La filiera della morte. Vertice NATO
“Faremo
La NATO ancora più grande. Oggi, tutti noi alleati, abbiamo posto le fondamenta
per rendere la NATO più forte, più equa e più letale”. A conclusione del
vertice dell’Alleanza Atlantica tenutosi all’Aia il 24 e 25 giugno scorso, il
segretario generale Mark Rutte ha enfatizzato i risultati di quello che agli
occhi di tanti analisti (si veda in particolare Gianandrea Gaiani, direttore di
Analisi Difesa) è apparso però come un
teatro-pollaio, con un “pavone
padrone” - Donald Trump - e tantissimi “polli adoranti”, i capi di Stato degli
altri 31 paesi aderenti.
“Gli
Stati Uniti appaiono oggi non più il grande
alleato ma il vero padrone, che oltre a spiare gli europei come un grande fratello pretende anche devozione,
cieca obbedienza e glorificazione delle proprie gesta e di quelle del suo
condottiero”, scrive Gaiani. “Al vertice dell’Aia la NATO è di fatto morta come
alleanza pur sopravvivendo come una sorta di impero feudale in cui il sovrano
cerca e ottiene sudditanza e adulazione dai vassalli sottomessi”.
Al summit, il presidente USA
si è presentato come il cavaliere pacificatore dell’Apocalisse dopo aver
imposto la tregua armata tra Israele e Iran a suon di superbombe. Ai “vassalli”
europei ha ricordato che non c’è NATO senza lo strapotere militar-nucleare di
Washington e se gli alleati vogliono ancora le forze armate a stelle strisce ai
confini con Russia e Bielorussia, dovranno usare l’Unione europea come un
bancomat per finanziare la riconversione a fini militari dell’economia e della
produzione industriale, ma soprattutto dovranno comprare armi e munizioni made in U.S.A. e sostenere la folle
corsa al riarmo spaziale e nucleare e le smisurate ambizioni di potenza di
Washington nell’Indo-Pacifico.
Pur di tenersi stretto
l’adulato “pavone”, i partner NATO hanno accettato di sottoporsi al più grande
shock economico-finanziario e sociale della storia post seconda guerra
mondiale: destinare il 5% del PIL alle spese militari entro dieci anni,
puntando in particolare allo sviluppo e produzione di sempre più sofisticate
tecnologie belliche, sistemi aero-spaziali e satellitari, droni, carri armati e
munizioni, convenzionali e nucleari. Un’emorragia di denaro pubblico a favore
del capitale finanziario transnazionale che annichilerà il welfare, l’istruzione
e la sanità pubblica, i servizi sociali nel vecchio continente. “Nella valutazione della Casa Bianca, l’obiettivo del
5% per la Difesa ha un valore finanziario e commerciale: gli alleati europei
comprino armi statunitensi per riequilibrare la bilancia commerciale tra le due
sponde dell’Atlantico ed evitare i dazi americani che lo stesso Trump minaccia
quotidianamente a tutti gli alleati”, annota ancora Gianandrea Gaiani.
Per gli
alleati più recalcitranti, Mark Rutte ha elaborato un escamotage contabile che
cambia di poco il futuro tragico dei paesi UE-NATO: al 5% del PIL si arriverà
sommando la quota del 3,5% da coprire con i bilanci dello Stato per armi e
truppe, con l’1,5% in “spese per la sicurezza nazionale”: cyber-security, protezione delle
infrastrutture critiche (centrali
elettriche e reti di telecomunicazione), difesa delle frontiere, mezzi e
personale delle forze di polizia militare, presidi medici contro attacchi
nucleari-chimici-batteriologici, riconversione a uso militare delle
infrastrutture della logistica e del sistema dei trasporti (ferrovie, autostrade,
ponti, porti e aeroporti), ricerca e promozione innovativa nel settore
dell’industria bellica, ecc..
“I nostri
investimenti garantiranno la disponibilità di forze, capacità, risorse,
infrastrutture, prontezza operativa e resilienza necessarie, in linea con i
nostri tre compiti principali: deterrenza e difesa, prevenzione e gestione
delle crisi e sicurezza cooperativa”, si legge nella risoluzione finale
approvata al summit NATO. “Riaffermiamo il nostro impegno comune a espandere rapidamente
la cooperazione transatlantica nel settore della difesa e a sfruttare le
tecnologie emergenti e lo spirito di innovazione per promuovere la nostra
sicurezza collettiva. Ci impegneremo per eliminare le barriere commerciali nel
settore della difesa tra gli Alleati e faremo leva sulle nostre partnership per
promuovere la cooperazione”.
Dopo aver
dato vita al programma DIANA – Defense Innovation Accelerator per “accelerare
l’innovazione dual use delle nuove tecnologie” (milioni di dollari per centri
di ricerca e sviluppo in tutti i paesi; in Italia a Torino, La Spezia e Capua),
la NATO ha varato un Rapid Adopion Action
Plan per “rafforzare e velocizzare” l’adozione e
l’integrazione di nuovi prodotti tecnologici in campo militare. “Gli Alleati si
impegnano ad accelerare le procedure di adozione, compresi i bandi di appalti
accelerati, e ad allocare risorse adeguate a tal fine”, si legge nella
risoluzione finale del vertice 2025. “Gli Alleati abbracceranno maggiori rischi
di acquisizione nelle prime fasi di sviluppo e miglioreranno la comunicazione
dei segnali di richiesta in ambito NATO. Il Piano di azione per la produzione
in ambito militare risponde alla necessità di produrre di più e in maniera più
rapida”.
