Guerra e controllo. La militarizzazione della Sicilia
Sono state registrate importanti novità relativamente al processo
di militarizzazione e riarmo a cui è stata sottoposta la Sicilia dopo le guerre
USA e NATO in Iraq e Afghanistan o quella contro la Libia di Gheddafi nel 2011.
Si tratta in buona parte di elementi mai discussi a livello politico, né
tantomeno analizzate a livello istituzionale da parte del Parlamento italiano o
dalla stessa Assemblea regionale siciliana, che però hanno avuto la conseguenza
di esporre la nostra Isola ad una pressione bellica di dimensioni globali,
considerando anche la portata e le capacità distruttive degli attori in campo. Nonostante
la pericolosità e la drammaticità dei processi in atto, quanto sta accadendo in
Sicilia è volutamente ignorato dai media e, di conseguenza, del tutto
sconosciuto a buona parte della popolazione. Una cosa è fare infatti da
piattaforma per proiettare la guerra in Iraq o in Afghanistan, sapendo di
rischiare poco o nulla; altro è quando i droni USA “Global Hawk” stanziati
nella base di Sigonella, con funzioni di sorveglianza e intelligence, operano
quotidianamente alla frontiera tra l’Ucraina e la Russia in autentiche provocazioni
delle forze armate di Mosca, fornendo magari dati sensibili ai militari ucraini
e alle organizzazioni paramilitari alleate.
C’è poi il braccio di ferro lanciato da Trump contro alla Russia
che riapre foschi scenari che ci riportano indietro per lo meno di 40 anni. Mi
riferisco al rilancio delle politiche di riarmo nucleare, sancito con la
cancellazione unilaterale da parte degli Stati Uniti d’America dei trattati per
il controllo e contro la proliferazione delle armi atomiche. In particolare,
Trump ha dichiarato l’uscita dal Trattato INF contro le armi nucleari a medio
raggio, firmato da USA e URSS a fine anni ’80 e che ha consentito lo
smantellamento dei missili Cruise, Pershing II e SS-20, i primi installati a
Comiso (Ragusa) e contro cui è stata data vita ad una delle più grandi
mobilitazioni di massa della storia della Sicilia, italiana e internazionale.
Queste scellerate decisioni non potranno che condurre ad una nuova
escalation del processo di militarizzazione e alla ri-nuclearizzazione dell’intero
territorio siciliano, considerato che i nuovi programmi di Washington puntano
alla realizzazione di nuovi sistemi missilistici a medio raggio con lancio da
piattaforme terrestri (e anche mobili, esattamente come avveniva con i Cruise
di Comiso, trasportabili ovunque sui camion-lanciatori TEL).
Ma non è tutto, purtroppo. Contemporaneamente all’implementazione
dei nuovi sistemi di distruzione di massa, i moderni dottor Stranamore stanno
pianificando il rilancio delle strategie della cosiddetta guerra nucleare limitata, proponendo cioè la produzione e l’uso nei
campi di battaglia di testate nucleari di piccole dimensioni con potenze
distruttive ridotte. I target, cioè gli obiettivi su cui lanciare queste nuove
armi, si trovano in quelle aree dove sono in corso guerre sanguinose ma che
cinicamente sono descritti dagli strateghi come “conflitti di bassa intensità”.
Mi riferisco ad esempio alla Libia o all’Ucraina orientale, solo per restare
nelle principali aree di crisi prossime alle basi USA e NATO ospitate in Italia
e da cui eventualmente potrebbero partire i cacciabombardieri con le nuove
minibombe nucleari.
Ovviamente non sono soltanto gli Stati Uniti d’America (e la NATO)
a sperperare miliardi per finanziare la ricerca, sperimentazione e produzione
di armi nucleari per le guerre del XXI secolo. Sono infatti numerosi i paesi
che hanno dato il via a nuovi programmi di potenziamento dei propri dispositivi
nucleari o che aspirano ad assumere un ruolo leader in questo settore
strategico: le superpotenze militari come Russia e Cina, i consolidati Stati
nucleari come Israele, India, Pakistan, ecc... Ciò non può che rendere ancora
più esplosiva l’odierna situazione mondiale, ponendo seriamente a rischio le
possibilità stesse di sopravvivenza della specie umana, come denunciano con
forza gli stessi scienziati indipendenti.
