Falcone (Me). Fiumi di denaro e di guai giudiziari
Il 3 agosto 2011 cinque
consiglieri d’opposizione avevano presentato in consiglio comunale un documento
che criticava e disapprovava la “partecipazione attiva” della mafia alla
campagna elettorale per le amministrative. Furono denunciati per diffamazione
dal sindaco rieletto Santi Cirella. Qui la mafia non esiste disse. I fatti
odierni sono una smentita? Assieme ad ex assessori rischia di finire sul banco
degli imputati per alcuni illeciti penali, omissione di atti di ufficio,
bizzarra gestione di denaro pubblico ed altro. Un torrente che straripa e… appare
la mafia.
Guai a nominare la mafia, peggio ancora a ipotizzare
qualsivoglia tentativo d’infiltrazione criminale nella vita politica e
amministrativa di Flacone, piccolo centro della costa tirrenica della provincia
di Messina tra Tindari e Barcellona Pozzo di Gotto. Due anni fa, subito dopo
ferragosto, sindaco e giunta si erano convocati d’urgenza per querelare l’incauta
testata giornalistica che aveva definito la cittadina colonia di mafia. “Qui la mafia non esiste perché siamo gente onesta
e laboriosa!”, fu la considerazione del primo cittadino, degli assessori e dei
consiglieri comunali di maggioranza. Sino ad oggi, però, gli autori
dell’inchiesta sul malaffare a Falcone non sono stati convocati dall’autorità
giudiziaria. Peggio è andato ai cinque consiglieri d’opposizione che il 3
agosto 2011 avevano presentato in consiglio comunale un documento che stigmatizzava
la “partecipazione attiva” alla campagna elettorale per le amministrative di alcuni
esponenti della criminalità organizzata successivamente arrestati nell’ambito
dell’operazione antimafia “Gotha” contro i clan dell’hinterland barcellonese. I
cinque, prontamente denunciati per diffamazione dal sindaco rieletto Santi
Cirella, sono stati condannati qualche mese fa dal Tribunale di Patti al
pagamento di 1.200 euro.
Oggi però a Falcone le vicende politico-giudiziarie
s’ingarbugliano e primo cittadino ed (ex) assessori rischiano di finire loro
sul banco degli imputati. Al vaglio degli inquirenti ci sarebbero infatti le liquidazioni
delle somme per gli interventi emergenziali autorizzati dopo l’alluvione e lo
straripamento del torrente Feliciotto che l’11 dicembre 2008 causarono
ingentissimi danni al territorio comunale. Stando alle prime risultanze delle
indagini, coordinate dalla sostituta della Procura di Patti, dottoressa Francesca
Bonanzinga, risulterebbero infatti alcuni illeciti penali, compreso l’affidamento
di parte dei lavori di rimozione dei fanghi ad un imprenditore in odor di
mafia.
L’alluvione è Cosa
loro
Otto gli avvisi di garanzia emessi: i destinatari
sono il sindaco di Falcone Santi Cirella (avvocato, ex Msi-An e Forza Italia,
poi Mpa); gli assessori comunali in carica al tempo dell’alluvione Paquale
Bucolo, Sebastiano Calabrese, Francesco Giuseppe Cannistraci e Mariano Antonino
Gitto; due imprenditori, Celestino Pitì, originario di Patti e Michele Pino, al
suo secondo mandato di sindaco del confinante comune di Oliveri, amministratore
della “3 P società cooperativa”, accusato di aver attestato falsamente
nell’atto notorio presentato al Comune di Falcone il 2 gennaio 2009, di non
avere carichi giudiziari pendenti. Di rilevante peso criminale il nome
dell’ottava persona raggiunta da avviso di garanzia: il “presunto” boss di
Terme Vigliatore, Carmelo Salvatore Trifirò, oggi in carcere per effetto di una
condanna a 9 anni al processo d’appello scaturito dalla cosiddetta operazione “Vivaio”
che ha consentito di delineare gli interessi delle organizzazioni mafiose nella
gestione della megadiscarica di rifiuti di Mazzarrà Sant’Andrea. Nipote
di Giuseppe Trifirò, inteso “Carabedda”, il capo storico del clan dei