Tra le
novità più rilevanti specie in termini di risorse ed “investimenti” va
segnalata l’approvazione all’Aia della prima Strategia commerciale spaziale al fine di consentire ai paesi NATO
di “integrare soluzioni commerciali più flessibili e in linea con i tempi, sia
in tempo di pace che di conflitto”, offrendo maggiori “opportunità di affari”
alle aziende che operano nel settore aerospaziale e un sempre più stretto coordinamento
con l’Alleanza.
La NATO business pro capitale privato,
uscita dal vertice di giugno nei Paesi Bassi, ha dato vita ad alcuni progetti
multinazionali e plurimilionari. Belgio, Canada, Danimarca, Germania, Grecia,
Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Svezia, Turchia e Italia hanno
commissionato l’acquisizione, lo stoccaggio, il trasporto e la gestione di
“scorte di materie prime essenziali per la difesa” (in particolare litio,
titanio e altri minerali delle terre rare), particolarmente richieste dalle
industrie della filiera di morte. Con l’High
Visibility Project – questo il nome del programma per le scorte dei
minerali strategici - la NATO punta a “ridurre la vulnerabilità della domanda,
nonché la dipendenza dai fornitori”.
Nuovo impulso
è stato dato anche al programma di potenziamento della flotta “multi-ruolo” dei
velivoli cisterna NATO per il rifornimento in volo dei cacciabombardieri (Multi Role Tanker Transport Fleet - MMF).
La NATO Support and Procurement Agency (NSPA) ha sottoscritto un contratto con
il colosso tedesco Airbus Defence and Space per la fornitura di altri due
velivoli-tanker A330, che si sommeranno ai dodici già operativi con la flotta
alleata. Lanciato nel 2012, il programma MMF gode dell’aiuto finanziario dell’Unione
Europea. Uno dei suoi principali hub operativi è in via di realizzazione nella
stazione aeronavale di Sigonella, la maggiore base USA e NATO esistente nel
Mediterraneo centrale. Nell’installazione siciliana sono in corso i lavori di
ampliamento delle piste di volo per consentire l’atterraggio dei grandi
velivoli cisterna di US Air Force e dei partner dell’Alleanza, dopo
l’acquisizione di un centinaio di ettari di terreni destinati ad uso agricolo.
Ulteriori
gravi effetti in termini di militarizzazione dei territori saranno generati da
un altro grande progetto del Rapid Adoption Action Plan, il NATO Innovation Ranges. Nello specifico,
Estonia, Finlandia, Lettonia, Paesi Bassi, Svezia ed Italia creeranno un ampio
numero di “campi-poligoni” per la sperimentazione ed integrazione di nuovi
sistemi militari avanzati. “Si tratta di un intervento chiave finalizzato a
velocizzare l’adozione innovativa e il lancio di nuove tecnologie e ad
accrescere le capacità produttive grazie all’inclusione di fornitori non
tradizionali nella base industriale della difesa”, spiegano i vertici NATO.
“Questi poligoni consentiranno ai partner alleati di testare, perfezionare e
convalidare prodotti tecnologici in ambienti operativamente realistici”.
Nonostante
l’”apostolo della pace” Trump si sia presentato all’Aia con il ramoscello
d’ulivo relativamente alle future relazioni di Washington con il presidente
russo Putin, il documento finale del vertice NATO riafferma l’assoluta ostilità
alla Russia e il pieno sostegno militare e politico all’Ucraina. “Uniti di fronte alle profonde minacce e sfide per la
sicurezza, in particolare alla minaccia a lungo termine rappresentata dalla
Russia per la sicurezza euro-atlantica e alla persistente minaccia del
terrorismo (…) gli Alleati ribadiscono il loro impegno sovrano e duraturo a
fornire supporto all’Ucraina, la cui sicurezza contribuisce alla nostra”,
concordano i 32 leader dei Paesi NATO.
Ancora più
bellicose le parole del segretario generale Rutte. “La Russia è una minaccia a
breve e lungo termine per l’Alleanza e la nostra intelligence suggerisce che
potrebbe essere pronta ad attaccare la NATO entro i prossimi tre-sette anni; la
minaccia della Russia è evidente e noi dobbiamo essere in grado di poterci
difendere”, ha ammonito all’inaugurazione del vertice. I paesi europei della
NATO si faranno ancora più carico delle spese di guerra dell’Ucraina. Nel corso
del primo semestre 2025 sono stati inviati “aiuti militari” al governo di Kiev per
un valore di 35 miliardi di euro, ma Mark Rutte ha ribadito l’intenzione di
superare quota 50 entro la fine dell’anno.
Il governo
italiano si è presentato più compatto che mai alla corte-pollaio di mister
Trump. Prima di spiccare il volo verso i Paesi Bassi, la premier Giorgia Meloni
ha espresso in Parlamento la totale adesione-devozione al programma lagrime e sangue del 5% PIL annuo in
spese di guerra. Ci ha provato l’Osservatorio Milex sulle spese militari
a quantificare l’ammontare delle risorse finanziarie che saranno sottratte dal
bilancio dello Stato per alimentare il mercato dei sistemi d’arma. Solo l’obiettivo
in cash del 3,5% comporterà una spesa di non meno di 700 miliardi entro i
prossimi dieci anni, circa 220 miliardi in più rispetto a quello che si
spenderebbe nello stesso periodo con la previsione del 2% del PIL. Nel caso dell’intero
obiettivo del 5%, nei prossimi 10 anni si rischierebbe di spendere 964 miliardi,
cioè 445 miliardi in più rispetto al livello del 2%, con una media annuale di
risorse aggiuntive pari a 44 miliardi. Alle tante guerre “esterne” che vedono
cobelligerare il bel paese si
sommerebbe così una vera e propria “guerra interna” contro i ceti sociali più
svantaggiati.
Articolo pubblicato in Umanità Nova, 10 luglio 2025.


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