Indagato a Bari il businessman dei migranti della città dello Stretto
Frode in pubbliche forniture.
E’ questo il reato contestato dalla Procura della Repubblica di Bari a quattro
noti imprenditori del business accoglienza migranti e richiedenti asilo relativamente
alla gestione di uno dei centri d’accoglienza – lager più tristemente noti in Italia, il CARA di
Bari Palese. Secondo gli inquirenti, i responsabili dell’ente gestore che per
tre anni si è occupato del centro (la cooperativa Auxilium di Senise, Potenza),
avrebbero fatto lievitare a dismisura i costi dei servizi prestati. Gli
indagati sono i fratelli Pietro e Angelo Chiorazzo, responsabili di
Auxilium, l’ex amministratore delegato della Cascina Global Service Srl Salvatore
Menolascina (già arrestato nell’ambito dell’inchiesta Mafia capitale della procura di Roma) e Camillo Aceto, ex
componente del consiglio di amministrazione di Auxilium ed ex vicepresidente de
la Cascina.
Camillo Aceto, in qualità di
presidente della Senis Hospes -
Società Cooperativa Sociale, anch’essa con sede a Senise, aveva firmato il 26
novembre 2015 con l’Amministrazione comunale di Messina la “Convenzione per la
prima accoglienza dei minori stranieri non accompagnati” nel Centro Ahmed, istituito
un anno prima mediante stipula di altra convenzione emergenziale con la
Prefettura. Sei giorni prima, dopo una lunga querelle con il Prefetto, alcuni esperti
del settore immigrazione e le associazioni di volontariato locali, il sindaco Renato
Accorinti aveva emesso un’ordinanza contingibile
e urgente con la quale disponeva che i minori stranieri già presenti presso
il Centro Ahmed venissero ospitati a cura dell’Amministrazione Comunale. Sino
ad allora, interpretando strumentalmente ed erroneamente una circolare ministeriale,
sindaco e dirigente generale comunale avevano invece ribadito che la
responsabilità della prima accoglienza dei minori stranieri non fosse di competenza
del Comune. “La città di Messina, a motivo della sua posizione geografica, è
interessata da un costante e cospicuo flusso di migranti, per i quali rimane in
capo all’Amministrazione Comunale la successiva gestione dell’accoglienza dei
minori stranieri non accompagnati”, si legge nell’ordinanza sindacale del 26
novembre scorso. “Pertanto il collocamento dei minori suddetti in strutture di
accoglienza accreditate comporta la loro presa in carico da parte dei Servizi
Sociali del Comune nel cui territorio le strutture sono presenti e la richiesta
di apertura della tutela nei loro confronti. Poiché in atto, nella città di
Messina, per l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati è operativo il
Centro Ahmed gestito dalla società
cooperativa sociale Senis Hospes, con una disponibilità di 160 posti e
autorizzato dalla Regione come ostello per giovani per 200 posti, si ordina che
i minori ivi ospitati al 25/11/2015, data di scadenza della convenzione con la
Prefettura, continuino ad essere ospitati a cura del Comune, presso la medesima
struttura, limitatamente al tempo strettamente necessario e documentato per il loro
inserimento in Centri specificatamente accreditati e, pertanto, la presente
ordinanza si intenderà revocata allorché la procedura di gara si concluda con
l’individuazione di idonee strutture e, in ogni caso, gli effetti della
presente verranno a cessare alla data del 30 giugno 2016”. Il giorno dell’ordinanza,
Senis Hospes non risultava ancora essere stata accreditata dalla Regione per la
gestione dei centri di prima accoglienza per i minori stranieri ai sensi del
D.P.R.S. n. 600/2014, accreditamento che sarebbe giunto – secondo quanto
riferito dai rappresentanti locali dell’ente gestore –proprio lo stesso giorno della
stipula della convenzione con il Comune di Messina. Nel documento sottoscritto dalla
dirigente comunale del Dipartimento Politiche Sociali e dall’imprenditore
Camillo Aceto si rileva però che “il centro Ahmed è munito di SCIA come ostello
per la gioventù con una disponibilità di 224 posti” e che “gli effetti della
presente convenzione avranno efficacia limitatamente al tempo strettamente
necessario al reperimento di ulteriori strutture idonee all’accoglienza
(primissima e di secondo livello) dei minori non accompagnati”. Un centro dunque
che era ancora inidoneo all’accoglienza e ben distante dagli standard
normativi, strutturali e di gestione imposti dalle norme di legge regionali. A
ciò si aggiunge, inspiegabilmente, una crescita in soli sei giorni dei posti
letto “autorizzati” (da 200 a 224), che in termini finanziari, a 45 euro per
ogni ospite al giorno pagati dal governo, consentono un fatturato aggiuntivo per
l’ente gestore di 32.400 euro al mese.