Fonte: Limes,
Usa
contro Cina, n. 6
2012.
Sempre relativamente ai programmi di riarmo ad altissimo rischio di
olocausto nucleare, c’è un secondo aspetto rilevante che riguarda ancora la
Sicilia. Prendo ad esempio le esercitazioni effettuate in questi ultimi mesi
dalla NATO in sud Italia e nel mar Ionio e che hanno coinvolto direttamente la
stessa città di Catania dove sono approdate alcune delle unità da guerra
impegnate. Queste operazioni aeronavali hanno simulato in particolare un
attacco globale totale a un “nemico” rimasto non identificato, anche se è
presumibile che l’obiettivo strategico sia stato proprio l’Iran contro cui
Stati Uniti, Israele e le petromonarchie hanno lanciato una vera e propria
guerra santa. Non è un caso che abbiamo assistito in questo periodo ad una
sempre più massiccia presenza di portaerei e sottomarini a propulsione e
capacità nucleare nelle acque del Mediterraneo orientale e con sempre più
frequenza queste unità effettuano soste tecniche presso il polo/deposito
USA-NATO di Augusta (Siracusa).
Non c’è giornata in cui non si assista alle pericolose
provocazioni USA contro Teheran in cui non vengano utilizzati proprio i porti
siciliani per l’attracco delle unità navali o la grande stazione aeronavale di Sigonella
per la proiezione aggressiva a distanza e/o il transito di quelle terrestri e
aeree. Sommando tutto questo alle operazioni anti-russe in Ucraina orientale e in
Crimea è evidentissimo come ci troviamo di fronte a scenari geostrategici dalla
pericolosità certamente non paragonabile a quanto è accaduto sino ad oggi.
L’esposizione bellica dell’Isola e il rischio di attacchi e ritorsioni non
hanno precedenti anche tenendo in conto la potenza di fuoco di due degli attori
contro cui USA e NATO stanno agendo, Russia e Iran.
Non vanno poi dimenticati gli interventi offensivi che ormai
conosciamo da tempo immemorabile in Nordafrica e nell’Africa sub-sahariana e
che vedono protagonisti i cacciabombardieri e i sistemi a pilotaggio remoto (i
droni spia e killer) schierati a Sigonella o la forza di pronto intervento dei
Marines statunitensi creata originariamente per operare dalla Spagna ma che
ormai ha trovato fissa dimora nella grande base alle porte della città di
Catania. A ciò si aggiungono le attività di “infiltrazione” delle unità d’èlite
delle forze armate italiane nel continente africano (dalla Libia alla Tunisia,
dal Niger agli altri paesi confinanti del Sahel, dalla Somalia all’intero Corno
d’Africa). Questi interventi vedono ancora una volta in prima linea il vasto
dispositivo bellico installato in Sicilia ed evidenziano purtroppo come anche
il nostro Paese stia sgomitando tra le potenze mondiali per assumere un ruolo
neocoloniale in Africa, nell’interesse soprattutto del grande gruppo nazionale
petrolifero ed estrazione del gas a capitale pubblico e privato (ENI).
Inquietantissimo quello che ci riserva il futuro prossimo. Qualche
settimana fa ho avuto modo di pubblicare un articolo sulle richieste di
finanziamento fatte dal Dipartimento della Difesa USA al Congresso per l’anno
fiscale 2020, da cui si evince come uno dei progetti chiave veda ancora
protagonista la stazione aeronavale di Sigonella. Dopo la realizzazione del MUOS
all’interno della riserva naturale orientata di Niscemi, verrà installato in
Sicilia un altro megacentro di telecomunicazioni satellitari strategiche delle
forze armate USA. Il pentagono ha infatti chiesto l’autorizzazione alla spesa
di 77 milioni e 400 mila dollari per realizzare a Sigonella un’area che consentirà
di effettuare – così scrivono gli strateghi – “più sicure e affidabili
telecomunicazioni vocali e dati, classificate e non classificate, alle unità
navali, sottomarine, aeree e terrestri della Marina militare USA, in supporto
delle sue operazioni reali e delle esercitazioni in tutto il mondo”.
