Il No Muos è una questione di coscienza
Le ragioni di dissenso
del movimento pacifista verso la base satellitare statunitense in Sicilia.
Ricostruzione storica e lettura del territorio nell’intervista ad Antonio
Mazzeo, saggista e giornalista d’inchiesta
Tra orrendi fatti di cronaca e notizie sui Mondiali di calcio,
l’informazione prevalente ha poco spazio per il caso delle antenne satellitari
che la Marina militare Usa sta erigendo nel bosco della sughereta di Niscemi in
Sicilia. Il Senato, nella seduta del 19 giugno, ha respinto ogni istanza intesa
a sospendere i lavori in corso ma ha approvato la proposta del Pd che prevede
«l'adozione di un sistema di monitoraggio dei campi elettromagnetici»
prevedendo «misure di compensazione in caso di danni accertati alla
popolazione».
Città Nuova ha già pubblicato interviste a
figure di spicco del mondo del pensiero strategico militare italiano e al
vescovo di Caltagirone, critico sull’intero progetto. È venuto, ora, il tempo
di porre alcune domande a Antonio Mazzeo, noto giornalista d’inchiesta e
attivista sociale, autore del testo “Il MUOStro di Niscemi. Per le guerre
globali del XXI secolo”.
Partiamo da una premessa necessaria: sul
movimento No Muos pesa il sospetto di una battaglia portata avanti da quelle
forze politiche, ormai minoritarie, che riuscirono nel 1983 a portare un
milione di persone in piazza contro i missili Usa a Comiso arrivati comunque su
volontà di Cossiga e Craxi. In un famoso articolo del 2004 Adriano Sofri ha
detto di essere tuttora lieto dell’amicizia con i pacifisti di quel tempo,
“ottime persone”, anche se deve ammettere che le ragioni della pace sono state
assicurate da quei governanti “realisti” che hanno contribuito al dissolvimento
dell’Unione sovietica. Oggi non sta avvenendo la stessa cosa?
Cosa dire della
ricostruzione di questi ultimi anni offerta da Adriano Sofri?
Sofri ed altri intellettuali italiani non
hanno mai nascosto incomprensione o il loro scarso interesse per le
mobilitazioni pacifiste che milioni di italiani hanno portato avanti negli
ultimi 35 anni. E non hanno mai voluto analizzarne le composizioni
politiche-sociali culturali, le dinamiche interne, la profonda originalità, le
complessità, ecc. Né tantomeno c’è stata la volontà di riconoscere il ruolo
fondamentale assunto dai movimenti No War nella trasformazione sociale
democratica di questo paese, la loro capacità di condizionare le scelte
geostrategiche imposte all’Italia. Mi si consenta pure di rifiutare il termine
“minoritario”. Parliamo di campagne, lotte e mobilitazioni che hanno portato in
piazza e che hanno avuto il sostegno della stramaggioranza della popolazione
italiana.
Come si pone in questo
quadro il caso Muos?
Da una parte si pone l’ostinazione a
difendere la legittimità politica e costituzionale e la sostenibilità sanitaria
e ambientale di questo sistema di guerra statunitense da parte di un paio di
generali e di politici di governo bipartisan. Dall’altra parte, c’è l’intera
comunità siciliana, decine di comitati di base, amministrazioni comunali e provinciali,
scienziati, intellettuali, esperti, le maggiori associazioni ambientaliste
nazionali. Il vero problema è la crisi della democrazia formale e sostanziale
che queste lotte hanno evidenziato, l’incapacità del potere e del complesso
militare-industriale-finanziario nazionale e transazionale di prendere atto della
sacrosanta volontà popolare.
Davanti alle conclusioni
tranquillizzanti dell’Istituto superiore di sanità (Iss) ha ancora senso
continuare con la questione della salute minacciata dal Muos?
Si sono registrate delle censure alle
conclusioni dei docenti universitari “terzi” del tutto opposte a quelle a cui
sono giunti i ricercatori interni dell’Iss. Mi sembrano prove evidenti che la
verità sui pericoli alla salute e all’ambiente del MUOS è stata volutamente
taciuta in nome della ragion di Stato, o forse meglio per non turbare gli
enormi interessi economici in campo con il nuovo sistema di telecomunicazione
satellitare, vedi Lockheed Martin, azienda che sfiora annualmente i 50 miliardi
di dollari di fatturato.