“Mazzarroti” assassinato il 30
ottobre 1991 dopo essere transitato dalle file del boss Pino
Chiofalo a quelle delle famiglie barcellonesi uscite vincenti dalla guerra di
mafia di fine anni ’80-primi anni ’90, Trifirò è stato pure condannato con
giudizio abbreviato alla pena di anni otto di reclusione per una serie di episodi estorsivi aggravati commessi
negli anni 2007-2008 ai danni di vari imprenditori di Milazzo e Barcellona Pozzo
di Gotto impegnati nei lavori di rifacimento del litorale tirrenico (Operazione
“Ponente”). Nonostante il suo stranoto curriculum criminale, Carmelo Salvatore
Trifirò ottenne dall’amministrazione falconese l’affidamento
dei lavori di “trasporto di pietre con pala gommata e autocarri per il
ripristino della normalità”, a seguito dei danni alluvionali del 2008. Da qui
la contestazione per lui, il sindaco Santi Cirella e i quattro assessori del
tempo del reato di abuso d’ufficio in concorso. Nello specifico, con ordinanza sindacale
n. 30 del 14 dicembre 2008 e con due successive delibere di approvazione dei lavori
adottate dalla Giunta municipale (la n. 203 del 31 dicembre del 2008 e la n. 59
dell’8 maggio 2009), alla ditta individuale di movimentazione terra del
presunto boss di Terme Vigliatore, furono affidati interventi per complessivi 74.206
euro. Secondo il pm Francesca Bonanzinga, l’ordinanza con la quale fu
precettava la ditta sarebbe stata adottata nonostante Carmelo Salvatore Trifirò
fosse in quel momento in carcere a seguito di ordinanza del Gip del Tribunale
di Messina per l’operazione antimafia “Vivaio”, nonché già gravato da
precedenti penali. Agli amministratori di Falcone e allo stesso Trifirò si
contesta inoltre la violazione dell’art. 10 del Dpr 252/7998 (Regolamento
recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio
delle comunicazioni e delle informazioni antimafia) che prescrive il divieto per la Pubblica amministrazione di “contrarre contratti
allorquando emergono elementi di infiltrazione mafiosa all’interno di imprese e
società”. La prima tranche dei lavori fu liquidata il 3 dicembre 2009 con
determinazione del Responsabile dell’Area tecnico manutentiva e Protezione
civile del Comune. Dalla certificazione prodotta da Carmela Bertolami, procuratrice
generale della ditta del Trifirò, gli escavatori e gli autocarri dell’impresa
avrebbero trasportato in poco meno di un mese 1.822 metri cubi di massi di
cava.
Al consigliere non
far sapere…
Il fascicolo d’indagine del Tribunale di Patti è
stato aperto a seguito di un esposto firmato dal Franco Paratore, uno dei
cinque consiglieri comunali del gruppo d’opposizione Falcone Città Futura condannati in primo grado per diffamazione del
sindaco Cirella. Paratore aveva denunciato che nella fase dell’emergenza
post-alluvione, a Falcone erano stati eseguiti interventi “per quasi un milione
e mezzo di euro consistenti, per la gran parte, nella ricostruzione e nella
protezione delle coste con la posa di massi e lo spianamento sulla spiaggia del
fango rimosso dal centro urbano”. “Una quantità inimmaginabile di materiale
inerte altamente inquinante – aggiunse il consigliere - a causa della presenza
di solventi, benzina, acido delle batterie delle auto sommerse e quant’altro è
stato trovato nel tragitto da monte a mare”. Perplessità erano state espresse
infine relativamente alla gestione della rendicontazione delle spese sostenute,
sulla quantità dei materiali acquistati e sulle ore effettivamente svolte dai
mezzi impegnati negli interventi. “I lavori sono stati seguiti anche in date
successive al termine ultimo del 23 gennaio 2009 per la rendicontazione da far
rientrare nelle spese della protezione civile”, concluse Paratore.
