Come la nuova Nato globale si prepara alle prossime guerre
Il 20 e 21 maggio 2015
si è tenuto il meeting del Comitato militare della Nato a cui hanno partecipato
i leader delle forze armate dei 28 paesi dell’Alleanza atlantica. L’incontro è
servito a fare il punto sui programmi odierni e futuri e ad approfondire le
“minacce alla sicurezza” nelle regioni orientali e meridionali della Nato. “Il
meeting del Comitato dei Capi della difesa ha consentito di reiterare il pieno
supporto Nato all’Ucraina e alla sua sovranità e integrità territoriale adesso
che proseguono e aumentano le violazioni dell’accordo per il cessate il fuoco
da parte dei separatisti sostenuti dalla Russia e il loro uso di armi pesanti”,
riporta il comunicato finale sottoscritto da tutti i partecipanti al vertice. “I
Capi della difesa riaffermano altresì il loro solido impegno a favore delle
odierne missioni Nato, valutando positivamente i progressi registrati con la
missione KFOR in Kosovo e discutendo sulle problematiche ancora presenti in
Afghanistan, dove sta per essere avviata la missione addestrativa Resolute Support per supportare e
assistere le forze di sicurezza afghane”.
All’ordine del giorno del Comitato militare, infine, i nuovi strumenti
di dispiegamento rapido in tutte le aree critiche del pianeta varati al summit
della Nato tenutosi in Galles lo scorso anno. “Abbiamo potenziato le nostre
capacità di analisi e intelligence, stiamo accelerando le modalità di
assunzione delle decisioni, stiamo esplorando nuovi modi di lavorare con i
nostri partner internazionali e stiamo implementando il più grande
rafforzamento della nostra difesa collettiva dalla fine della Guerra fredda,
grazie al Readiness Action Plan (RAP) approvato il 5 settembre 2014 al
Summit in Galles”, spiega il generale Knud Bartels,
presidente del Nato Military Committee.
“Infine stiamo incrementando la prontezza e l’efficienza di tutte le nostre forze
armate, a partire della Very High Readiness Joint Task
Force (VJTF), la forza congiunta di pronto intervento che sarà pienamente
operativa nel 2016”.
Come sottolineato
nella dichiarazione finale dell’ultimo Summit dell’Alleanza, il Readiness Action Plan ha lo
scopo di consentire alla Nato di “rispondere velocemente e con fermezza alle
nuove sfide alla sicurezza”, grazie all’utilizzo di un “coerente” pacchetto di strumenti
militari “ai confini dell’Alleanza e anche più lontano”. I rischi e le minacce maggiori
- secondo gli strateghi Nato - “sono posti in essere dalla Russia” o
“provengono dalle nostre regioni meridionali, dal Medio oriente e dal Nord Africa”.
Nello specifico, il nuovo Piano di pronto intervento prevede il rafforzamento
della presenza Nato nell’Europa centrale ed orientale grazie ad una serie di
“misure di sicurezza” (assurance measures) e, a più lungo
termine, il cambiamento della postura delle forze armate con alcune adaptation measures che “accresceranno le capacità dell’Alleanza nel
rispondere ancora più velocemente alle emergenze, ovunque esse si presentino”.
Le dispendiose misure adottate dai comandi
di Washington e Bruxelles per consolidare l’immagine e il ruolo di una Nato
sempre più invasiva e globale (e ipocritamente giustificate di fronte
l’opinione pubblica con le “aggressive azioni russe in Ucraina”), saranno
coperte finanziariamente da tutti i 28 paesi dell’Alleanza. A partire del maggio 2014, il
“pacchetto sicurezza” della Nato ha previsto la crescita del numero dei
cacciabombardieri impiegati in operazioni di pattugliamento dello spazio aereo
delle Repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania) e il rischiaramento
di numerosi velivoli da guerra e da trasporto alleati in alcuni aeroporti della
Romania e della Polonia. A partire dal 1° maggio di quest’anno, invece, Belgio,
Italia, Gran Bretagna e Norvegia hanno rafforzato il loro impegno nelle
attività di vigilanza dello spazio aereo dell’Europa centrale e orientale;
Portogallo e Stati Uniti hanno inviato aerei da guerra in Romania per svolgere
attività addestrative congiunte; gli aerei radar AWACS della forza Nato di
sorveglianza e intelligence con base in Germania hanno avviato missioni spia
nei territori più orientali dell’Alleanza e di pattugliamento nel mar Baltico.
