Estate 2020, quando l’Italia scatenò la caccia all’“untore nero”

 


In questi ultimi mesi abbiamo assistito ad una vera e propria caccia all’untore nero. “I migranti stanno trasmettendo il Covid-19 agli italiani” il leit motiv estivo. Una narrazione falsa e xenofoba che ha visto “autorevoli” protagonisti il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci e il suo maggior concorrente alla rielezione, il sindaco metropolitano di Messina Cateno De Luca. Al seguito, scimmiottando tiritere e slogan di Lega e fascisti, un nutrito e variegato gruppo di amministratori locali, consiglieri comunali, aspiranti politici e leader trombati, finanche qualche giornalista embedded.

La ricostruzione della vergognosa vicenda di sei minori stranieri non accompagnati detenuti dal 29 luglio sino al 30 agosto 2020 nel lager-hotspot di Messina consente invece di ribaltare l’ignobile e strumentale equazione invasione migranti – esplosione dei focolai da Covid-19. Nel centro di mala-accoglienza realizzato abusivamente all’interno dell’ex caserma “Gasparro” di Bisconte (oggi finalmente vuoto ma non ancora definitivamente chiuso), quattro adolescenti tunisini provenienti dalla provincia di Monastir - in possesso di un documento d’identità in lingua francese -, un sedicenne tunisino originario della città di Zarzise e un minorenne somalo (questi ultimi due privi di documenti) sono stati costretti a convivere insieme a decine di adulti in un fatiscente camerone zeppo di brandine e letti a castello.

La loro illegittima detenzione, in violazione delle norme del diritto internazionale e delle leggi italiane, era stata denunciata il 12 agosto in un esposto dall’avvocato Carmelo Picciotto dell’Associazione per gli Studi sull’Immigrazione (ASGI) e successivamente confermata dal Garante per l’infanzia del Comune di Messina, dottor Fabio Costantino. Il Garante aveva pure chiesto l’immediato allontanamento dei minori dalla struttura di Bisconte, ma Prefettura e autorità sanitarie hanno imposto la quarantena a tutti gli “ospiti” del centro dopo l’accertamento di alcuni casi di positività al coronavirus tra i migranti. Ovviamente l’estensione temporale della misura detentiva è stata tutt’altro che “preventiva”: nessuno ha provveduto a garantire un’idonea e sicura sistemazione ai sei adolescenti, isolandoli dagli altri migranti adulti. Solo a fine agosto con il trasferimento in un centro d’accoglienza per minori stranieri non accompagnati si è concluso il doloroso calvario che durava dalla notte del 25 luglio, quando erano sbarcati nell’isola di Lampedusa dopo aver attraversato il canale di Sicilia in un’imbarcazione di fortuna.

Nella piccola isola, i giovani erano stati trattenuti per tre giorni all’interno di un altro hotpost, quello di contrada Imbriacola, distante diversi kilometri dal centro abitato e che proprio in quel periodo era sovraffollato come non mai. A partire della seconda metà di luglio, infatti, centinaia di persone, in maggioranza cittadini tunisini, erano riusciti a raggiungere l’arcipelago delle Pelagie. Dopo interminabili soste sotto il sole nel molo di Lampedusa per i primi sommari controlli di polizia, essi erano stati stipati all’interno del centro d’”accoglienza” in condizioni inimmaginabili. Nonostante la struttura sia abilitata ad ospitare contemporaneamente non oltre 200 persone, nei giorni di permanenza nell’isola dei sei adolescenti, esso arrivò a contenere più di un migliaio di migranti, alcuni in gravi condizioni fisiche e sanitarie.

Una foto pubblicata il 27 luglio dalla testata online Mediterraneo - diretta dal giornalista Mauro Seminara - ha immortalato il criminale comportamento delle autorità statali e locali: senza alcun sistema protettivo (mascherine, guanti, ecc.), migranti e operatori del centro si accalcavano uno sull’altro accanto l’inferriata del lager. I contorni di quel girone infernale è stato ben raccontato in un reportage da Paolo Brera de la Repubblica, il  31 luglio. “Gli ospiti del centro di Lampedusa hanno decisamente fame”, scriveva il giornalista. Brera riportò pure le dichiarazioni di alcuni tunisini “ospiti” a contrada Imbriacola. “Non ci danno abbastanza da mangiare: ci sono file di centinaia di persone, sono due mattine che saltiamo la colazione e mangiamo solo a pranzo e cena”, raccontò Kaiss T. H.. “Ci razionano persino l’acqua, una bottiglia di due litri ci deve bastare un giorno e la usiamo anche per lavarci perché i bagni sono pochi e sono sporchi, non possiamo neanche farci la doccia”. “Quando siamo sbarcati a Lampedusa il personale della Croce Rossa ci ha misurato la temperatura sulla fronte ma non ci hanno ancora fatto nessun test per il Covid”, dichiarò a la Repubblica un altro migrante tunisino. “Dormiamo all’aperto, le condizioni del campo sono molto dure e non c’è abbastanza da mangiare: stamattina a colazione dopo una lunghissima attesa ci hanno dato una tazza di latte e un pacchettino minuscolo di biscotti… All’interno i ragazzi sono spalla a spalla senza una sola mascherina, il pericolo di contagio è molto elevato…”.