Con istanza del 6 marzo e del 21 aprile 2009 il
consigliere di “Falcone Città Futura” aveva inoltre fatto richiesta di accesso
agli atti prodotti dall’amministrazione per l’affidamento degli interventi
post-alluvione, ricevendo però un secco rifiuto da parte del sindaco. “La
richiesta è meramente emulativa, strumentale, capziosa, finalizzata unicamente a
creare disservizi e difficoltà operative”, spiegò Santi Cirella nella nota del
25 agosto 2009 indirizzata al Prefetto di Messina. Giustificazione che non ha
convinto il Tribunale di Patti che contesta oggi al primo cittadino pure il reato
di omissione di atti d’ufficio. Sempre al Prefetto, Cirella rivelò un fatto particolarmente
inquietante. “Nel mese di dicembre 2008 sono stati trafugati dalla segreteria
del Comune atti relativi all’alluvione, in corso di pubblicazione”, annotò il
sindaco. “Del furto è stato tempestivamente informato il maresciallo Giuseppe
Bisignani, Comandante la stazione Carabinieri di Falcone, anche se non è stata
sporta formale denuncia, considerato che, previa, ristampa, i medesimi atti
sarebbero stati, comunque pubblicati, qualche giorno dopo”. Informo ma non denuncio, cioè, nonostante
il furto fosse avvenuto all’interno dei locali di un ente pubblico. Valutazione,
quella del Cirella, difficilmente comprensibile.
Denaro a pioggia per
le imprese di mafia
Per eseguire i lavori di somma urgenza
post-alluvione, il Comune di Falcone ricevette dalla Regione siciliana più di
un milione e quattrocentomila euro. Le ditte furono “precettate” con ordinanza
sindacale del 14 dicembre 2008 a cui seguì, quattro giorni dopo, una nota
integrativa che ampliò il numero delle imprese affidatarie dei lavori. La
lettura dell’elenco finale riserva più di una sorpresa indigesta. Oltre a quella
nella titolarità del mazzarroto Carmelo Salvatore Trifirò,
compare infatti pure la Ve.Ni.Al. di
Salvatore Campanino, azienda con sede in Contrada Granciotta, Terme Vigliatore,
a cui sono stati liquidati con determina del 2011 lavori per complessivi 59.780
euro. Condannato
anch’egli a otto anni di reclusione al processo “Vivaio”, per gli inquirenti Salvatore Campanino
è imprenditore “vicino” alla mafia barcellonese “ed in particolare a soggetti
come Tindaro Calabrese, Carmelo Salvatore Trifirò e Agostino Campisi”. “Salvatore Campanino è sempre stato
giudicato un amico dell’organizzazione nel senso che si presta a fare cortesie
per essa”, ha riferito agli inquirenti il collaboratore di giustizia
Santo Gullo, un lattoniere originario
di Falcone asceso in pochi anni alla guida della cosca mafiosa di Mazzarrà
Sant’Andrea. “La sua impresa faceva da prestanome per conto di imprenditori vicini
alla nostra organizzazione criminale. Per quanto mi consta, l’ultimo lavoro che
ha realizzato Campanino è quello relativo alla realizzazione della strada che
passa davanti al cimitero di Falcone e conduce a Contrada Giglione di Falcone,
nel 2004-2005 circa, ma non è l’unico perché ne ha fatti anche altri”. In
effetti gli inquirenti hanno potuto accertare che con ordinanza n. 87
del 7 aprile 2003, a firma del responsabile dell’ufficio tecnico comunale, alla
Ve.Ni.Al del Campanino fu affidata l’esecuzione dei lavori in somma urgenza di
ripristino della sede stradale della zona Passo Falcone - Giglione – Conche,
per l’importo forfettario di 5.000 euro. Il Campanino è risultato essere stato
pure amministratore e socio di maggioranza della Ca.Ri.Fra. S.r.l. di Terme
Vigliatore, altra azienda chiamata a rimuovere con alcuni escavatori e un
camion i detriti accumulatisi dopo l’alluvione dell’11 dicembre 2008. Il Raggruppamento
Operativo Speciale (ROS) dei Carabinieri di Messina ha accertato che il
Campanino ha successivamente ricoperto la carica di liquidatore della
Ca.Ri.Fra. e che l’impresa è stata messa in liquidazione il 16 gennaio 2012. La
società ebbe pure in affidamento lavori di somma urgenza post-alluvione dal
Comune di Mazzarrà Sant’Andrea nel periodo compreso tra il dicembre 2008 e il
gennaio 2009. La Ca.Ri.Fra., insieme alla ditta “Futura 2004”, riconducibile all’ex
capo del clan dei Mazzarroti” Carmelo Bisognano e odierno collaboratore
giustizia, eseguirono congiuntamente gli interventi di rimozione, trasporto ed
utilizzo del materiale per la risagomatura dell’alveo dei torrenti Mandrì e
Mazzarrà.
