Guerra ai Migranti e alle Migrazioni
L'hanno ipocritamente definita operazione militare e umanitaria. L'aspetto militare è facile capirlo proprio dall'elenco delle armi: cacciabombardieri, elicotteri da combattimento, navi da sbarco, fregate, sommergibili. fra le attrezzature "...navi da oltre 3 mila tonnellate, pesantemente armate, con poco spazio a bordo per ospitare naufraghi e molto onerose", adatte ad azioni militari più complesse, "da concordare magari con il governo libico". L'aspetto umanitario "...è affidato alla tecnologia, uno dei droni-spia già utilizzati dall'Italia nelle guerre in Iraq, Libia e Afghanistan. L'aereo senza pilota, telecomandato, secondo il ministero della Difesa, "svolge attività di sorveglianza aerea con il duplice fine di salvare vite umane e identificare le navi madri, utilizzate dagli scafisti".
Un’azione di guerra dove nulla è stato lasciato al
caso. Dal nome, Operazione Mare Nostrum,
a indicare la piena sovranità su uno specchio d’acqua frontiera Nord-Sud, muro
invalicabile per la moltitudine di diseredati in fuga da sanguinosi conflitti e
inauditi ecocidi. Il Comando operativo, poi, assegnato al Capo
di Stato Maggiore della Marina militare. E i mezzi aeronavali impiegati: cacciabombardieri,
elicotteri da combattimento, navi da sbarco, fregate, sommergibili e, a bordo,
i reparti d’élite delle forze armate. L’Italia torna a fare la guerra alle
migrazioni e ai migranti nel Mediterraneo, sfruttando strumentalmente la
tragedia accaduta a poche miglia da Lampedusa il 3 ottobre 2013. Allora
morirono 364 tra donne, uomini e bambini senza che l’imponente dispositivo
aeronavale nazionale, Ue, NATO e extra-NATO che presidia ogni specchio di mare,
facesse alcunché per soccorrere i naufraghi.
Un’operazione militare e umanitaria, l’hanno
ipocritamente definita il Governo e lo Stato Maggiore della Difesa,
rispolverando l’espressione utilizzata per giustificare gli interventi di
guerra in Bosnia, Kosovo, Iraq, Afghanistan, Libia e Corno d’Africa ed aggirare
la Costituzione e il senso comune. “Si prevede il rafforzamento del dispositivo
italiano di sorveglianza e soccorso in alto mare già presente, finalizzato ad
incrementare il livello di sicurezza della vita umana ed il controllo dei
flussi migratori”, recita il contorto comunicato ufficiale della Presidenza del
Consiglio, mettendo insieme improbabili intenti solidaristici e le immancabili
logiche sicuritarie e repressive.
Vaghi i compiti e le funzioni attribuiti alle forze
armate; volutamente inesistenti le regole d’ingaggio, ma dettagliatissimo
l’elenco dei dispositivi di morte impiegati per rendere off limits il Mediterraneo.
All’operazione Mare Mostrum sono
presenti quasi tutte le più sofisticate produzioni del complesso
militare-industriale del sistema Italia. Sul fronte anti-migranti esordisce la
nave d’assalto anfibio LPD di 133 metri di lunghezza “San Marco”, che,
come ha spiegato il ministro della Difesa Mario Mauro, ha la “capacità di
esercitare il comando e controllo in mare dell’intero dispositivo,
con elicotteri a lungo raggio, capacità
ospedaliera, spazi ampi di ricovero per i naufraghi e un bacino
allargabile per operare con i gommoni di soccorso in alto mare”. Poi due
fregate lanciamissili classe “Maestrale”, ciascuna con 225 uomini e un
elicottero imbarcato; un’unità da trasporto costiero, classe “Gorgona” per il
supporto logistico; due pattugliatori d’altura classe
“Comandanti/Costellazioni”; due corvette della classe “Minerva”.
Più articolati i mezzi aerei: due elicotteri EH.101
della Marina militare dotati di strumenti ottici ad infrarossi e radar di
ricerca di superficie, da imbarcare sulla “San Marco” o schierare negli scali di
Lampedusa e Pantelleria; quattro elicotteri AB 212 AS, ancora della Marina, giunti
a Lampedusa dopo essere stati oggetto di inutili operazioni di bonifica anti-amianto
negli stabilimenti di Grottaglie (Ta) e Catania; un aereo Piaggio P-180 con visori
notturni, impiegabile anch’esso dall’aeroporto di Lampedusa; un
bimotore Breguet 1150 “Atlantic” del 41° Stormo dell’Aeronautica militare di
Sigonella, con equipaggi misti Aeronautica-Marina, per il pattugliamento
marittimo delle aree interessate; due elicotteri HH-3F e HH-139
SAR (Search and Rescue) del 15° Stormo dell’Aeronautica
di Cervia (Ra), gli unici mezzi con evidenti funzioni di ricerca e soccorso in
mare in caso d’incidenti. Tra personale imbarcato e di supporto a terra, la
nuova crociata anti-migranti conta su 1.500 militari, tra cui spiccano in
particolare quelli di pronto intervento della Brigata “San Marco”, indicata
dai Comandi della Marina come “uno strumento efficacissimo, capace di
rischierarsi rapidamente e di operare in qualsiasi parte del mondo con
particolare riguardo alle attività d’interdizione marittima, all’antipirateria
e alla difesa delle installazioni sensibili”.
