War games Usa e Nato ai tempi del Coronavirus

Non vanno mai in vacanza le guerre e neanche in quarantena. Guai poi a  sospendere i war games o la produzione dei sistemi di morte. In tempo di pandemia, il massimo concesso da generali e ammiragli è quello di “rimodulare” o “ridimensionare” le maxi-esercitazioni previste in primavera nel cuore d’Europa. E’ quanto accade in questi tragici giorni con Defender Europe 2020, presentata come la più “massiccia mobilitazione” delle forze Usa e Nato degli ultimi venticinque anni e che solo dopo l’esplosione del coronavirus a livello mondiale e la defezione delle forze armate dei paesi più colpiti è stata ipocritamente trasformata in un’operazione militare di routine delle artiglierie terrestri al confine con la “cattiva” Russia. “In risposta all’odierna esplosione del virus COVID-19 e alle recenti linee guida del Segretario della Difesa, abbiamo modificato l’esercitazione Defender Europe in dimensioni e scopo”, ha annunciato il 15 marzo scorso il Comando delle forze armate Usa in Europa. “Sono stati bloccati tutti i trasferimenti di personale e mezzi dagli Stati Uniti all’Europa. La salute e la sicurezza dei nostri militari, civili e familiari è la nostra prima preoccupazione. Abbiamo fatto gli appropriati aggiustamenti così non si terranno più le esercitazioni collegate a Defender Europe come Dynamic Front, Joint Warfighting Assessment, Saber Strike e Swift Response. Anticipiamo che la brigata da combattimento già schierata in Europa condurrà esercitazioni a fuoco e altri addestramenti con gli Alleati nell’ambito dell’esercitazione modificata Allied Spirit. Le altre unità schierate nel continente faranno ritorno negli Stati Uniti. Con questa decisione, continueremo a preservare l’efficienza delle nostre forze armate, massimizzando i nostri sforzi a favore dei nostri alleati e partner”.
Nonostante il “ridimensionamento” a sparare nei poligoni di Germania, Polonia e Repubbliche baltiche resteranno 6.000 militari statunitensi più i 3.000 carri armati giunti via mare dagli Usa a partire da gennaio e altri 9.000 tra pezzi d’artiglieria, blindati e mortai provenienti dai depositi “pre-posizionati” nel vecchio continente (tra essi anche l’hub di Camp Darby in Toscana). A metà marzo neanche US Air Force si è lasciata intimorire dal coronavirus: rispettando il cronogramma addestrativo programmato, alcuni bombardieri strategici B-2 “Spirit” a capacità nucleare sono stati trasferiti dagli Stati Uniti negli scali di Lajes Fied nelle Azzorre (Portogallo) e Fairford (Gran Bretagna). Per Washington e alleati Nato, Defender Europe doveva essere un test chiave per saggiare l’efficienza e la tenuta delle grandi reti infrastrutturali dell’Europa nord-centrorientale (porti, aeroporti, autostrade e ferrovie) in caso di dispiegamento di un imponente numero di uomini e mezzi per “contrastare” una potenziale aggressione da parte di un nemico esterno (leggi Russia). “I convogli di Defender Europe si muoveranno agilmente lungo 4mila chilometri perché l’Ue, la Nato e il Comando europeo degli Stati Uniti hanno lavorato insieme per migliorare le infrastrutture”, ha dichiarato il generale Tod D. Walters, comandante supremo alleato in Europa. Quello della massima efficienza della mobilità per fini militari è uno dei temi cardine della sempre più stretta alleanza tra Unione europea e Nato. “Bruxelles, tramite l’Agenzia Europea della Difesa (EDA), sta lavorando sulla mobilità militare e Defender Europe aiuta in parte a capire dove sono necessari ulteriori investimenti”, ha spiegato a Rai News Andrea Gilli, senior researcher del Nato Defense College. Nel 2014 l’EDA si è assunta il compito di sviluppare un progetto finalizzato ad “armonizzare” le procedure che consentono alle truppe e all’equipaggiamento militare di “attraversare facilmente” l’Europa. Si tratta dell’EU Multimodal Transport Hub, sostenuto economicamente da 14 membri Ue e che nei prossimi anni dovrebbe comportare investimenti per svariati miliardi di euro per “promuovere reti e infrastrutture di trasporto dual-use” (civili e militari) nel vecchio continente.