Nell’ambito di un’altra recente inchiesta antimafia denominata
“Torrente”, gli investigatori hanno potuto accertare che con
ordinanza integrativa n. 133 del 18 dicembre 2008, il Centro
Operativo Comunale post-emergenza del Comune di Falcone “invitò” la ditta
individuale di Furnari facente capo a Nunzio Siragusano ad “eseguire immediati
interventi volti al ripristino delle condizioni di sicurezza in seguito
all’alluvione”. I magistrati definiscono il Siragusano un “soggetto dai
numerosi precedenti giudiziari sofferti” e dall’“acclarata contiguità alla
consorteria storicamente retta da Bisognano Carmelo”. Secondo il ROS dei
Carabinieri, l’assegnazione dei lavori fu “l’esito sperato” di una richiesta
avanzata da parte dall’imprenditore edile Roberto
Munafò “al Sindaco pro tempore del comune di Falcone, Cirella
Santi”. A fornire al Munafò il contatto telefonico fu l’allora sindaco di
Furnari Salvatore Lopes, defenestrato a seguito dello scioglimento per
infiltrazione mafiosa del Comune e pure rinviato a giudizio nell’ambito
dell’inchiesta “Torrente” insieme ad alcuni boss e gregari mafiosi locali. Anche
il territorio di Furnari fu colpito da eventi alluvionali in due diverse circostanze, tra il dicembre del
2008 ed il febbraio del 2009. Per porre riparo alle devastazioni causate dalle
frane e dagli smottamenti, il sindaco Lopes ordinò, in deroga alle
disposizioni ordinarie, l’affidamento di lavori di somma urgenza per
complessivi 374.606 euro. Tre di essi furono assegnati alla ditta di cui era titolare Nunzio Siragusano.
Nipoti del
boss
Con determinazione n. 267 del 26 ottobre 2011 il
Comune di Falcone liquidò una fattura per complessivi 32.936 euro, a favore della
ditta individuale di Antonio Calcò Labruzzo (Contrada Arangia, Tripi), per lavori
eseguiti subito dopo l’alluvione. Ma l’azienda di Antonio Calcò Labruzzo è stata chiamata
anche per altri importanti interventi: con determinazioni n. 84, 85 e 86 emesse
il 19 aprile 2011, il Comune di Falcone le ha liquidato tre fatture: la prima
per il decespugliamento, la pulizia e la “riconfigurazione” della strada
Cimitero a contrada Quattro Finaide; la seconda per la pulizia del torrente
Feliciotto nel tratto a mare e a monte di Passo Falcone; la terza per la
“pulizia straordinaria stradelle ed aiuole interne del depuratore comunale,
alveo Torrente Arangia”. Importo complessivo, 16.950 euro.
Il titolare, estraneo ad inchieste e procedimenti
giudiziari, è nipote di Salvatore Calcò Labruzzo, l’allevatore originario di
Tortorici arrestato nel giugno 2011 perché indicato come il capo delle cosche criminali
operanti tra Patti, Montalbano, Falcone e Oliveri. “Costui ha due figli, uno di
nome Antonino, di professione veterinario, l’altro di nome Francesco, che
dovrebbe svolgere la professione di ballerino”, ha raccontato l’ex boss di
Mazzarrà, Carmelo Bisognano. “Anche Salvatore Calcò Labruzzo è stato organico
al gruppo dei Mazzarroti dal 1989, quando era ancora in vita Giuseppe Trifirò,
detto “Carebbedda”. Quando sono uscito dal carcere, mi sono accorto che anche
costui era in una posizione apicale e si occupava in particolare di estorsioni,
attentati, contatti con i pubblici amministratori”.