E proprio quello di non aver previsto le necessarie misure di prevenzione e distanziamento a Lampedusa e negli altri ghetti siciliani dove sono stati poi deportati i migranti (Messina, Pozzallo, Pian del Lago, ecc.), è stato uno dei comportamenti più irresponsabili assunti delle autorità di governo. Secondo quanto ci è stato riferito dai familiari di due dei giovani tunisini di Monastir detenuti nell’ex caserma di Bisconte, a Lampedusa essi sono stati sottoposti solo a un test sierologico e per un primo tampone hanno dovuto attendere il loro arrivo a Messina. E questo nonostante fosse ormai chiaro a tutti che l’hotspot della piccola isola pelagica, dalla prima decade di luglio si era trasformato in un potenziale centro di trasmissione del coronavirus a causa del disumano affollamento.

L’assenza di dati ufficiali da parte della Regione Sicilia non consente una ricostruzione certa di quanto accaduto in quelle settimane, ma da una rapida disamina delle fonti stampa è certo che a Lampedusa l’allarme Covid-19 era già scattato intorno a giorno 20. Il 25 luglio, proprio il giorno dello sbarco dei giovani tunisini, una nota dell’agenzia Ansa riportava che “nell’hotspot di Lampedusa sono in atto le analisi previste dal protocollo anti Covid: 25 migranti sono risultati positivi ai test sierologici; per i pazienti in questione è scattata la verifica attraverso l’esame del tampone, i primi dieci test sono però risultati negativi”. Il focolaio epidemiologico veniva confermato il giorno successivo dall’Assessorato alla Sanità della Regione Sicilia e da due sindacati delle forze di polizia.

Ciò non impediva che buona parte dei migranti del centro di contrada Imbriacola, invece di essere sottoposti ai controlli previsti e poter trascorrere la quarantena in abitazioni dignitose con la dovuta assistenza medica e socio-psicologica, venivano deportati negli hotspot siciliani o confinati nelle grandi navi appositamente affittate dal governo a suon di milioni di euro.

I migranti hanno inutilmente denunciato come in talune occasioni i test sierologici e i tamponi siano stati effettuati solo molto dopo i comprovati contatti, senza il distanziamento tra le persone e senza il rispetto dei protocolli sanitari vigenti (uso di dispositivi di protezione e mascherine da parte del personale sanitario specializzato, ecc.). Agli adolescenti in fuga dalla Tunisia, la sorte peggiore: al centro di Messina, sempre secondo quanto dichiarato dall’Assessorato siciliano alla Sanità, il 6 agosto erano stati accertati cinque “ospiti” positivi al Covid-19. Oltre all’ingiusta detenzione in una struttura destinata ai soli adulti, la sovraesposizione al contagio per la carenza e/o il ritardo di idonee misure di prevenzione anti-Covid per i migranti, gli operatori e le stesse forze dell’ordine.

Se “emergenza” migranti-coronavirus c’è stata è solo perché lo Stato ha riprodotto in tempi di pandemia gli stessi modelli di confinamento massivo adottati prima del lockdown di marzo. L’emergenza anche stavolta è però un’invenzione politico-mediatica. Solo dopo l’illegittima ordinanza di Musumeci di fine agosto sulla chiusura degli hotspot in Sicilia, il ministero dell’Interno ha ritenuto dover pubblicare i dati sulla reale incidenza del coronavirus tra i migranti sbarcati a partire dal 1° giugno 2020. Su 6.371 tamponi effettuati solo il 3,98% è risultato positivo al Covid-19. Del tutto inesistente pure l’invasione estiva dalla Tunisia: a luglio erano stati 4.226 gli arrivi; ad agosto essi erano crollati a 1.976.

Intanto le Prefetture dell’Isola si preparano alla fase 2.0 della detenzione-quarantena dei migranti. A Messina, archiviata la fallimentare esperienza dell’hotspot di Bisconte, il 17 agosto è stato pubblicato un “avviso urgente” per individuare strutture con capienza da 51 sino a 150 posti per il servizio di accoglienza ed assistenza a favore di cittadini stranieri per l’applicazione delle misure di isolamento sanitario o di quarantena con sorveglianza attiva per la durata dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Per la gestione e il funzionamento dei nuovi centri “temporanei” si prevede una spesa massima di 29 euro al giorno per persona, più un contributo una tantum di 150 euro per fornire i kit per il vestiario, la pulizia personale, ecc.. Requisiti richiesti per le strutture la distanza dai centri abitati e la “dotazione di annesso cortile delimitato da idoneo cancello”.