L’assegnazione dei lavori è prevista entro l’agosto 2020, mentre la
realizzazione dovrebbe concludersi nell’aprile 2024. E’ prevista inoltre una
spesa aggiuntiva di 57 milioni di dollari per l’acquisto delle sofisticate
attrezzature elettroniche e d’intelligence che saranno messe a disposizione del
nuovo centro satellitare, a riprova di come ci troviamo di fronte a un vero e
proprio salto di qualità delle attività e delle funzioni che saranno svolte a
Sigonella dalle forze armate degli Stati Uniti d’America.
Mentre ormai è ufficiale che il terminale terrestre del MUOS di
Niscemi ha raggiunto la piena operatività, si attende da un momento all’altro
la comunicazione da parte dei Comandi NATO dell’entrata in funzione - ancora
una volta a Sigonella - del nuovo sistema AGS dotato di cinque grandi
droni-spia di ultima generazione che si sommeranno ai “Global Hawk” e ai
“Reaper” dell’US Air Force e ai “Triton” di US Navy, per consolidare il ruolo
di vera e propria capitale mondiale dei
velivoli senza pilota della grande base militare siciliana. I droni AGS della
NATO consentiranno di operare in un’ampia area geografica: dall’intero
continente africano e il Medioriente sino alle Repubbliche Baltiche e ai
confini orientali della Russia, di fatto sempre in funzione anti-Mosca e
anti-Teheran.
Mai come adesso è evidente quanto per decenni i Comitati No War hanno denunciato: cioè che Sigonella è stata per la Sicilia come
un tumore in metastasi. Il soffocante processo di militarizzazione generato
dalla grande installazione USA e NATO è sotto gli occhi di tutti e
l’installazione di Niscemi con le sue decine di antenne e il terminale MUOS è
l’esempio più emblematico del suo devastante impatto socio-ambientale. Proprio
il MUOS assume un valore altamente simbolico in quello che è lo strettissimo
legame esistente tra guerra-riarmo-militarizzazione e crimini
ambientali-climatici e iper-riscaldamento della Terra. Bisogna infatti sapere
come la prima sperimentazione operativa in larga scala del nuovo sistema di
telecomunicazione satellitare della Marina USA è stata fatta nella primavera
del 2014 al Circolo Polare Artico nell’ambito di quella che è ormai una furiosa
competizione tra le Superpotenze per accaparrarsi i minerali e le fonti
energetiche che in quest’area diventano molto più facili da sfruttare grazie
proprio allo scongelamento dei ghiacciai. Questo devastante fenomeno climatico
consente inoltre alle grandi unità navali di penetrare verso il Polo Nord e
l’Antartide, aprendo nuove rotte e tragitti più economici e veloci al traffico
militare e mercantile.
Nello specifico quella al Polo Nord è stata una vasta
esercitazione denominata in codice “ICEX”, organizzata dal Comando per le forze
subacquee COMSUBFOR di US Navy. Per la prima volta, un sottomarino a
propulsione e capacità atomica ha navigato a centinaia di metri d’immersione sotto
la calotta del ghiaccio, mantenendo un costante contatto con i centri di
comando USA grazie ai segnali teletrasmessi dal MUOS. Ciò apre nuovi scenari
geostrategici e ripropone le modalità di governance “armata” degli effetti più
catastrofici delle dissennate politiche energetiche dei paesi industrializzati
e del modello stesso di funzionamento del complesso militare-industriale, come del resto è accaduto
in questi ultimi decenni con i fenomeni migratori e i loro tentativo di
contrasto da parte di USA, NATO e UE. Il mutamento climatico è stato una delle
principali cause della pressione migratoria sulle popolazioni del Sud, così
come le guerre glocal (molto spesso per procura), la fame e il sottosviluppo. E
quella del contrasto alle migrazioni è divenuta una delle sfide chiave con cui
oggi si giustificano militarizzazioni e intereventi neocoloniali nel
Mediterraneo e nell’intero continente africano e dove, ancora una volta, sono
sempre la Sicilia e le sue installazioni di guerra ad assumere un ruolo chiave
in ambito nazionale ed internazionale.