Per l’Operazione
Mare Nostrum sono utilizzate anche le Reti radar della Guardia Costiera e
della Guardia di finanza, le Stazioni dell’Automatic
Identification System della Marina militare e, per la prima volta nella
storia per operazioni di vigilanza delle frontiere, finanche un velivolo senza
pilota “Reaper MQ 9” del 32° Stormo dell’Aeronautica militare di Amendola (Fg).
Quest’ultimo non è altro che uno dei droni-spia già utilizzati dall’Italia
nelle guerre in Iraq, Libia e Afghanistan (solo in quest’ultimo
conflitto il Reaper ha già totalizzato dal 2007 ad oggi 1.300 sortite a favore
delle forze NATO, contro più di 6.000 obiettivi). Il velivolo teleguidato può
volare fino ad 8.000 metri di quota per oltre 20 ore consecutive, consentendo di
realizzare riprese elettro-ottiche, all’infrarosso e radar. Secondo il Ministero
della Difesa, il drone impiegato in Mare
Nostrum “svolge attività di sorveglianza aerea con il duplice fine di
salvare vite umane in pericolo e identificare le navi madri, utilizzate dagli
scafisti”.
“Anche se la missione annunciata è stata definita
umanitaria e di soccorso, desta qualche sospetto la composizione dello
strumento aeronavale navale messo in campo”, ha rilevato Il Sole 24 Ore. In particolare, il quotidiano di Confindustria pone
l’accento sulle caratteristiche delle unità navali da sbarco e delle fregate
lanciamissili, scarsamente utilizzabili in interventi di soccorso in caso di
naufragi. “Si tratta di navi da oltre 3 mila tonnellate, pesantemente armate,
con poco spazio a bordo per ospitare naufraghi e molto onerose”, aggiunge Il Sole 24 Ore, rilevando invece come queste
unità consentano azioni militari più complesse, “da coordinare magari con il
governo libico”. Anche lo schieramento dei droni e della “San Marco” risponderebbe
all’intento strategico di contribuire al dispositivo di “contenimento” libico
delle imbarcazioni di migranti. “Grazie alla loro autonomia di volo i droni possono
sorvegliare costantemente i porti di partenza dei barconi consentendo alle navi
militari di raggiungerli appena al di fuori delle acque libiche”, spiega ancora
Il Sole 24 Ore. “La nave “San Marco”
ospita anche mezzi da sbarco e fucilieri di Marina: mezzi e truppe idonei a
riaccompagnare in sicurezza sulle coste libiche immigrati recuperati in mare
sotto la scorta deterrente delle fregate lanciamissili”.
Ancora più esplicita l’analisi dell’ex capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica militare
Leonardo Tricarico, neopresidente della
Fondazione ICSA (ha sostituito il sen. Marco Minniti del Pd dopo la sua nomina
a sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri e autorità
delegata alla sicurezza della Repubblica). “Sul
piano tecnico-operativo bisognerebbe puntare su un robusto passo diplomatico
con i Paesi rivieraschi per far sì che i droni, anziché essere impiegati in una
ricerca senza mèta in mare aperto (non sono mezzi di sorveglianza d’area),
vengano utilizzati per il pattugliamento delle coste libiche, per individuare
in maniera precoce le attività preparatorie all’imbarco e fermarle per tempo”,
scrive il gen. Tricarico. “In fin dei conti con la Libia vi sono già attività
di cooperazione avviate, è operante un contratto per il controllo della
frontiera sud, è stato formalmente accettato un piano italiano di controllo
delle frontiere terrestri e marittime, stiamo addestrando da molti mesi le loro
forze di sicurezza”. La rivista specializzata Analisi Difesa, vicina agli ambienti più conservatori delle forze
armate, ha fatto esplicito riferimento alla recentissima stipula di accordi tra
le forze armate italiane e il premier Alì Zeidan per rafforzare la presenza di
polizia nelle città costiere della Libia e “impedire nuove partenze” di
migranti. “L’obiettivo di riportare in Libia i barconi, bloccandoli appena
lasciano le coste nordafricane – scrive Analisi
Difesa - giustificherebbe la presenza di navi da guerra come le “Maestrale”
(utili a esprimere deterrenza contro le milizie libiche armate fino ai denti) e
la “San Marco”.