All’orizzonte si profilano gli inevitabili business che tanto hanno caratterizzato la malaccoglienza in Sicilia a partire dalla fine della guerra in Libia del 2011 e di cui l’ex CARA di Mineo è stato l’esempio più eclatante. Allo scadere dei termini fissati dal bando della Prefettura di Messina, solo tre istanze sono state presentate da altrettanti imprenditori del settore turistico-immobiliare. Ad oggi è nota solo la localizzazione di una di esse, il resort “Parco degli Ulivi” di Villafranca Tirrena, ambita location per le cerimonie nuziali, nonché hotel a 4 stelle con una ricettività di 91 posti letto distribuiti su 37 camere con servizi privati, più annesso centro benessere, piscina, sale fitness e “vista sullo splendido panorama di Capo Milazzo e isole Eolie”, come riporta la brochure pubblicitaria.

La conversione dell’infrastruttura alberghiera in centro stile Ellis Island – l’isola avamposto nel porto di New York dove trascorsero la quarantena gli immigrati giunti negli Stati Uniti d’America – è fortemente osteggiata dall’amministrazione di Villafranca Tirrena perché causerebbe “un gravissimo danno economico che potrebbe portare al dissesto dell’Ente”. Inspiegabilmente sindaco e consiglieri comunali hanno omesso di dire ai propri cittadini che il cambio di destinazione d’uso del “Parco degli Ulivi” è stato proposto dalla società concessionaria che qualche tempo fa ha trasferito la propria sede legale in provincia di Treviso. Amministratore e socio di essa uno dei più noti imprenditori del messinese, Antonino Marchese, già a capo del consorzio che ha realizzato il primo centro commerciale in città (la C.C.T. Tremestieri). Dagli ipermercati e i villaggi-resort ai moderni lager a quattro stelle la strada è tortuosa ma sicuramente redditizia: in tempi di crisi e pandemie, meglio un centinaio di neri (sani) che un paio di turisti bianchi sospetti e sospettosi.  

Scheda

Con una capienza massima di 250 posti, l’hotspot per migranti di Messina è stato realizzato a fine 2017 in uno spiazzo adiacente all’ex Caserma dell’Esercito “Gasparro” di rione Bisconte, adibita da diversi anni a Centro di accoglienza straordinario per richiedenti asilo (CAS). Vera e propria baraccopoli con decine di container in zinco, esso è gravato da una serie di irregolarità urbanistiche relative all’area di costruzione e al rispetto di standard minimi di vivibilità, quali la ventilazione e l’illuminazione, l’assenza di spazi di socialità e l’inadeguatezza delle norme di sicurezza.

Secondo quanto documentato dall’Associazione per gli Studi sull’Immigrazione (ASGI), nonostante sia previsto che le persone straniere possano essere trattenute al suo interno solo per il tempo necessario al completamento delle procedure di identificazione (non più di 48-72 ore), sono state raccolte testimonianze su permanenze molto più lunghe (una o più settimane). L’hotspot di Messina ha accolto prevalentemente persone in attesa di trasferimento in altri paesi europei a seguito di accordi congiunturali tra i governi. In particolare, dopo aver accolto le persone sbarcate dalla nave Diciotti a fine agosto 2018, il 31 gennaio 2019 ha accolto le 32 persone soccorse dalla Sea Watch. “Questi accordi congiunturali destano molte perplessità in quanto non si tratta di procedure codificate”, ha rilevato ancora l’ASGI.

Un’ispezione nel novembre 2017 da parte di un’equipe di Borderline Sicilia ha ampiamente descritto gli effetti negativi dell’ampliamento del Centro di Messina-Bisconte sulla vivibilità e l’agibilità dei migranti. “L’inefficienza dei lavori risulta ancora più evidente ascoltando i racconti di molti ospiti del CAS: a causa di forti allagamenti degli spazi in seguito alle recenti piogge, molti di loro sono stati costretti a dormire su brandine collocate all’interno di grandi tendoni”, scriveva l’organizzazione non governativa. “La precarietà organizzativa della struttura è facilmente percepibile sin dal primo impatto visivo esterno: gli spazi sociali sono nulli, i migranti sono obbligati a stendere i panni sulla rete divisoria, alcuni dei bagni sono chimici; l’acqua calda è disponibile solo in pochi momenti della giornata. Inoltre i vestiti e le calzature vengono distribuiti solamente al momento dell’ingresso e rimangono i medesimi per l’intero arco dell’accoglienza”.

“Gli ospiti dell’ex caserma sono, dunque, costretti a sopravvivere quotidianamente in un limbo di attesa senza data di fine che ha il risultato, se non l’obiettivo, di incentivare la maggior parte di essi a scappare da quest’apatia allontanandosi dal centro, complicando sempre di più il percorso del riconoscimento della protezione e il conseguente percorso di inclusione”, concludeva Borderline Sicilia. Condizioni disumane che non sono assolutamente mutate nei tre lunghi anni trascorsi prima che venisse decisa e formalizzata la chiusura di uno dei moderni lager della sporca guerra Ue ai migranti.

 

Articolo pubblicato in Le Siciliane - Casablanca, n. 65, agosto-settembre 2020

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