Dicevamo prima della metastasi Sigonella. In verità non c’è area
addestrativa o poligono in Sicilia che oggi non sia stato messo a disposizione
dei reparti d’elite USA protagonisti delle peggiori nefandezze nei teatri di
guerra mondiali. E’ di queste settimane la scoperta che i Marines statunitensi
destinati a intervenire in Africa hanno utilizzato con propri mezzi aerei ed
elicotteri una vasta area agricola nel Comune di Piazza Armerina. Ai reparti
USA è stato concesso pure l’uso del poligono di Punta Bianca, a due passi dalla
città di Agrigento, in una delle aree naturali e paesaggistiche più belle e più
fragili dell’Isola, utilizzato stabilmente dalla Brigata Meccaniizzata “Aosta”
dell’Esercito italiano. I reparti statunitensi di stanza a Sigonella sono stati
inoltre tra i protagonisti di una imponente esercitazione, neanche una
settimana fa, che ha interessato buona parte della provincia di Trapani,
comprese alcune aree di rilevante interesse naturalistico e lo scalo aereo di
Birgi, uno degli avamposti di guerra più importanti di tuo il sud Italia.
Quest’esercitazione è stata svolta congiuntamente ad alcuni reparti della
Brigata “Aosta”, giunto in Sicilia subito dopo l’Unità d’Italia per garantire il
controllo dell’ordine pubblico e la repressione del brigantaggio e delle
proteste popolari (vedi in particolare i Fasci siciliani, il movimento
contadino, le ricorrenti rivolte per il pane nei grandi centri abitati, ecc.).
Trasformatasi negli ultimi anni in uno dei reparti di pronto intervento delle
forze armate italiane in ambito NATO ed extra-NATO (anche grazie alla
sottovaluta operazione Strade Sicure
e alle missioni “di pace” in Libano, Kosovo, Iraq e Afghanistan e alle sempre
più numerosi attività addestrative con le forze armate USA), la Brigata “Aosta”
ha accumulato un’enorme capacità operativa proprio sul fronte interno e oggi si
candida a divenire il fulcro delle unità anti-sommossa e di repressione dei
movimenti sociali in Sicilia e nel Mezzogiorno d’Italia.
Uno dei luoghi dove si è manifestato con intensità il cancro della
militarizzazione della Sicilia è certamente l’isola di Lampedusa. Mentre
l’attenzione mediatica si concentrava sugli sbarchi dei migranti, le “emergenze
umanitarie” predisposte ad hoc per riprodurre la paura delle invasioni e le vergognose condizioni dell’hotspot di contrada Imbriacola, venivano installati nella
piccola isola sistemi radar, impianti di telecomunicazione e centri per la
guerra elettronica, alcuni dei quali ancora una volta all’interno di zone di
rilevante importanza ambientale e paesaggistica. Una selva di antenne che oltre
a elevare Lampedusa ad avamposto per la trasmissione degli ordini di guerra delle
forze armate nazionali e NATO, sta contribuendo con il bombardamento massiccio
di onde elettromagnetiche a peggiorare le già preoccupanti condizioni di vita e
sanitarie della popolazione locale.