Sempre
secondo quanto previsto dal D.P.R.S. n. 600/2014, l’accoglienza dei minori
stranieri non accompagnati nelle strutture di primissima accoglienza non dovrebbe
essere superiore ai 3 mesi; inoltre i centri non dovrebbero accogliere complessivamente
più di 60 ospiti contemporaneamente, mentre l’équipe del personale impiegato
dovrebbe possedere una “formazione adeguata e specifica e competenze e capacità
idonee” con un numero ben definito di operatori e rispettive qualifiche. Obblighi
di legge che, come denunciato più volte in questi anni da difensori dei diritti
umani, volontari, ONG (Borderline Sicilia, Arci, Campagna LasciateCientrare,
ecc), non risultano essere stati rispettati a Messina, anche se a onor del
vero, i servizi offerti al Centro Ahmed sono certamente superiori a quelli di
tante altre strutture “d’accoglienza” sorte come funghi in tutta la Sicilia.
La
struttura presso l’ex Ipab – Fondazione Conservatori Riuniti di Messina
venne aperta il 25 novembre 2014 dall’associazione temporanea d’imprese con
capofila la Senis Hospes di Potenza, compartecipi la Cascina Global Service Srl
e il Consorzio Sol.Co. - Società cooperativa sociale onlus di Catania. La
stessa Ati al tempo gestiva le strutture-lager per migranti della tendopoli di
Contrada Conca d’oro Annunziata (all’interno di un centro sportivo dell’Università
degli studi di Messina) e dell’ex caserma “Gasparro” di Bisconte. Inizialmente,
l’ex Ipab era stato destinato a centro di primissima accoglienza dei cittadini
stranieri richiedenti protezione internazionale in vista dell’auspicata
chiusura della tendopoli. A seguito però di una denuncia sulla presenza nel
lager dell’Annunziata di poco meno di un centinaio di minori stranieri non
accompagnati, in situazioni di promiscuità con gli adulti, la Prefettura, con
provvedimento straordinario del 31 ottobre 2014 ordinò il loro trasferimento presso i locali che
Senis & socie si erano incaricate a ristrutturare per i richiedenti asilo
adulti.
Ovviamente né la Prefettura né il Comune di Messina hanno mai ritenuto perlomeno imbarazzante la gestione
di buona parte del business accoglienza migranti da soggetti finiti più volte
nelle cronache giudiziarie. Il 24 aprile 2014, all’associazione d’imprese Senis-Cascina-Sol.Co.
(più il consorzio di cooperative Sisifo
di Palermo - LegaCoop, la società di costruzioni Pizzarotti & C Spa di
Parma e il comitato provinciale della Croce Rossa Italiana di Catania) fu
affidato il bando da 97 milioni di euro per la gestione del mega CARA di Mineo,
il più grande centro per richiedenti d’asilo d’Europa. “Il bando per la
gestione del CARA di Mineo ha alterato la fisionomia dell’accordo pubblicistico delineato
dall’art. 15 della Legge n. 241/1990”, ha denunciato in una relazione la Corte dei Conti. Ancora più duro il giudizio
dell’Associazione nazionale
anticorruzione guidata da Raffaele
Cantone, secondo cui a Mineo sarebbero stati violati i principi
di “concorrenza,
proporzionalità, trasparenza, imparzialità ed economicità”. La gestione del CARA è stata stigmatizzata pure dagli inquirenti che
indagano su politica e affari nella città di Roma. Nella seconda ordinanza
emessa dal Gip capitolino, relativamente all’affaire Mineo, si parla
espressamente di “collusioni
preventive, consistenti in accordi finalizzati alla predeterminazione dei
soggetti economici che si sarebbero aggiudicati le gare”, nonché di “condotte fraudolente, consistenti nel concordare i
contenuti dei bandi di gara in modo da favorire il raggruppamento di imprese al
quale partecipavano imprese del gruppo La Cascina”. A seguito del terremoto giudiziario che ha colpito il
colosso della ristorazione, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di
Roma, con decreto n.102 del 27 luglio 2015 dispose l’amministrazione
giudiziaria per la Cascina Global Service.