Nell’ambito dell’operazione “Gotha”, Calcò Labruzzo
è stato raggiunto da provvedimento di custodia cautelare in carcere con
l’accusa di aver sottoposto ad estorsione insieme ad alcuni rappresentanti
delle “famiglie” barcellonesi le aziende impegnate nella realizzazione del devastante Parco Eolico dei
Nebrodi, in regime di subappalto della Maltauro di Vicenza. “Fu il Calcò Labruzzo a contattare le ditte ed a chiudere la
trattativa per l’estorsione”, ha raccontato l’altro collaboratore Santo Gullo. “Egli ha anche ottenuto che uno dei suoi fratelli,
Pietro, fosse assunto con la qualifica di guardiano in uno dei cantieri”. Oltre che all’affaire dell’eolico, Salvatore Calcò Labruzzo si sarebbe
interessato pure al grande business dello smaltimento dei rifiuti e ai lavori
di realizzazione delle grandi discariche di Mazzarrà Sant’Andrea e di contrada
Formaggiara, Tripi.
Curriculum e frequentazioni del presunto padrino
originario di Tortorici non hanno pregiudicato i legami familiari con fratelli
e nipoti. Così, il giorno delle nozze, l’imprenditore edile Antonio Calcò
Labruzzo, quello dei lavori di somma urgenza post-alluvione, volle essere
accompagnato all’altare dalla moglie dello zio Salvatore. La sorella, Maria
Calcò Labruzzo, avvocata con laurea alla prestigiosa Bocconi di Milano, fece invece
da madrina al battesimo della figlioletta di uno dei figli dello zio. La stessa
Maria Calcò Labruzzo siede oggi nel consiglio comunale di Flacone tra i banchi
della maggioranza: è risultata la candidata più votata (159 preferenze) alle elezioni
del 29 e 30 maggio 2011 che riconfermarono sindaco Santi Cirella.
Dirigente per
l’eternità
Le determinazioni di approvazione della contabilità
finale dei lavori di somma urgenza eseguiti dopo l’alluvione dell’11 dicembre
2008 portano tutte in calce la firma del geometra Antonino Fugazzotto, responsabile
dell’Area tecnica e protezione civile del Comune. Nominato con procedimenti
sindacali dell’1 luglio 2009 e del 31 marzo 2010, Fugazzotto è stato a capo
dell’ufficio tecnico di Falcone sin dalla seconda metà degli anni ’70. Il suo
nome, insieme a quello del capo ufficio tecnico del Comune di Mazzarrà
Sant’Andrea, Roberto Ravidà, è stato tirato in ballo al processo “Vivaio”
relativamente ad alcune gare d’appalto che le cosche mafiose del barcellonese avrebbero
tentato di pilotare. “Ricordo di aver raggiunto il Fugazzotto in ufficio,
intorno al 2000, per discutere dell’appalto dei lavori di canalizzazione delle
acque”, ha raccontato Carmelo Bisognano. “Mi sedetti di fronte la sua scrivania
e gli dissi senza mezzi termini che l’appalto doveva essere vinto dall’impresa
Mastroeni Carmelo, riconducibile alla famiglia barcellonese ed a Sem Di Salvo
che mi diede l’incarico di andare dal tecnico comunale. Ovviamente Fugazzotto
acconsentì alla mia richiesta perché conosceva la mia fama di personaggio
autorevole sul territorio”. Dello stesso tenore le dichiarazioni di Santo Gullo
allegate all’ordinanza di custodia cautelare “Gotha3”. “Roberto Ravidà e Antonino Fugazzotto hanno
favorito varie ditte in occasione dell’aggiudicazione di appalti di lavori
pubblici nei Comuni di loro competenza”, ha esordito Gullo. “A partire dal 1999
tanto il Ravidà quanto il Fugazzotto hanno via via fatto fuori le ditte esterne
non riconducibili a quelle del Di Salvo. Ciò ha favorito l’organizzazione
barcellonese, permettendo di lavorare alle ditte vicine o comunque
riconducibili al Di Salvo. Con il trascorrere del tempo le ditte non
ricollegabili a lui iniziarono a lamentarsi in quanto rimanevano
sistematicamente fuori dall’aggiudicazione dei lavori (…) Questo sistema cui
partecipavano il Ravidà, il Fugazzotto e il Di Salvo finì per scontentare anche
me e Salvatore Calcò Labruzzo quali referenti immediati della zona, in quanto
dovevamo astenerci dal sottoporre ad estorsione le ditte vicine al Di Salvo,
così come richiestoci da quest’ultimo”.