Siccome poi ai signori delle guerre globali l’appetito vien
mangiando, il processo di ultramilitarizzazione di Lampedusa ha investito anche
lo scalo aeroportuale, già utilizzato in passato per operazioni top secret e
“anti-terrorismo” nel Mediterraneo e in Nord Africa. Da qualche settimana questo
aeroporto opera da laboratorio sperimentale di un nuovo prodotto del complesso
militare-industriale, il grande drone-spia “Falco-Evo” di
Leonardo-Finmeccanica, affittato alla famigerata Agenzia per il controllo delle
frontiere esterne Ue Frontex nell’ambito delle operazioni anti-migranti nel Mediterraneo
centrale e, immaginiamo, anche in territorio libico e nel Sahara. Nello
specifico questo grande velivolo senza pilota ha il compito di videofotografare
il transito delle imbarcazioni “sospette” o degli automezzi utilizzati per il
trasporto dei migranti nel deserto e di fornire i dati sensibili raccolti alle
forze armate e di sicurezza libiche a cui Italia e Unione europea hanno
affidato le operazioni sporche di
respingimento dei “clandestini” alle frontiere meridionali, in modo di trasferire
così il muro armato invisibile contro
i flussi migratori dal Canale di Sicilia ai confini con il Ciad, il Niger e il
Sudan.
La proiezione della forza militare di “contenimento” anti-migranti
sempre più a sud risponde all’esigenza di rendere ancora più invisibili e lontani i crimini e le
violazioni dei diritti umani perpetrati dagli attori a cui Bruxelles e Roma
hanno delegato la guerra in atto alle migrazioni. Anche in quest’ottica va
interpretata la missione delle forze armate italiane avviata lo scorso anno in
Niger (MISIN), in cui la formazione e l’addestramento dei militari nigerini sono
finalizzati indiscriminatamente alla “lotta al terrorismo” e “al traffico di
persone” e la cooperazione allo sviluppo
(con fondi del Ministero Affari esteri e dell’Unione europea ma con gestione
MISIN) viene barattata in cambio del rafforzamento dell’impegno di Niamey
contro i migranti o, peggio, convertita nell’acquisto e trasferimento alle
autorità militari locali di sofisticate attrezzature per la schedatura
biometrica personale.
Un accenno è doveroso ad un altro tumore generato dalla metastasi Sigonella, quello relativo all’uso
da un quinquennio dell’aeroporto di Pantelleria per i voli d’intelligence,
riconoscimento e disturbo elettronico affidati da USAfricom, il Comando delle
forze armate statunitensi per il continente africano, a contractor privati
statunitensi. Questi voli vengono effettuati periodicamente nel Mediterraneo e
sui cieli di Algeria, Tunisia e Libia, sino alla frontiera orientale
dell’Egitto. Ovviamente tutto viene tenuto top secret e perfino il Comando di
Sigonella che fornisce la logistica agli scali dell’aereo-spia con insegne
“civili” a Pantelleria ammette di ignorare i reali obiettivi e le funzioni
esercitate. Di certo i dati raccolti durante le incursioni in territorio
africano sono trasmessi direttamente a Ramstein (Germania), sede centrale di US
Africom, ma non sarebbe assolutamente strano se alcune delle informazioni
d’intelligence venissero trasferite anche alle formazioni militari e
paramilitari partner USA in Nord Africa nella “guerra al terrorismo”.
La Sicilia, infine, si sta prestando dal 2011 a sperimentare direttamente
le politiche liberticide di “confinamento” dei sempre meno numerosi migranti
che riescono a raggiungere le nostre
coste in imbarcazioni di fortuna. Mi riferisco in particolare ai centri,
paradossalmente e ipocritamente definite di “accoglienza”, aperti un po’
ovunque nell’Isola, veri e propri lager dove l’obiettivo reale è quello di
spersonalizzare e deprivare gli “ospiti-semireclusi” dai loro sogni, speranze,
resistenze. Mineo, Pozzallo, Lampedusa, l’ex caserma “Gasparro” di Messina,
ecc., classificati ormai come “hotspot” per le identificazioni e le conseguente
espulsioni manu militari degli “indesiderati”, sono anch’essi il laboratorio
con marchio Frontex per implementare in grande scala il modello di controllo totale
delle persone, dei loro corpi e delle loro coscienze.