Il Presidente di Senis Hospes Camillo Aceto, al tempo
vicepresidente de La Cascina, venne arrestato nell’aprile 2003 a Bari nell’ambito
di un’inchiesta sulla fornitura del servizio pasti delle mense ospedaliere e
scolastiche. “Da vicepresidente della Cascina, anche Angelo Chiorazzo di
Auxiliu è stato coinvolto nella stessa indagine della magistratura di Bari in
cui era imputato Camillo Aceto, a sua volta ex membro del consiglio di
amministrazione di Auxilium”, riporta la giornalista Raffaella Cosentino. “Anche
Chiorazzo ha avuto la prescrizione in primo grado per i reati di falso e frode
nei confronti della pubblica amministrazione…”.
Quando nel novembre 2013 il quotidiano online Tempostretto.it di Messina riprese la
notizia sui trascorsi giudiziari di Aceto e soci, il responsabile locale di
Senis Hospes, Benedetto Bonaffini richiese la pubblicazione di una rettifica. “Nel
mese di settembre 2010 – scrisse Bonaffini - con dispositivo
di sentenza di primo grado del Tribunale di Bari, il dott. Camillo Giuseppe
Aceto è stato assolto nel processo penale avviato nel 2003 con la formula piena perché il fatto non sussiste da tutti i reati
più gravi ed in particolare da tutti i capi di imputazione relativi alla
somministrazione di sostanze alimentari nocive e dalla maggior parte dei
reati relativi ai capi di imputazione di truffa e frode nelle pubbliche
forniture. La sentenza ha confermato altresì il puntuale ed integrale pagamento
dei contributi previdenziali ed assistenziali in favore dei lavoratori.
Per quanto attiene le residuali affermazioni di responsabilità, per le quali è
intervenuta la prescrizione, si precisa che le stesse sono state
appellate innanzi alla Corte d’Appello, con atto depositato in data 2
febbraio 2011, come da attestazione dell’Ufficio Deposito Sentenze ed
Impugnazioni del Tribunale di Bari. A riprova di quanto precede è possibile
verificare i contenuti del casellario giudiziale che non riporta
alcuna sentenza di condanna”.
Nell’inchiesta del 2003 della Procura di Bari finirono
agli arresti domiciliari oltre a Camillo Aceto quattro dirigenti de La Cascina e
tre fornitori della cooperativa. “Dal 1999 La Cascina avrebbe somministrato a
scuole ed ospedali baresi cibi scaduti, putrefatti o con alta carica batterica”,
si legge nell’ordinanza dei magistrati pugliesi. “Spesso i cibi sono stati
stoccati e manipolati in locali e con attrezzature prive dei minimi requisiti
di igiene (…) approfittando di circostanze di persona (malati in età infantile
ricoverati negli ospedali) tali da ostacolare la privata difesa”. Il processo
si concluse nel settembre del 2010 con 17 condanne a pene comprese tra i sei
mesi e i due anni e mezzo di reclusione (sui 32
imputati finiti a processo) e il risarcimento per danni morali e materiali al
Comune di Bari, all’Asl e ad alcune associazioni di consumatori. “Le pene più
alte (due anni e mezzo di reclusione) sono state inflitte a Salvatore
Menolascina ed Emilio Roussier Fusco, all’epoca dei fatti amministratore di
fatto e responsabile commerciale della sede di Bari della Cascina”, riporta la Gazzetta del Mezzogiorno del 21 settembre
2010. “A due anni e tre mesi sono stati condannati i fornitori della
cooperativa Luigi Partipilo, Rosario Mastrangelo e i dirigenti della Cascina
Gabriele Scotti e Ivan Perrone. A un anno e sei mesi Luigi Grimaldi e Camillo
Aceto, all’epoca vicepresidente della Cascina e responsabile dell’ufficio
amministrativo della società”. Per il quotidiano pugliese, cioè, il verdetto
per Aceto sarebbe stato diverso da quello narrato dai collaboratori di Senis
Hospes. Della pesante condanna in primo grado si parla anche in una dettagliata
interrogazione parlamentare sull’affaire
Mineo, presentata il 15 dicembre 2015 da diversi senatori del Movimento 5
Stelle, prima firmataria Ornella Bertorotta. Condanna o prescrizione, poca
importa. Per Senis Hospes – La Cascina gli affari con pasti e migranti non
sembrano dover finire mai.
Commenti
Posta un commento