Il 25 aprile a Messina. Sbarco armato di migranti in una città ipermilitarizzata
Messina non avrebbe potuto
festeggiare nel peggiore dei modi il 25 aprile. “Liberazione dal fascismo,
liberazione dalla guerra”, ma chi ha avuto la sventura di avvicinarsi al porto
della città dello Stretto nella giornata di ieri, ha respirato a pieni polmoni
stato di guerra e autoritarismi filo-fascisti. Le operazioni di sbarco di 139
migranti provenienti dal nord Africa hanno smentito tutti coloro che per
ignobili scopi elettoralistici girano l’Europa per narrare di una Messina “modello
di accoglienza e integrazione”, occultando volutamente come l’odierna guerra ai
migranti e alle migrazioni scatenate nel Mediterraneo dall’Unione Europea e
dalla NATO abbiano di fatto ipermilitarizzato intere aree urbane, convertendo
il territorio peloritano in uno dei centri strategici in Italia delle politiche
di “contenimento” bellico dei flussi migratori e di sperimentazione di pratiche
liberticide, privazione dei diritti e confinamento coatto a danno di rifugiati
e migranti.
Le foto scattate da Enrico
Di Giacomo ci mostrano innanzitutto il mezzo navale impiegato per il
“salvataggio” a largo delle acque libiche: una fregata lanciamissili
portoghese, la “Francisco De
Almeida”, armata con l’immancabile cannone di produzione italiana Oto Melara per
la “lotta antiaerea e di superficie”. Un’imbarcazione che dopo aver operato con
la flotta di pronto intervento NATO nelle acque dell’Atlantico (la Standing NATO Response Force
Maritime Group 1 o SNMG1), dal settembre dello
scorso anno è stata chiamata al comando della Forza Marittima Europea
(EUROMARFOR), formalmente costituita da Francia, Spagna, Italia e Portogallo per
“assolvere alle missioni di controllo marittimo, guerra alle mine, assistenza
umanitaria e di evacuazione a popolazioni, mantenimento e riacquisizione delle
condizioni di pace e di gestione delle crisi”, ma che in realtà opera principalmente
nell’addestramento e nella formazione militare (specie nella lotta alle
migrazioni) dei paesi della sponda sud del Mediterraneo (Algeria, Egitto,
Israele, Giordania, Libia, Marocco e Tunisia), Malta e Mauritania.
Le immagini ci presentano poi un dispiegamento
spropositato di forze dell’ordine italiane, con agenti in assetto
antiguerriglia urbana a far la guardia della banchina del porto (deserta),
nell’attesa di poter scortare i migranti all’hotspot realizzato all’interno
dell’ex Caserma “Gasparro” di Bisconte, un centro-lager dove dalla sua apertura
ad oggi è accaduto di tutto e di più, nel totale disinteresse di
amministratori, forze politiche e sociali e della stramaggioranza dei
cittadini. Sulla nave da guerra e a terra, poi, un folto gruppo di agenti-spia
della famigerata Agenzia “Frontex”, la creatura divoratrice di risorse
finanziarie pubbliche voluta da Bruxelles per il “controllo esterno delle
frontiere” dell’Unione. A loro, l’infame compito di identificare, interrogare e
schedare i migranti, dividere i “buoni” dai “cattivi” per stipare centri
d’accoglienza e lager-hotspot e, come accaduto sulla fregata portoghese,
investigare e “accertare” gli “scafisti imbarca migranti”, in palese violazione
del diritto e delle procedure penali. Così per il teatrino mediatico, Frontex e
agenti Digos e PS si sono messi in posa con gli “scafisti” arrestati, tutti con
i volti ben scoperti e senza che si utilizzasse il termine “presunti” nelle
note di cronaca di buona parte delle testate tv e giornalistiche (le stesse che
utilizzano il “presunto” pure per i mafiosi al 41 bis con tanto di condanna in
primo e secondo grado). Peccato poi che sempre più spesso dopo i flash, i
selfie e i mandati di cattura, i Tribunali ordinino la scarcerazione di quasi
tutti gli “scafisti” per l’assoluta mancanza di prove nei loro confronti,
l’inattendibilità delle testimonianze raccolte e la stessa arbitrarietà dei procedimenti
di identificazione messi in pratica dagli agenti Frontex/Ue.
Nelle ore dello sbarco militare e militarizzato si
consumava l’ennesima vergogna della malaccoglienza in salsa peloritana. A
seguito di una denuncia dell’operatrice Clelia Marano e del circolo Arci
“Thomas Sankara”, un’ispezione dei parlamentari messinesi del Movimento 5
Stelle confermava la presenza nell’ex caserma-lager di “Bisconte” di un bambino
di tre anni originario della Costa d’Avorio, sbarcato a Lampedusa il 22 aprile,
e condotto il giorno dopo nel centro di Messina dopo essere stato illegittimamente
separato dalla madre ricoverata invece ad Agrigento perché prossima al parto.
Una vicenda davvero infame, che pur tra la sensibilità umana di qualche
operatore della caserma-lager, getta ulteriore discredito su un sistema di
“accoglienza” che punta principalmente alla semidetenzione e all’annullamento
delle identità, delle storie, delle soggettività e della stessa dignità degli
“ospiti”. Il tutto in nome della logica dei facili profitti di pseudo
organizzazioni non governative, “coop” del lavoro precario prive di
professionalità e delle grandi e medie imprese del “sociale” e della
ristorazione dagli impresentabili curriculum vitae.
La narrazione della malaccoglienza in salsa
peloritana ha poi una caratteristica che la rende stavolta sì un “modello” in
Italia. L’entità che si accaparra la fetta più grande del business migranti,
dai centri di “prima accoglienza”, agli Sprar, ai centri per i minori stranieri
non accompagnati alle attività (“comunali”) di supporto e assistenza per
“immigrati regolari” ha sempre e solo lo stesso nome. Di questo discutibile
semi-monopolio, in Prefettura e al Comune sembrano tutti felici e contenti.
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