Non è certo casuale che proprio la città di Catania sia stata
prescelta quale sede mediterranea dell’Agenzia di controllo esterno delle
frontiere Ue, scelta infame promossa e sostenuta dall’ex amministrazione Bianco
e che ha contribuito anch’essa a rendere ancora più asfissiante e insostenibile
il processo di militarizzazione del territorio siciliano. La rilevanza della
creazione del Centro Frontex a Catania è stata purtroppo ampiamente sottovalutata
dalle associazioni e dai gruppi che in questi anni si sono impegnati in difesa
dei diritti dei migranti.
Assai poco considerato è pure quanto accade con sempre maggiore frequenza
e intensità all’interno delle scuole di ogni ordine e grado e nelle università
siciliane, cioè la militarizzazione de iure e de facto del sistema educativo
con l’occupazione delle infrastrutture scolastiche per parate e simulazioni
varie da parte delle forze armate (Brigata “Aosta” in primis); l’affidamento a
generali ed ammiragli di lezioni e corsi con gli studenti in tutte le
discipline (c’è perfino la rilettura e reinterpretazione della Costituzione);
le attività di alternanza scuola-lavoro nelle caserme, nelle basi militari
strategiche e nelle industrie produttrici di sistemi bellici; la svendita della
ricerca scientifica da parte degli atenei al Pentagono, alle forze armate USA,
NATO e nazionali, ecc..
L’incapacità dei soggetti politici alternativi e della sinistra
radicale a far diventare argomento centrale di dibattito quello della
militarizzazione dei territori, dell’istruzione e della società, è certamente
una grossa sconfitta, soprattutto perché gli effetti prossimi di questo
processo saranno pagati in carne propria dagli stessi attori chiamati al
cambiamento e alla resistenza al neoliberismo e alla guerra. Militarismo e
militarizzazioni, le forze armate a controllo e “gestione” dell’ordine
pubblico, ecc. erodono progressivamente i sempre più limitati spazi di libertà
ed espressione, di aggregazione e lotta sociale, così come si è assistito recentemente
proprio qui a Catania con lo sgombero violento dei centri occupati. Le leggi
liberticide introdotte nel sistema giuridico attraverso i cosiddetti decreti sicurezza, legittimano le forze
di polizia nell’implementazione di ulteriori strumenti repressivi. Credo però
che sia doveroso ribadire che queste norme non sono il frutto del “folle” di
turno (vedi il leghista xenofobo oggi alla guida del Viminale o il suo
predecessore del “partito democratico”), ma sono invece un atto dovuto della
Politica e dei Governo a favore del grande capitale transnazionale che non
ammette assolutamente la possibile esistenza di conflitti e mediazioni sociali.
Per assicurarsi l’ordine, l’obbedienza, il controllo e l’esercizio
repressivo, il capitale transnazionale non ha avuto scrupoli ad utilizzare in
Sicilia, accanto alle forze di sicurezza e militari, le organizzazioni
criminali e mafiose. La mafia si è macchiata del sangue di innumerevoli oppositori
al sistema neoliberista o ha imposto con la minaccia di morte l’emigrazione
forzata dalla Sicilia di migliaia di oppositori al sistema dominante. Per
questo la lotta globale alla borghesia mafiosa e ai poteri di guerra diventa
oggi l’unica alternativa per continuare a mantenere in vita gli spazi di
socialità e le speranze di resistenza di tutte/i coloro che credono ancora che
ci sia un altro mondo possibile.
Relazione
al convegno "La Sicilia fa la guerra - Conflitti, immigrazione
e devastazioni ambientali", organizzato da Movimento No MUOS a Catania
presso il Dipartimento di Scienze politiche dell’Università degli Studi, 12
giugno 2019.
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