Inchiesta ONU sui crimini dei droni USA
Le
Nazioni Unite hanno annunciato l’avvio di un’inchiesta sulle conseguenze degli
attacchi militari Usa mediante l’utilizzo dei droni in Pakistan, Yemen e
Somalia. L’indagine verrà condotta da Ben Emmerson, responsabile del settore
inchieste Onu sui diritti umani e Christof Heyns, special rapporteur su controterrorismo ed esecuzioni
extragiudiziali. Il gruppo di ricerca avrà sede a Ginevra ed esaminerà i sempre
più numerosi “incidenti” che hanno investito la popolazione civile durante gli
strike ordinati dalla Cia e dal Dipartimento della difesa statunitense. Successivamente
la commissione potrebbe passare ad analizzare gli effetti delle operazioni dei
velivoli senza pilota britannici in Afghanistan (più di 350 attacchi accertati)
e di quelli israeliani nella Striscia di Gaza.
Nonostante
l’amministrazione Obama si ostini a ribadire che gli attacchi dei droni vengono
condotti “esclusivamente contro obiettivi terroristi”, media indipendenti,
organizzazioni non governative e gruppi di difesa dei diritti umani hanno
documentato che l’escalation nell’uso militare dei velivoli teleguidati sta
causando un enorme numero di vittime civili, in violazione del diritto
internazionale. Le stime più recenti parlano di oltre 3.000 persone assassinate
dai droni killer in Pakistan, Yemen e Somalia, di cui almeno 500 “non
combattenti”, cioè donne, bambini e anziani. Secondo l’osservatorio
indipendente DronesWatch di Washington
almeno 97 minori sarebbero morti in Pakistan e 25 in Yemen.
I velivoli
senza pilota Usa vengono fatti decollare da alcune basi segrete in Medio
Oriente (l’ultima è stata realizzata nel 2011 nel deserto dell’Arabia Saudita) e
dalle isole Seychelles. Ma è soprattutto l’Africa ad aver assunto negli ultimi
mesi il ruolo di vera e propria piattaforma e bersaglio per le operazioni dei
droni. La principale infrastruttura a
servizio dei velivoli killer sorge a Camp Lemonnier (Gibuti), dove risiedono più
di 2.000 militari statunitensi impegnati nei conflitti che lacerano il Corno
d’Africa, lo Yemen e le regioni africane nord-orientali. Il centro strategico che coordina l’intero sistema di
sorveglianza ed intervento degli aerei senza pilota USA nel continente è ospitato invece all’interno dell’aeroporto di Ouagadougou (Burkina Faso). Anche le autorità di Mali, Mauritania, Etiopia, Kenya ed Uganda avrebbero concesso l’uso degli
scali aerei per i decolli e gli atterraggi dei droni di US Africom, il Comando
per le operazioni delle forze armate statunitensi in terra d’Africa. Secondo quanto trapelato a
Washington, anche le autorità del Niger avrebbero autorizzato qualche settimana fa il dispiegamento dei droni del Pentagono e della Cia contro le milizie filo-al Qaeda
attive nelle regioni nordoccidentali. Altra basi dei droni potrebbero
essere attivate presto in Algeria
e Sud Sudan.
Proprio in merito alla
legittimità e alle criticità emerse sull’uso militare dei droni si è aperto un
confronto serrato tra il Congresso e l’amministrazione Obama che all’esordio
del suo secondo mandato ha nominato a capo della Cia, John Brennan, uno degli
strateghi delle nuove guerre ipertecnologiche. Otto senatori del Partito
democratico e tre del Partito repubblicano hanno chiesto ad Obama di rendere
pubblico il documento edito dal Dipartimento di giustizia nel 2010 che ha
autorizzato le forze militari e d’intelligence all’uso dei droni per individuare
e uccidere all’estero i cittadini statunitensi accusati di terrorismo. Per le esecuzioni extragiudiziali sarebbe
sufficiente l’ordine di un funzionario dell’amministrazione “di alto livello” che
abbia determinato che il target sia
implicato in “attività” che potrebbero condurre a un “attacco violento” contro
gli Stati Uniti.
Il memorandum ha fornito la
cornice “legale” per consentire alla Cia di lanciare in Yemen, nel settembre
2011, un attacco contro lo statunitense Anwar al-Awlaki, sospettato di legami
con la rete di al-Qaida. “Al-Awlaki era implicato con non meno di tre attentati
terroristici in territorio Usa”, ha spiegato al Senato John Brennan. “Si tratta
della sparatoria che nel 2009 a Hood, in Texas, ha causato la morte di 13
persone, del fallito attentato a bordo di un aereo di linea a Detroit nello
stesso anno e di un tentato assalto a un aereo da trasporto nel 2010”. Da qui la sentenza di morte e senza processo,
decretata dall’agenzia d’intelligence. A causa del raid del drone killer, oltre
ad Anwar al-Awlaki
trovarono la morte il figlio sedicenne e Samir Khan, anch’essi cittadini
statunitensi.
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