminanti e socialmente devastanti che i cittadini, le forze politiche e
sindacali, le associazioni di Messina avrebbero dovuto guardare. E invece, ed è
questo il vero fallimento di questa lunga vicenda, il processo Beta - seguito a debite distanze da
migliaia e migliaia di lettori - è
scivolato sulla città senza lasciare alcun segno o alimentare alcuna
riflessione collettiva. In tutti questi anni, infatti, mai un incontro
pubblico, un dibattito, una riunione consiliare, una dichiarazione di un
esponente della cultura o della città che conta, una trasmissione televisiva,
men che mai una manifestazione antimafia.
Niente.
Così, aldilà di una sentenza (di
primo grado, lo ricordiamo) con condanne che non avremmo immaginato così
pesanti specie sul fronte della cosiddetta zona
grigia (espressione non certo corretta dal punto di vista sociologico, ma
ampiamente utilizzata sui media),
l’assenza di qualsivoglia reazione emotiva testimonia che ancora una volta a
vincere sono solo sempre coloro che da decenni ripetono che a Messina la Mafia non esiste e che la
borghesia è una classe onesta, produttiva ed esente da
contaminazioni/collaborazioni o contiguità.
Personalmente continuo a pensarla in
modo del tutto diverso. Abbiamo provato a denunciare da tempo immemorabile che Messina è culturalmente mafiosa e le sue
classi dirigenti sono oscenamente permeabili. Tutte. Trasversalmente. A
destra e a sinistra, ammesso che ancora in città si possa parlare di sinistra. Sono testimone diretto
dell’incapacità, ad esempio, di quella parte dell’altra Messina che ha guidato per una breve parentesi la vita
amministrativa locale di rendersi conto della necessità di rompere con ogni
formula consociativa del passato e, soprattutto, che non era sostenibile il
cambiamento senza un’analisi attenta delle modalità con cui le relazioni
amicali, familiari e d’affari hanno governato la città, costituendone di fatto
il blocco – immutabile – del potere.
Ad oggi – e lo dico con profonda
amarezza – continuo a non comprendere le difese d’ufficio di ex amministratori
verso un sistema immutato e immutabile e men che meno resto basito (e offeso)
per gli attestati di fiducia e/o stima che gli antimafiosi continuano ad esprimere pubblicamente nei confronti
funzionari, imprenditori, politici vecchi e nuovi, ecc. che mai hanno inteso
prendere le distanze – neanche in sede processuale – dagli imputati accusati (e
oggi condannati) per gravi reati. L’ennesima conferma, questa, che la borghesia è mafiosa, secondo la definizione
del più importante studioso dei fenomeni mafiosi, Umberto Santino del Centro
Siciliano di Documentazione “Peppino Impastato” di Palermo: professionisti, imprenditori, pubblici amministratori,
politici e rappresentanti delle istituzioni che siedono accanto a boss e
capimafia alla guida del blocco sociale dominante. Si tratta cioè di sistema relazionale transclassista, fatto
di scambi reciproci, entro cui agiscono i gruppi criminali mafiosi e si
riproducono domini e poteri. Messina è stata ed è proprio questa e gli
inquirenti lo hanno bene documentato con l’Operazione
Beta.
Una vera opposizione alle mafie si
può costruire oggi solo prendendo atto della gravità socio-politica del caso Messina. E pur nella difesa ad
oltranza dei valori della democrazia e del garantismo nei confronti di tutti, è
assolutamente doveroso partire da un’analisi di quanto accaduto in questi ultimi
decenni. Facendo autocritica tutti. Per gli errori commessi e per non aver mai
voluto mettere in discussione antichi equilibri e consolidate alleanze.
Sono purtroppo pessimista, non certo
per indole, ma per la consapevolezza che Messina ha perso le sue difese
immunitarie e finanche la memoria. Senza anticorpi sociali, culturali ed
economici ogni cambiamento è impossibile.
Articolo pubblicato in Messina Today il 23 dicembre 2020, https://www.messinatoday.it/blog/editoriale/sentenza-beta-borghesia-mafia-analisi-mazzeo.html
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