Ma non si rischia, in
tal modo, l’ennesima conferma della sindrome Nimby (“ovunque purché non vicino
a casa mia”) che squalifica ogni dissenso?
Sta avvenendo il contrario della sindrome
Nimby. Le analisi, le azioni di lotta e le sue proposte sono state capaci
invece di leggere i processi locali in chiave globale, di porre l’accento su
come l’attacco ai territori e alla salute della popolazione di Niscemi e di
buona parte dell’Isola risponda a dinamiche politiche-sociali-militari-economiche
planetarie. Questi movimenti mettono profondamente in crisi i gruppi di potere
transnazionali a partire dagli interventi e dalle lotte nelle periferie.
Eppure la popolazione
viene descritta come preoccupata dei pericoli sanitari più che della guerra dei
droni….
Gli attivisti, le mamme No Muos, i
comitati di base territoriali sanno, invece, che la posta in gioco è enorme:
non si sta solo tentando d’impedire il funzionamento in Sicilia di un nuovo
strumento di distruzione di massa, ma di testimoniare al mondo intero che è in
forse, con il Muos, i droni e l’assoluta automatizzazione dei conflitti del XXI
secolo, la stessa sopravvivenza dell’umanità. Da qui l’assunzione consapevole
del rischio di esprimere il dissenso ma anche la ferma convinzione che ci sono
ancora ampi spazi per invertire i processi storici in atto per affermare sino
in fondo i valori della pace con giustizia, del disarmo e della fratellanza
universale.
Come si collega la
questione Muos con il destino della “perla del Mediterraneo” come la chiama
monsignor Peri?
Sarà impossibile realizzare qualsivoglia
ipotesi di sviluppo se non si bloccherà il processo di militarizzazione e
riarmo deciso per la Sicilia. Un disegno strategico che intende sacrificare
l’Isola a mera portaerei nel cuore del Mediterraneo, da cui sferrare attacchi,
anche nucleari, a suon di missili, bombardieri e velivoli senza pilota e,
contestualmente, trasformandola in grande prigione a cielo aperto dove
confinare le sorelle e i fratelli migranti che tentano la fuga dall’Africa e il
Medio Oriente. Emigrazione forzata e marginalizzazione socioeconomica saranno
gli unici effetti, accanto al rafforzamento delle borghesie parassitarie e
mafiose che dominano da tempo immemorabile il territorio.
Cosa deve accadere in
Sicilia per invertire la rotta verso il declino economico e sociale (sconforta
leggere il testo di Rizzo/Stella “Se muore il Sud”)?
La crescita del Movimento No Muos, la sua
rappresentatività e radicalità nelle pratiche di lotta e di resistenza, ha però
dimostrato l’esistenza di straordinarie soggettività nella società isolana,
migliaia di donne e giovani, che credono ancora che un’Altra Sicilia sia ancora
possibile. I No Ponte di Messina e dello Stretto, che hanno sconfitto l’ipotesi
di realizzare un mostro di acciaio e di cemento in una delle aree più belle del
Mediterraneo, i comitati che nei territori si oppongono alle megadiscariche dei
rifiuti, ai termovalorizzatori e agli impianti di biomasse, le associazioni che
praticano l’antimafia sociale, le reti antirazziste che contrastano i sempre
più numerosi centri di detenzione per migranti, sono espressione della
ricchezza sociale che ancora permane nell’Isola. Se tutti questi soggetti
avranno la capacità di mettersi in rete, radicandosi ancora con più forza nei
territori e tra la gente, e riusciranno a costruire fattive relazioni con il
mondo del lavoro, del precariato e dei disoccupati, dei senza casa e dei senza
diritti, c’è più di un motivo per credere e sperare.
Intervista a cura di Carlo Cefaloni, pubblicata il 26
giugno 2014 in Città Nuova, http://www.cittanuova.it/c/439166/Mazzeo_il_No_Muos_una_questione_di_coscienza.html
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