Dopo che la stampa pubblicò stralci delle dichiarazioni
rese dai collaboratori di giustizia, il 3 agosto 2011 Fugazzotto indirizzò una
lettera al sindaco e al presidente del Consiglio comunale di Falcone,
respingendo ogni addebito. “Lo scrivente, a scanso di equivoci, non avendo mai
avuto contatti, incontri e conoscenza con il pentito e/o con altri personaggi
della stesse specie, ha già provveduto a comunicare alla Procura Antimafia di
Messina, la propria disponibilità a essere sentito, al fine di chiarire e
smentire quanto falsamente asserito”, esordì il capo dell’ufficio tecnico. “Si
rassicurano, pertanto le SS.LL. che mai l’Ufficio tecnico Comunale è stato
sottoposto a pressioni e/o compromessi con alcuno, ha agito sempre liberamente
nel rispetto delle leggi e dei regolamenti e non ultimo nel rispetto della
dignità dell’utenza”.
Il 14 novembre 2012, l’allora leader di Italia
dei Valori, Antonio Di Pietro, con un’interrogazione al Presidente del
Consiglio e ai ministri dell’Interno e della Giustizia, chiese un accesso
prefettizio presso il Comune di Falcone per verificare se le organizzazioni
criminali avessero tentato d’infiltrarsi nella vita amministrativa del piccolo comune
tirrenico. “Appare grave l’intreccio di responsabilità tra
amministratori locali, funzionari e personaggi in odor di mafia che,
predisponendo in apparente sinergia atti amministrativi, hanno concorso ad
azionare un meccanismo che ha stravolto la buona amministrazione del Comune di
Falcone e, contestualmente, consentito di liberare fiumi di denaro attraverso
la realizzazione di opere non soggette ad alcun sistema di gara d’appalto e
finanziabili con la pratica della discrezionalità”, scrisse Di Pietro.
Ai rilievi dei parlamentari e dei consiglieri comunali
d’opposizione il sindaco Cirella ha replicato con un lungo documento. “Desidero precisare che il reclutamento delle ditte è
avvenuto col sistema del passa parola, nel senso che chiunque avesse
conosciuto ditte e/o imprese, venne invitato a contattarle ed a farle
convergere sul territorio comunale per essere avviate, senza indugio alcuno, al
lavoro, come richiedeva la situazione emergenziale in corso, previa l’adozione
dei provvedimenti amministrativi di rito”, ha affermato il sindaco. “Da subito
e nei giorni successivi molte ditte e/o imprese si recarono nella segreteria
del Centro Operativo Comunale, frattanto costituito, ove vennero censite ed
avviate al lavoro. Si stabilì, senza che alcuna norma di legge lo imponesse,
che l’avviamento al lavoro doveva rimanere condizionato alla esibizione del
certificato camerale con dicitura antimafia, pena la revoca dell’incarico,
nonché all’immediata sottoscrizione da parte delle ditte di una dichiarazione
attestante la regolarità della propria posizione contributiva, l’inesistenza di
carichi pendenti, l’assenza di impedimenti a contrarre con la Pubblica amministrazione.
Posso serenamente affermare che tutte le imprese, all’epoca operanti sul
territorio, sottoscrissero la chiesta dichiarazione sostitutiva e produssero il
certificato antimafia”. Il procedimento penale avviato dal Tribunale di Patti e
gli otto avvisi di garanzia ad amministratori e imprenditori locali lasciano però
intendere che non tutto avrebbe funzionato nel verso giusto.
Intanto
c’è chi chiede a gran voce le dimissioni immediate del sindaco. “L’enorme
gravità delle accuse contestate e gli sviluppi preoccupanti che le vicende
giudiziarie sembrerebbero assumere, costituiscono ormai un peso insopportabile
per la cittadinanza”, scrivono i consiglieri e i sostenitori di Falcone Città Futura. E l’estate nella
cittadina, si prospetta più calda che mai.
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