Ancora nel Baltico, in Mar Nero e nel Mediterraneo sono stati intensificati i
pattugliamenti dei gruppi navali di pronto intervento e di contro-misure mine
ed è progressivamente aumentato anche il numero delle unità di superficie e di
profondità rischierate negli scacchieri marittimi strategici.
“Alcune unità terrestri sono state inviate su base rotativa nelle
regioni orientali dell’Alleanza per partecipare ad esercitazioni e attività
addestrative e migliorare le capacità di risposta e intervento della Nato
Response Force (NRF)”, spiegano i vertici del Comando alleato interforze. Il Summit dei ministri della Nato in Galles ha deciso di triplicare il numero
dei militari assegnati alla NRF, portando la composizione della forza di rapido
intervento a 30.000 effettivi
provenienti dai reparti altamente specializzati (terrestri, marittimi e aerei)
alleati. Corpo d’élite della nuova NRF sarà proprio la Very High
Readiness Joint Task Force (VJTF) al centro delle analisi del Comitato militare Nato del 20
e 21 maggio scorso. Enfaticamente soprannominata Spearhead (punta di lancia), la VJTF sarà composta da una brigata di
terra di 5.000 militari circa, supportata da forze aeree e
navali speciali e, in caso di crisi
maggiori, da due altre brigate con capacità di dispiegamento rapido. “La
Spearhead force sarà in grado di
essere schierata in meno di 48 ore”, afferma il Comando Nato. “In particolare, essa
potrà essere di grande aiuto nel contrastare operazioni irregolari ibride come ad esempio lo schieramento
di truppe senza le insegne nazionali o regolari e contro gruppi d’infiltrati e
agitatori. La leadership
e la fornitura di truppe e reparti alla Spearhead
e alla NRF saranno garantite a rotazione e su base annuale da alcuni paesi
membri dell’Alleanza”. Sino al prossimo anno, saranno Danimarca, Germania e
Olanda a contribuire alle attività della neocostituita punta di lancia Nato. Sei sono invece i paesi
offertisi a dirigere le future operazioni della Response Force: Germania, Italia, Francia, Gran Bretagna, Polonia e
Spagna. “Al fine di garantirne la massima prontezza operativa, la task force si
avvarrà di sei nuovi centri multinazionali di comando e controllo dislocati in
Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Romania”, ha annunciato il
Segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. “Se esploderà una crisi, questi centri renderanno ancora più rapidi i
dispiegamenti delle forze nazionali e Nato; intanto contribuiranno a rafforzare
la cooperazione interalleata e a preparare, coordinare e supportate le attività
addestrative e le esercitazioni”. Al potenziamento dei dispositivi pro
task force concorreranno pure altri programmi varati di recente, come ad
esempio quelli relativi all’ampliamento
delle infrastrutture e delle funzioni del quartier generale del Multinational Corps Northeast di
Szczecin, Polonia, e alla sua trasformazione in hub per la “cooperazione
militare regionale”; il preposizionamento di attrezzature, velivoli e sistemi
d’arma in alcune basi dell’Europa orientale; la realizzazione o il
potenziamento di nuove infrastrutture strategiche come scali aeroportuali e
porti ancora tra nei paesi alleati dell’Est Europa.
Al pericoloso processo di riarmo e militarizzazione in atto
contribuiscono pure le sempre più intense attività addestrative organizzate in
ambito multi o bilaterale. Lo scorso mese di aprile, ad esempio, l’esercito
degli Stati Uniti d’America ha trasferito centinaia di carri armati e altri
veicoli corazzati in Polonia e nelle Repubbliche baltiche per partecipare
all’esercitazione Dragoon Ride. Sempre
ad aprile sono state condotte altre due importanti esercitazioni alleate: Noble Jump, che ha consentito di testare in Olanda e nella Repubblica Ceca le
capacità di mobilitazione della Very High
Readiness Joint Task Force (VJTF) con più di 1.500 militari (alcuni
provenienti dalla Germania) e la supervisione del Joint Force Command di stanza
a Lago Patria, Napoli; Joint Warrior, maxi-esercitazione navale al largo della Scozia con più di 50 unità di superficie, tra cui un gruppo
italiano, 70 velivoli e 13.000 militari. Nel mese di maggio si sono svolte invece Dynamic Mongoose, un’esercitazione per la guerra ai
sottomarini a largo della Norvegia con più di 5.000 uomini e le
complesse attività di tiro a fuoco in Polonia da parte di decine di tank
“Leclerc” della fanteria francese e di un corpo d’élite dell’esercito tedesco.