Legittimo dunque il sospetto
di alcuni giuristi e delle associazioni antirazziste e di difesa dei diritti
umani secondo cui con “Mare Nostrum” si potrebbero ripetere ed ampliare le
deportazioni di migranti e richiedenti asilo che furono eseguite qualche anno
addietro dai Paesi NATO in accordo con le autorità governative libiche. In
verità, dopo il varo del governo Letta dell’operazione
militare-umanitaria, lo stesso ministro Angelino Alfano ha ammesso che i
migranti fermati in mare dalle unità della Marina e dell’Aeronautica potrebbero
essere “sbarcati” in alcuni porti sicuri della
sponda sud del Mediterraneo. “Ci sono le regole del diritto internazionale della navigazione e non è detto che se
interviene una nave italiana
porti i migranti in un porto italiano”, ha precisato il ministro dell’Interno. Come
sottolineato dal prof. Fulvio Vassallo Paleologo, componente del Consiglio
direttivo dell’ASGI (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), con gli
auspicati “sbarchi” di migranti in porti “sicuri” non italiani, “c’è il rischio
fondato che si ripetano i respingimenti verso i paesi che non garantiscono la
tutela dei diritti umani, come è accaduto nel 2009, quando la Guardia di
Finanza italiana riportò in Libia decine di migranti”. Una pratica per la quale
l’Italia è stata condannata, nel 2012, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Ulteriori perplessità dal punto di vista giuridico
sorgono poi dalla decisione del governo italiano di assegnare a bordo delle
unità della Marina militare alcuni funzionare del Dipartimento di Pubblica
Sicurezza – Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle
Frontiere per eseguire in alto mare le identificazioni e i foto segnalamenti
dei migranti “soccorsi”. “L’attività di prima identificazione compiuta subito
dopo il salvataggio non sembra che si tratti di formalità che si possa
adempiere a bordo di una nave in acque internazionali, quando forse sarebbe
auspicabile il più rapido sbarco a terra”, evidenzia il prof. Vassallo
Paleologo. “Ancora più grave sarebbe se a bordo delle unità impegnate
nell’operazione Mare Nostrum si svolgessero veri e propri interrogatori,
senza alcuna garanzia procedurale, magari alla caccia di qualche nave madre,
mentre potrebbero esserci altri barconi in procinto di affondare. Sui naufraghi
reduci da un salvataggio traumatico non si possono esercitare quelle attività
di polizia che si dovrebbero compiere negli uffici di frontiera con le garanzie
procedurali previste dalla legge, con l’intervento di mediatori culturali e non
solo di interpreti, con una corretta informazione sulle leggi applicate, in
modo da salvaguardare il diritto di chiedere asilo ed i diritti di difesa”.
Le modalità d’impiego del personale di pubblica
sicurezza a bordo delle unità navali da guerra è stato stigmatizzato dal
sindacato di polizia COISP. “Tredici poliziotti sono stati impegnati dal
Dipartimento della P.S. e si occupano di effettuare operazioni di foto-segnalamento di centinaia di migranti”,
denuncia il COISP. “Sono stati imbarcati sulle navi della Marina
Militare senza che venisse fornito loro alcun tipo d’informazione sul
trattamento di missione, alloggiati in ambienti un tempo riservati al personale
di leva, in condizioni inaccettabili e
inimmaginabili”. Il sindacato ha poi rilevato un’“inammissibile
disparità” del trattamento economico riservato al personale delle forze armate
e a quello di PS. “Agli agenti della polizia di stato vengono erogati una
manciata di euro per una missione ordinaria, mentre al personale della Marina viene riconosciuta una indennità
giornaliera feriale di 60 euro e di 100 euro per i giorni festivi”. Tra
emolumenti e indennità per il personale e costi operativi dei mezzi aeronavali,
l’intervento militare-umanitario
assorbirà una spesa tra i 10 e i 12 milioni di euro al mese. Il governo
non ha previsto stanziamenti aggiuntivi sul capitolo “difesa” ed è presumibile
che il denaro per alimentare la macchina da guerra anti-migranti sarà prelevato
dal fondo straordinario di 190 milioni di euro messo a disposizione per far fronte alla nuova emergenza immigrazione. Come dire che da qui alla fine del 2013,
gasolio e pattugliamenti aeronavali bruceranno il 20% di quanto è stato
destinato per tutto l’anno a favore del soccorso e dell’accoglienza dei migranti. L’ennesima vergogna in un Paese sempre
meno libero, democratico ed ospitale.
Articolo pubblicato in Casablanca, n. 32, ottobre-dicembre 2013
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