Proprio la concezione stessa di “libera mobilità” delle forze armate in tempi di pandemia ha sollevato fondati allarmi tra la popolazione. Le immagini pubblicate sui social da Comandi Nato e Usa documentano come gli sbarchi di uomini e mezzi in Belgio, Germania e Olanda siano avvenuti senza alcun minimo accorgimento o protezione anti-coronavirus (l’uso di mascherine è stato inesistente). Non si sono contanti gli abbracci e le strette di mano tra i militari e i capi di stato e i diplomatici che li hanno accolti all’arrivo in Europa e, peggio ancora, l’allarme epidemia influenzale non ha fermato il tour melle piazze e nei teatri della Polonia della rock band dell’esercito Usa. Comportamenti irresponsabili e del tutto inspiegabili anche alla luce delle preoccupazioni manifestate pubblicamente dagli alti comandi dell’Alleanza. La schizofrenia al potere: da una parte nessuna volontà di cancellare tout court le grandi manovre in Europa; dall’altra, per ragioni di “massima sicurezza” sono state annullate a poche ore dal loro inizio le due grandi esercitazioni programmate dal Pentagono nel continente nero: African Lion (con oltre 3.800 militari provenienti dai reparti d’èlite come la 173rd Airborne Brigade di stanza a Vicenza e il 31st Fighter Wing di Aviano e altre 5.000 unità di una decina di paesi tra cu Marocco, Senegal, Tunisia, Gran Bretagna, Italia, Olanda, Spagna) e Obengame Espress nel Golfo di Guinea.
Nessuno stop invece per l’esercitazione aerea multinazionale che si tiene annualmente in Nevada (Red Flag). Così, mentre il nostro paese veniva sottoposto a pesantissime limitazioni negli spostamenti, il ministero della Difesa ha autorizzato il trasferimento negli Stati Uniti dei reparti dell’Aeronautica militare di stanza nelle basi di Pisa, Grosseto, Pratica di Mare, Amendola e Trapani-Birgi. Il deployment operativo e logistico in Nevada è stato portato avanti dalla nostra Forza Armata come pianificato, nonostante i concomitanti sforzi organizzativi in campo nazionale nell’ambito delle attuali azioni di contrasto e gestione dell’emergenza COVID-19”, ha sfacciatamente rivendicato lo Stato maggiore dell’Aeronautica.
Nessun problema neanche per l’esercitazione Dynamic Manta che la Nato ha effettuato nelle acque del mar Ionio e del Mediterraneo centrale dal 24 febbraio al 6 marzo per “garantire l’interoperabilità costante tra le forze aeree, di superficie e subacquee nella lotta anti-sommergibile”. Ai war games hanno partecipato ben cinque sottomarini, sette unità da guerra e cinque velivoli per il pattugliamento aereo di Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Turchia, Canada, Spagna, Stati Uniti e Turchia. Principale base operativa l’immancabile stazione aeronavale di Sigonella, ma è stato rilevante pure il ruolo di altre importanti installazioni ospitate in Sicilia (i porti di Catania e Augusta, lo scalo aereo “civile” di Fontanarossa). “Nelle ultime due settimane potreste aver notato un aumento del numero di personale della Nato a Sigonella, specificamente a NAS I, intorno al flightline e a cena nel nostro ristorante Bella Etna”, ha scritto il 14 marzo il tenente Karl Schonberg sul profilo ufficiale facebook della base siciliana. Una massiccia affluenza di militari alleati che ha comportato il tutto esaurito nei locali pubblici di Sigonella. Bar e ristoranti che, come documentano i video postati sullo stesso profilo, non sono mai stati chiusi nonostante le rigide disposizioni del governo italiano. Se il coronavirus non conosce confini, Washington difende a denti stretti l’extraterritorialità delle proprie basi d’oltremare.

Articolo pubblicato in Mosaico di pace, n. 4, aprile 2020

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