Di dimensioni ancora maggiori le attività addestrative previste
dalla Nato per il prossimo mese di giugno, congiuntamente denominate “Allied Shield” e che
vedranno operare complessivamente oltre 11.000 militari di 19 paesi. Dal 5 al 15, nelle acque del
Baltico, le unità da guerra, i sottomarini e 4.500 militari di 14 paesi dell’Alleanza
(Belgio, Canada, Danimarca, Estonia, Francia, Gran Bretagna, Lettonia,
Lituania, Norvegia, Olanda, Polonia, Turchia, Usa) e di tre paesi europei filo-Nato
(Finlandia, Georgia e Svezia) si prepareranno alle operazioni di guerra navale
e anti-sottomarina, all’abbordaggio in mare aperto e allo sbarco anfibio (Baltops). Alla vasta esercitazione parteciperanno
tra l’altro due Standing Maritime Group e gli AWACS della Nato, 47
imbarcazioni da guerra, 49 elicotteri d’assalto UH-60 “Blackhawks”, CH-47 “Chinook”
e AH-64 “Apache”, i bombardieri strategici B-52 e finanche la 173rd Airborne
Brigade, la brigata aviotrasportata dell’US Army di stanza a Vicenza.
I war games alleati proseguiranno con Saber Strike (dall’8 al 19 giugno),
esercitazione terrestre nelle Repubbliche baltiche e in Polonia a cui è
prevista la presenza di 3.000 militari provenienti pure da Danimarca, Francia,
Germania, Gran Bretagna, Norvegia, Stati Uniti e dall’immancabile Finlandia,
paese sempre più deciso ad abbandonare la sua “neutralità” per fare ingresso
nella Nato globale e anti-Russia. Dal 10 al 21 giugno, nel poligono di Zagan,
Polonia, 2.100 militari di Belgio, Germania, Lituania, Norvegia, Olanda, Repubblica
Ceca, Ungheria e Usa daranno vita a Noble Jump2, “il primo test di dislocamento operativo della forza di pronto
intervento VJTF”, come spiegato dai Comandi alleati SHAPE e JFC Naples che coordineranno le attività addestrative. I giochi bellici
proseguiranno in Italia,
Bulgaria e Romania dal 17 al 28 giugno con Trident Joust: sotto la leadership del Joint Force Command di Lago Patria Napoli, 1.500 militari contribuiranno a
“migliorare l’efficienza e le capacità di proiezione della NRF Nato”.
L’appuntamento chiave
per la sperimentazione delle nuove strategie interventiste della Nato è
previsto tuttavia per il prossimo autunno. Dal 21 ottobre al 6 novembre si
terrà infatti Trident Juncture,
“la più grande esercitazione della Nato dalla fine della Guerra fredda”, come viene
presentata dai capi dell’Alleanza. Vi parteciperanno più di 30.000 militari, 200
velivoli da guerra e 50 unità navali mentre tutte le attività si terranno nelle
acque dello Stretto di Gibilterra, in Spagna, Portogallo ed Italia. Trident Juncture avrà il compito di certificare
gli elementi di comando e controllo della NRF, pienamente operativa dal 2016.
“L’esercitazione simulerà uno scenario adattato alle nuove minacce, come la
cyberwar e la guerra asimmetrica e rappresenterà, inoltre, per gli alleati ed i
partner, l’occasione per migliorare l’interoperabilità della Nato in un
ambiente complesso ad alta conflittualità”. Una prova generale per le odierne o
prossime inevitabili guerre: in Ucraina e in Caucaso; in Siria, Iraq,
Afghanistan, Pakistan e Yemen; in Libia, Corno d’Africa, Mali, Niger e in Golfo
di Guinea…
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